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Papa: "Nonviolenza unica alternativa. Rischiamo la morte di molti, se non di tutti"

Pubblicato il Messaggio per la 50.ma Giornata Mondiale della Pace, del 1° gennaio 2017. L’appello contro disarmo, armi nucleari, violenze domestiche e abusi su donne e bambini

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Per il mondo “frantumato” di oggi dove si continua a combattere una guerra “a pezzi” in vari paesi e continenti, la cura è solo una: la “nonviolenza”. Non c’è altra alternativa. Una nonviolenza praticata con coerenza e decisione da luminose icone di pace del XX secolo come Madre Teresa, Martin Luther King, Gandhi, Ghaffar Khan e Gbowee, da declinare in atti pratici. Atti di ordine mondiale come il disarmo e l’abolizione delle armi nucleari, o “locale” come l’arresto di violenze e abusi domestici.

“Vi supplico con urgenza che si arrestino la violenza domestica e gli abusi su donne e bambini”, scrive il Papa nel Messaggio pubblicato oggi per la 50.ma Giornata Mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio 2017. Invoca il disarmo, nonché la proibizione e l’abolizione delle armi nucleari, perché “la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare” un tipo di etica basata sul riconoscere gli altri “come doni sacri dotati di una dignità immensa”.

Nel testo, il Pontefice lancia un appello per l’anno nuovo a venire: “Nel 2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune”.

Il rischio è reale e cioè che questa violenza, alla quale si continua a rispondere con altra violenza, possa “portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti”. Richiamando il magistero dei predecessori dalla Pacem in Terris alla Centesimus Annus, Bergoglio indica allora come rendere la “nonviolenza” lo “stile di una politica per la pace” – come recita il titolo del Messaggio – oltre che “il nostro stile di vita”, “delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme”.

“Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali – dice il Papa – Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace”.

Papa Francesco guarda al secolo scorso devastato da due Guerre mondiali “micidiali”, che ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti. Poi volge lo sguardo al presente e denuncia ancora una volta la “terribile guerra mondiale a pezzi” che lo caratterizza. “Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa”, osserva.

In ogni caso, prosegue il Santo Padre, “questa violenza che si esercita ‘a pezzi’, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente”. A che scopo? “La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo?”, domanda provocatorio Bergoglio, “tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi ‘signori della guerra’?”.

Il Papa ne è certo: “La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato”. “Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti”.

È necessario, pertanto, percorrere una strada inversa. È quella tracciata da Cristo: Egli stesso nacque in tempi di violenza e “insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la violenza e la pace, è il cuore umano”, sottolinea il Pontefice. In tal senso, primo luogo in cui tracciare il sentiero della nonviolenza è la famiglia, “indispensabile crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene dell’altro, la misericordia e il perdono”.

“Dall’interno della famiglia la gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società”, sottolinea il Papa. “D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero”.

Il richiamo all’appello di San Francesco a divenire “strumenti di riconciliazione” è naturale. Come pure l’insegnamento di Benedetto XVI, il quale precisava che la nonviolenza “non è un mero comportamento tattico, bensì l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità”.

Tantomeno la nonviolenza è una “resa”, un “disimpegno” o “passività”. Come affermò Madre Teresa ricevendo il Nobel per la Pace nel 197: “Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri. E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo”.

“La forza delle armi è ingannevole”, aggiunge il Pontefice. “Mentre i trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la vita; per questi operatori di pace”.

Tra questi, Francesco annovera il Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan per la liberazione dell’India, Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale, Leymah Gbowee e il suo impegno di preghiera e protesta nonviolenta per le migliaia di donne liberiane.

Nel Messaggio, si ricorda anche il contributo delle comunità cristiane alla caduta dei regimi comunisti in Europa. “Speciale influenza – sottolinea il Santo Padre – hanno esercitato il ministero e il magistero di San Giovanni Paolo II” che nella Centesimus annus evidenziava “che un cambiamento epocale nella vita dei popoli, delle nazioni e degli Stati si realizza mediante una lotta pacifica, che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia”.

Di qui lo spunto per ricordare che la Chiesa da sempre “si è impegnata per l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi, sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura”.

Un impegno che “non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose”. Perché, ribadisce con vigore il Papa come nell’ultimo incontro interreligioso di Assisi: “Nessuna religione è terrorista. La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!”.

In conclusione, Papa Francesco rammenta il Giubileo della Misericordia da poco concluso, che “ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vittime di ingiustizia e subiscono violenza”. “Essi fanno parte della nostra ‘famiglia’, sono nostri fratelli e sorelle”, rimarca Bergoglio.

Questo – dice – “è un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità”. Dunque, “una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo”.

La Chiesa cattolica “accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la nonviolenza attiva e creativa”, assicura il Vescovo di Roma. E rammenta in conclusione l’apertura, il 1° gennaio 2017, del nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, “che aiuterà la Chiesa a promuovere in modo sempre più efficace i beni incommensurabili della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato e della sollecitudine verso i migranti, i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura”. “Ogni azione in questa direzione – afferma il Papa – per quanto modesta, contribuisce a costruire un mondo libero dalla violenza”. Ed è un “primo passo verso la giustizia e la pace”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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