All’incontro di frate Francesco d’Assisi con il sultano Malik al Kamil è riconosciuta una forza di attualità a motivo del confronto tra cristiani e mussulmani e pertanto spesso viene ricordato e citato; proprio tale “attualità” rende questo episodio tanto famoso quanto soggetto a letture anacronistiche. Per una onesta intellettuale – che richiamando Raimondo Lullo può essere indicata come uno dei principali presupposti al dialogo – è importante partire sempre dalle fonti verificandone innanzitutto la veridicità. Così ad esempio si scopre che la spesso citata fonte araba è una supposizione tutta da verificare fatta da Massignon nel 1957 basata su un autore arabo del Quattrocento il quale testimonierebbe di una epigrafe funeraria di Fakhr al-Dīn in cui è menzionato «quanto gli capitò a causa di un monaco»; come si vede si tratta di una notizia tanto generica e tarda da renderla pressoché inutilizzabile. Una delle fonti invece che gode di grande autorevolezza è la Cronaca di Ernoul databile a meno di una decina d’anni dall’incontro avvenuto a Damietta nel 1220 e che lo narra con particolari importanti per la sua comprensione.
Ora vi dirò di due chierici che si trovavano nell’esercito a Damiata. Essi si recarono dal cardinal [legato, ossia Alvaro Pelagio] e gli manifestarono la loro intenzione di andare a predicare al sultano; ma volevano fare questo con il suo beneplacito. Il cardinale rispose che, per conto suo, non avrebbe mai dato né licenza né comando in tale senso, perché non voleva concedere licenza che si recassero là dove sarebbero stati senz’altro uccisi. Sapeva bene infatti che, se ci andavano, non ne sarebbero tornati mai più. Ma essi risposero che, se ci andavano, lui non avrebbe avuto nessuna colpa, perché non era lui che li mandava, ma semplicemente permetteva che vi andassero. E tanto lo pregarono che il cardinale, constatando che avevano un proposito così fermo, disse loro: «Signori miei, io non conosco quello che voi avete in cuore e quali siano i vostri pensieri, se buoni o cattivi; ma se ci andate, guardate che i vostri cuori e i vostri pensieri siano sempre rivolti al Signore Iddio». Risposero che non volevano andare, se non per compiere un grande bene, che bramavano portare a compimento.
Allora il cardinale disse che potevano pure andarci, se lo volevano, ma che non si pensasse da nessuno che era lui a inviarli.
Allora i due chierici partirono dal campo cristiano, dirigendosi verso quello dei saraceni. Quando le sentinelle del campo saraceno li scorsero che si avvicinavano, congetturarono che certo venivano o come portatori di qualche messaggio o perché avevano intenzione di rinnegare la loro fede. Si fecero
incontro, li presero e li condussero davanti al sultano. Giunti alla presenza del sultano, lo salutarono. Il sultano rispose al saluto e poi domandò loro se intendevano farsi saraceni oppure se erano venuti a portare qualche messaggio. Essi risposero che giammai si sarebbero fatti saraceni, ma piuttosto erano venuti a lui portatori di un messaggio da parte del Signore Iddio, per la salvezza della sua anima. E proseguirono: «Se voi non volete credere (gli dissero), noi consegneremo la vostra anima a Dio, perché vi diciamo in verità che se morirete in questa legge che ora professate, voi sarete perduto, né mai Dio avrà la vostra anima. Proprio per questo siamo venuti a voi. Se vorrete darci ascolto e comprendere, noi vi mostreremo con argomenti irrefutabili, alla presenza dei più saggi uomini di questa terra, se li vorrete convocare, che la vostra legge è falsa».
Il sultano rispose loro che egli aveva dignitari maggiori e minori della sua legge e gli incaricati del culto e senza di loro non poteva neppure ascoltare quello che essi volevano dire. «Molto bene – risposero i due chierici –. Mandateli a chiamare, e se noi non riusciremo a dimostrare con solidi argomenti che è vero quanto asseriamo, che cioè la vostra legge è falsa, sempre che vogliano ascoltare comprendere, fateci pure mozzare la testa». Il sultano allora li fece convocare e vennero nella sua tenda. E così si trovarono insieme alcuni dei maggiori dignitari e dei più saggi del suo regno e i due chierici.
Quando furono radunati insieme, il sultano espose il motivo per cui li aveva convocati e ora erano qui alla sua presenza, quello che i due chierici gli avevano proposto e la ragione della loro venuta. Ma essi gli risposero: «Sire, tu sei la spada della legge: a te il dovere di custodirla e di difenderla. Noi ti comandiamo, da parte di Dio e di Maometto, che ci ha dato questa legge, di far subito decapitare costoro. Quanto a noi, non ascolteremo mai quello che essi dicono. Ma anche voi mettiamo sull’avviso di non ascoltarli, perché la legge proibisce di prestare orecchio ai predicatori di altra religione. Se poi c’è qualcuno che voglia predicare o parlare contro la nostra legge, questa stessa stabilisce che gli sia mozzata la testa. Per questo ti comandiamo, da parte di Dio e della legge, che tu faccia subito tagliare loro la testa, come è prescritto dalla legge». E presero subito congedo e se ne andarono senza più voler ascoltare nessuna parola. Rimasero soli il sultano e i due chierici. Allora il sultano disse loro: «Signori miei, mi hanno detto, da parte di Dio e della legge, che io vi faccia decapitare, perché così è prescritto dalla legge. Ma io, per quest’unica volta, andrò contro la legge; non vi farò tagliare la testa. Sarebbe una ricompensa malvagia fare morire voi, che avete voluto coscientemente affrontare la morte per salvare l’anima mia nelle mani del Signore Iddio».
Poi il sultano aggiunse che se essi volevano rimanere con lui, li avrebbe investiti di vaste terre e possedimenti. Ma essi risposero che non volevano punto rimanerci, dal momento che non li si voleva né sentire né ascoltare, e perciò sarebbero tornati nell’accampamento dei cristiani, se lui lo permetteva. Il sultano rispose che volentieri li avrebbe fatti ricondurre sani e salvi nell’accampamento. Ma intanto fece portare oro, argento e drappi di seta in gran quantità, e li invitò a prenderne con libertà. Essi protestarono che non avrebbero preso nulla, dal momento che non potevano avere l’anima di lui per il Signore Iddio, poiché essi stimavano cosa assai più preziosa donare a Dio la sua anima, che il possesso di qualsiasi tesoro. Sarebbe bastato che desse loro qualcosa da mangiare, e poi se ne sarebbero andati, poiché qui non c’era più nulla da fare per loro. Il sultano offrì loro un abbondante pasto. Finito, essi si congedarono da lui, che li fece scortare sani e salvi fino all’accampamento dei cristiani.
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Qui un approfondimento.
San Francesco e il Sultano
San Francesco e il Sultano in Egitto
Le fonti di un incontro