San Gabriele dell'Addolorata - Wikimedia Commons

San Gabriele dell'Addolorata, il patrono della gioventù cattolica italiana

Il santo originario d’Assisi, dopo un’inizio di giovinezza all’insegna della mondanità, seguì la sua vera vocazione alla santità

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San Gabriele nacque il primo marzo del 1838 da una nobile famiglia di Assisi, battezzato con il nome di Francesco. A causa di impegni lavorativi del padre, nominato assessore al tribunale di Spoleto, tutta la famiglia si trasferì nella cittadina umbra. Dopo la scuola primaria, a 13 anni Francesco fu iscritto al collegio dei gesuiti. In questi anni di studio emersero tutte le sue qualità umane e spirituali. Francesco era un ragazzo appassionato allo studio, in particolare alle materie letterarie. Egli amava comporre poesie nella lingua latina. Si distingueva tra i suoi coetanei per l’allegria con cui affrontava le varie situazioni della vita. Gli piaceva organizzare partite di caccia, passeggiate tra i boschi, assistere a rappresentazioni teatrali, frequentare la gente benestante di Spoleto e leggere i romanzi, soprattutto quelli scritti dagli autori del suo tempo.
Francesco amava essere vestito in maniera elegante e alla moda, oltre ad avere la passione per il ballo; era conosciuto con il soprannome di “ballerino”. Oltre a quello che appariva esteriormente, era visibile il suo animo dolce, gentile, sensibile, generoso, attento ai bisogni degli ultimi e degli emarginati.
Il seme della sua santità era imprigionato dalla zizania della mondanità. Alcuni eventi dolorosi della sua vita hanno permesso di rimuovere l’erbaccia della mondanità e di consentire la fioritura del germoglio della santità. La precarietà della sua salute a causa dell’insorgere di varie malattie, il dolore per la perdita di vari familiari, la morte dell’amatissima sorella, lo condussero a ripensare alla sua vita ed abbandonare la mondanità.
Il 22 agosto guardando l’immagine della Madonna che veniva portata in processione per Spoleto, sentì sussurrare nel suo cuore le seguenti parole: “Francesco, cosa stai a fare nel mondo? Segui la tua vocazione!”.  Il 6 settembre dello stesso anno iniziò il suo noviziato nel convento dei passionisti a Morrovalle (Macerata), fondato nel 1720 da San Paolo della Croce, il quale fece edificare questo istituto per meditare ed annunziare la misericordia di Dio rivelata nella passione di Gesù.
Qui Francesco prese il nome di Gabriele dell’Addolorata. Egli sentì che quella scelta di vita era davvero quella a cui il Signore lo chiamava da sempre. La preghiera, i digiuni e le penitenze diventarono il suo pane quotidiano, riempiendo di gioia il suo cuore. La sua conversione gli permise di apprezzare in pienezza il senso della vita nella sua ordinarietà. Egli amava ripetere: “Dio non guarda il quanto ma il come; la nostra perfezione non consiste nel fare le cose straordinarie ma nel fare bene le ordinarie”.
Il 10 luglio 1859 fu trasferito nel convento dei passionisti presso l’Isola del Gran Sasso (Teramo) per approfondire la conoscenza della teologia in vista della sua ordinazione sacerdotale. Alla fine del 1861 si ammalò di tubercolosi; ogni cura risultò vana. Le sue precarie condizioni di salute e l’avversa situazione politica che impediva l’ordinazione di nuovi presbiteri, gli fecero comprendere con chiarezza l’impossibilità di diventare sacerdote. Davanti queste situazione egli rimase in pace, perché riconobbe in esse la volontà di Dio. La mattina del 27 febbraio 1862 si congedò da questo mondo, promettendo di ricordarsi di tutti quando sarebbe entrato in Paradiso. Prima di morire ebbe la visione della Madonna, alla quale egli si rivolse per l’ultima volta con semplici parole le quali svelano la sua devozione filiale: “Maria, mamma mia, fa’ presto”.
La comunità che risiedeva presso l’Isola del Gran Sasso venne trasferita, ma la tomba di Gabriele rimase presso quel luogo. A 30 anni dalla sua morte accaddero i primi prodigi presso quella tomba. Il 17 e 18 ottobre 1892, quando avvenne la riesumazione del corpo, vi fu una protesta della gente del luogo, la quale non voleva che il corpo del santo lasciasse la loro terra. In quei giorni avvennero una serie di prodigi, che saranno i primi di una lunga serie avvenuti per intercessione del santo.
Il 31 maggio 1908 Gabriele venne proclamato beato da san Pio X. Il 13 maggio 1920 Benedetto XV lo dichiarò santo. Nel 1926 Gabriele diventò compatrono della gioventù cattolica italiana.
Quale messaggio di speranza ci lascia la vita di questo santo? La gioventù è una fase della vita dove emergono tante passioni e desideri di questo mondo, ma nello stesso inizia a germogliare la vocazione alla santità. La storia di Gabriele ricorda in tanti aspetti la vita di San Francesco, non solo perché sono entrambi nati ad Assisi, ma perché hanno ricevuto il dono di lasciare le passioni di questo mondo per vivere una autentica e totale dedizione a Gesù e alla Chiesa.
La questione vocazionale dei giovani è una delle criticità più grandi del nostro tempo. Quando si parla di vocazione vanno intese non solo quella della vita sacerdotale o religiosa, ma anche quella alla vita matrimoniale e la chiamata ad una esistenza dedicata interamente al servizio del prossimo. La formazione al collegio dei gesuiti ha sicuramente plasmato l’animo di Gabriele, preparandolo ad essere aperto ad ascoltare la voce dello Spirito Santo. Proprio questa è la mancanza più grande dei nostri tempi. I giovani vivono chiusi nel loro mondo, che sempre di più sta diventando un mondo virtuale, perché non esistono formatori che abbiano l’audacia ed il coraggio di parlare al cuore dei giovani, invitandoli ad essere aperti al trascendente e vivere una relazione comunitaria e personale con Dio.
Gabriele, prima di morire, ha promesso che si sarebbe ricordato di tutti quando sarebbe entrato nel Paradiso. Tanti sono i prodigi avvenuti per l’intercessione del santo. Molti sono i pellegrini che ancora oggi si recano presso la tomba di Gabriele per chiedere la sua intercessione davanti a Dio ed ottenere la grazia richiesta. Il domandare la grazia è già un atto di fede nella vita eterna, perché presuppone il credere che il santo, vissuto su questa terra, ora viva per sempre nella gioia e nella pace alla destra di Dio.
Allora chiedere la grazia diventa prima di tutto rimuovere quegli ostacoli che ci impediscono di raggiungere la comunione dei santi con Dio nella Gerusalemme celeste. Una malattia del corpo, una crisi matrimoniale, una difficoltà di un figlio, la perdita del lavoro, il perdurare di un vizio, sono vere e proprie croci che possono determinare una maggiore adesione alla volontà di Dio o possono causare un pericoloso allontanamento.
Gabriele ha meditato a lungo sulla passione di Cristo. Davanti alla sua malattia ha accettato con docilità il suo imminente passaggio alla casa del Padre. Gabriele oggi invita ognuno di noi a meditare sul senso della sofferenza e della malattia alla luce della rivelazione cristiana, la quale proclama l’esistenza della morte, ma nello stesso tempo apre alla speranza gioiosa della risurrezione.
Gabriele vuole concedere la grazia della fede ad ogni uomo che si rivolge a lui, perché dal cielo egli sa che tutti siamo raggiunti dalla sofferenza, ma non tutti siamo aperti alla speranza di vivere il dolore con la certezza che Dio ha il potere di liberarci dal male, ma può donarci anche la grazia di vivere con serenità e fiducia il trapasso da questa terra al regno dei cieli.

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Osvaldo Rinaldi

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