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Santa Marta: "No a preti rigidi e mondani. Quelli con mantelli e gioielli scadono nel ridicolo"

Nella Messa mattutina, il Papa ricorda la missione di ogni prete: “Mediatore tra Dio e gli uomini, non funzionario che non si sporca le mani”

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Che Papa Francesco fosse allergico a certi fronzoli legati a tradizioni del passato, era cosa risaputa. Ma oggi a Santa Marta, criticando ancora una volta quei preti che annacquano il loro prezioso ministero in rigidità e mondanità, Bergoglio ha espresso con ancora più chiarezza, attraverso un aneddoto, il proprio punto di vista su coloro che ancora (e non sono pochi) vestono con cappe magne, velluti, saturni e gioielli di vario genere. 

“Su rigidità e mondanità – racconta il Papa – è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Per il Papa il compito di ogni sacerdote è chiaro: “Mediatore tra Dio e gli uomini”. Un compito ben diverso dall’altra figura che, seppur simile, “non è la stessa”: quella di “intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga, lui mai perde”, spiega Francesco. Al contrario il mediatore “perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma – in questo caso il parroco – per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù”.

“La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso”, evidenzia il Santo Padre. E cita San Paolo che nella Lettera ai Filippesi affermava: “Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce”. “Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”, insiste il Papa.

Riallacciandosi al Vangelo odierno, quindi osserva come oggi “ci sono cristiani insoddisfatti – tanti – che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Soprattutto ci sono preti “insoddisfatti” che “fanno tanto male” e vivono male, frustrati, in cerca sempre di nuovi progetti. “Il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù e per questo si lamentano o vivono tristi”, dice Bergoglio.

Invece la logica di Gesù dovrebbe dare “piena soddisfazione” a un sacerdote. Se autentico, egli deve comportarsi come “mediatore molto vicino al suo popolo”. Dunque non come “un funzionario” che fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro, che “non sa cosa significhi sporcarsi le mani”. “Il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”, ribadisce Francesco, per questo elemosina la felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

È come quei farisei al tempo di Gesù a cui “piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi ricoprire di onori. Ma, come già ammoniva il Messia, “per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano”, osserva Bergoglio. Questi “perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo”.

Fanno i forti col popolo di Dio con “la frusta” in mano: “Questo non si può, questo non si può…”. E “tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”, constata con rammarico il Santo Padre. Che ammonisce dal fatto che la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente” perché “fondamentalmente è schizoide”. “Finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”, avverte Papa Francesco. Stesso discorso con la mondanità: “Un sacerdote mondano, rigido è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”.

Perciò, suggerisce il Pontefice parlando direttamente ai preti: “Nell’esame di coscienza considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Di qui, un nuovo aneddoto: “Una volta, una persona mi diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… È interessante questo – dice il Papa – perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore è invece aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Tre, secondo Bergoglio, sono le icone di “sacerdoti mediatori e non intermediari”: Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo. Il primo – spiega – è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane. Così finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”. Francesco Saverio muore invece giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove desiderava da sempre andare per evangelizzare. E poi, l’anziano San Paolo alle Tre fontane: “Quella mattina presto i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”.

Queste tre icone “possono aiutarci”, assicurai il Papa. “Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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