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“Mai più violenza! Non profanare il nome di Dio con l'odio umano"

Nella Moschea ‘Heydar Aliyev’ di Baku, Papa Francesco lancia un accorato appello affinché le religioni siano “albe di pace”

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“Mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane”. Le mura della Moschea Heydar Aliyev, luogo di sacralità e storia nel cuore della Città vecchia di Baku, vibrano alle parole di Papa Bergoglio che lancia l’ennesimo, accorato, appello contro tutte quelle forme di “fondamentalismo, imperialismo o colonialismo” che devastano il mondo di oggi.

Il Vescovo di Roma conclude il suo 16° viaggio apostolico internazionale nel segno del dialogo interreligioso incontrando i leader delle diverse confessioni e lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso, Allahshukur Pashazadeh, che lo attende all’ingresso dell’edificio dove il Pontefice, come già in Turchia, si toglie le scarpe prima di varcarne la porta.

Scalzo, Bergoglio entra quindi a fianco allo Sceicco che lo accompagna per le volte sinuose della Moschea. In corrispondenza del Mihrab, l’abside che indica la direzione della Mecca, avviene uno scambio di doni: Pashazadeh regala un tappeto al Papa, che ricambia con un mosaico con veduta di Castel Sant’Angelo.

Il colloquio privato tra i due precede il vigoroso discorso che il Pontefice rivolge ai diversi ospiti; tra questi, i capi religiosi locali della Chiesa Ortodossa Russa e delle comunità Ebraiche, che Francesco ringrazia perché – dice – “è un grande segno incontrarci in amicizia fraterna in questo luogo di preghiera”. Un segno che manifesta “quell’armonia che le religioni insieme possono costruire, a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili”.

Di questa concordia, l’Azerbaigian beneficia già da tempo grazie al “legame virtuoso tra società e religioni”: “un’alleanza rispettosa che va costruita e custodita” e che il Pontefice simboleggia con l’immagine delle pregiate vetrate artistiche presenti da secoli in terre azere. Fatte soltanto di legno e Shebeke (vetri colorati), esse si distinguono per un lungo e accurato lavoro artigianale che non prevede l’uso di chiodi o colle ma un gioco d’incastri che tiene insieme i due materiali. “Così il legno sorregge il vetro e il vetro fa entrare la luce”, osserva il Papa.

“Allo stesso modo – afferma – è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà. Non vanno dunque usate le ‘colle’ artificiali che costringono l’uomo a credere, imponendogli un determinato credo e privandolo della libertà di scelta; non devono entrare nelle religioni neanche i ‘chiodi’ esterni degli interessi mondani, delle brame di potere e di denaro”.

Dio, infatti, “non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici”, rimarca il Santo Padre. Ed esprime l’auspicio che “nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti”.

Specialmente in questa “amata” regione caucasica, segnata dal sanguinoso conflitto per la questione del Nagorno Karabakh, per Francesco è urgente che “le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi”. “Le inestimabili ricchezze di questi Paesi vengano conosciute e valorizzate”, dice, “i tesori antichi e sempre nuovi di sapienza, cultura e religiosità delle genti del Caucaso sono una grande risorsa per il futuro della regione e in particolare per la cultura europea, beni preziosi cui non possiamo rinunciare”.

Il Papa non parla di un “sincretismo conciliante”, né di “un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi”, ma di un dialogo concreto per costruire quella “cultura dell’incontro” che porti ad una pace “vera”, cioè “fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte”. Una pace “animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri”. 

È questo il desiderio di chi mira al bene comune; d’altra parte, avverte il Santo Padre, “la fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti”.

Invece “aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce”, chiosa il Pontefice citando il noto poeta azero Nizami Ganjavi, perché “aiuta a essere più umani” e “a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità”. Aiuta “ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose”.

“La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore”, aggiunge il Papa. In questo senso, essa ha un compito “educativo”: “aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé”.

“Noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo”, sottolinea il Santo Padre, stigmatizzando quella sorta di “nichilismo” che imperversa ai giorni nostri da parte “di chi non crede più a niente se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti”. A ciò si aggiungono “le reazioni rigide e fondamentaliste di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente”.

La vera questione del nostro tempo, secondo Francesco, non è allora “come portare avanti i nostri interessi”, ma “quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto”. “Dio, e la storia stessa – ammonisce – ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso”.

Soprattutto c’è “la voce di troppo sangue” che “grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune”. “Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile”, afferma il Papa, perché “non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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