Perché la “Giornata missionaria mondiale”?

di padre Piero Gheddo* 

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ROMA, martedì, 19 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Come ogni anno dal 1926, nella penultima domenica di ottobre si celebra nel mondo cattolico la “Giornata missionaria mondiale” (quest’anno domenica prossima 24 ottobre). Papa Benedetto ha pubblicato il suo messaggio sul tema “La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione”, che incomincia così: “Cari fratelli e sorelle, il mese di ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, offre alle Comunità diocesane e parrocchiali, agli Istituti di Vita Consacrata, ai Movimenti Ecclesiali, all’intero Popolo di Dio, l’occasione per rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo e dare alle attività pastorali un più ampio respiro missionario”.

Quante volte a me missionario qualcuno chiede: “Perché parlare ancora di missioni, di mandare personale e aiuti in Africa, in Asia, in Oceania, quando qui in Italia stiamo perdendo la fede? C’è bisogno di missionari qui da noi”. Il messaggio del Papa risponde a questa domanda. La missione ha un significato ben più ampio di quanto normalmente si crede. Certo, lo scopo primo è di ricordare ai fedeli la “missione alle genti”, cioè l’annunzio di Cristo ai popoli che ancora non hanno ricevuto la “ Buona Notizia” del Vangelo; e di invitare i fedeli a pregare e ad aiutare i missionari fra i non cristiani. Ma la Giornata missionaria ha un significato più ampio e profondo: tutte le comunità cristiane (famiglie, parrocchie, istituti religiosi, movimenti e associazione laicali), debbono essere “missionarie”. Perché “la Chiesa è per natura sua missionaria” (Ad gentes, 2).  Cristo l’ha creata  così e se non fosse più missionaria non sarebbe più la Chiesa di Cristo. Marcello Candia diceva spesso: “Io sono missionario in forza del mio Battesimo”.

In altre parole, missione alle genti e nuova evangelizzazione dei popoli cristiani sono strettamente collegate, l’una non sta senza l’altra, l’una riceve forza e motivazioni nuove dall’altra. C’è un passo del Vangelo che spiega bene questa verità difficile da capire e da credere: infatti si pensa che, proprio perché qui da noi diminuisce la fede e la vita cristiana, bisogna concentrare tutte le nostre forze ecclesiali sul popolo italiano, per riportarlo alla fede. Gesù non la pensava così. Poco prima di salire al Cielo, “Gesù apparve agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che l’avevo visto risuscitato. Poi disse: ‘Andate in tutto il mondo e portate il Vangelo a tutti gli uomini. Chi crederà e sarà battezzato, chi non crederà sarà condannato’” (Mc . 16, 14-16). Ma come?! Gesù rimprovera gli undici di aver poca fede e di non credere nemmeno nella sua Risurrezione. Poi dice: “Andate in tutto il mondo e portate il Vangelo a tutti gli uomini”. Come fanno ad annunziare il Vangelo se non credono che Cristo è risorto dalla morte? Non sarebbe stato meglio se si fossero fermati tutti assieme a Gerusalemme, fortificando la loro fede con la preghiera e lo studio? La risposta la dà Giovanni Paolo II: “La missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale” (Redemptoris Missio, 2).

La missione cambia continuamente perché cambiano le situazioni. Dal punto di vista missionario, il nostro tempo è affascinante: apre strade nuove, sempre fondate sulla fede, l’amore personale a Cristo, l’obbedienza alla Chiesa universale e locale, ma nuove di metodi, di linguaggi, anche di contenuti. La dibattuta questione dell’”inculturazione del messaggio” nelle culture non cristiane presenta questo vantaggio pastorale. Visitando le “giovani Chiese” di missione, si vede spesso come i giovani cristiani, pur poco istruiti nella fede, apprezzano il dono della fede e manifestano l’entusiasmo di essere cristiani diventando essi stessi missionari. La missione oggi deve essere continuamente inventata anche nei metodi pastorali, nella predicazione, nell’annunzio. Noi in Italia andiamo avanti con strutture e schemi consolidati, che andavano bene forse nel passato. In una Chiesa che sta nascendo, c’è più flessibilità, libertà, inventiva anche nei cristiani comuni.

Questa la radice del rinnovamento anche pastorale  che le giovani Chiese testimoniano. Il vescovo di Vanimo in Papua Nuova Guinea, mons. Cesare Bonivento, mi diceva: “Nella mia diocesi le molte conversioni vengono dai giovani cristiani. Sanno ancora pochissimo di Gesù e della fede cristiana, ma spontaneamente vanno in giro a parlarne. Non so cosa dicono, tutta la mia opera di vescovo è di dare loro una sufficiente istruzione religiosa, ma ho poco personale missionario. Spesso prego lo Spirito Santo e gli dico: la missione è tua, pensaci tu”.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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