Tomb of the Blessed Don Giuseppe ('Pino') Puglisi in the Cathedral of Palermo

WIKIMEDIA COMMONS - José Luiz Bernardes Ribeiro

La più grande fatica interiore è non sentirsi mai abbandonati

La lezione di vita di don Pino Puglisi spiegata agli adolescenti

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Prof, oggi facciamo una lezione da paura, eh!?!” Rido di fronte a questa esigente aspettativa di Linda, la mia bellissima alunna dai capelli stile “afro”. L’intera sua classe mi sta raggiungendo nell’aula LIM a gran velocità, per riuscire ad accaparrarsi i primi posti. Luca dice deciso: “Prof, oggi le faccio io da assistente al computer. E poi deve finire di parlarci di don Pino Puglisi. L’altra lezione eravamo stati interrotti dalla campanella”.

Mentre sono travolta dall’entusiasmo dei miei studenti, sento vibrare il mio cellulare. Abbasso lo sguardo e leggo su What’sApp: “Ti ricordi che lunedì hai il secondo incontro sull’aldilà con i ragazzi della mia parrocchia, vero? Dovrai parlare dell’Inferno. Devi proiettare qualcosa?”.

Certo che mi ricordo. Già, l’inferno… come spiegarlo a quei ragazzi?

Alzo lo sguardo verso i mei studenti e li avverto: “Sappiate che nei primi cinque minuti di film, nelle altre classi molti hanno girato lo sguardo da un’altra parte. Non ce l’hanno fatta a vedere. Volete saltarli?”.

So perfettamente che questo è il modo migliore per far alzare le antenne a tutti.

Silenzio assoluto… il film inizia…un Ape mezzo scarcassato si ferma in un luogo della periferia palermitana. Intorno il senso di abbandono è evidente ed il grigio è opprimente. Alcuni ragazzini scendono dall’Ape con due scatoloni, da dove escono miagolii di paura che già commuovono. Un adulto dall’aspetto rude, freddo e trasandato, paga quel delicato contenuto ed invita i ragazzini a fare quel che devono fare. Basta un cenno della testa e questi capiscono.

Si avvicinano ad una gabbia con dentro due cani aggressivi; abbaiano e sono inferociti, affamati, imprigionati e pronti alla lotta. Per loro non ci sono ciotole di carne per il pranzo, né carezze sul dorso. Pochi centimetri di gabbia che farebbe impazzire qualsiasi essere vivente ed un pranzo assurdo: micetti nati da poco, da sbranare.

La scena è allucinante per il sadico divertimento che i ragazzini provano nel gettare dentro la gabbia, i micetti terrorizzati.

E poi la notte… il combattimento tra i due cani… il tifo infernale degli uomini… i guaiti di dolore… il sangue… un’altra corsa con l’Ape con sopra il cane quasi morto, grondante sangue dalla gola… il trasporto dell’animale mezzo morto, su per una scalinata di cemento di un palazzo in costruzione… il pianto del cane… e poi… uno, due, treee! Il povero cane, in fin di vita e con la gola squarciata, è buttato di sotto, nella voragine di cemento, mentre il suo lamento si perde in lontananza come un ultimo urlo di dolore lasciato in eredità a nessuno.

Tre minuti di film in cui nessuno dei miei alunni respira più. Nessuno si muove. Non sono terrorizzati; sono allucinati. Increduli. Come si può arrivare a tanto?

Ma il regista del film “Alla luce del sole” aveva le idee chiare: nei primi minuti di film voleva subito immergere lo spettatore nell’inferno in cui don Pino Puglisi (ora beato) ha portato un po’ di paradiso.

Perché l’Inferno è questo: rosso come il sangue e nero come la notte. L’inferno è fatto di urla di dolore, di sadica soddisfazione, di bruttezza esasperante, di solitudine soffocante, di rabbia straripante. E’ un potere conquistato a colpi d’ascia, è odio suscitato da sguardi d’invidia, è denaro conquistato sui cadaveri, è falsità mascherata da verità e sepolcro imbiancato di apparenza. E’ “branco” che si unisce nella violenza e “solitudini” destinate a non incontrare mai nessuno.

Padre Pino Puglisi ha combattuto, in prima linea, contro tutto questo.

Sorrideva quando lo chiamavano il “prete anti-mafia”

Avrebbero dovuto chiamarlo il prete del “Padre nostro”, il nome che lui aveva dato al centro dove raccoglieva i bambini tolti alla crudeltà della strada.

Il suo ultimo sorriso ha perfino convertito il suo assassino.

Don Massimiliano De Simone, ex cappellano del carcere di massima sicurezza de L’Aquila, ha detto: «Il vero incontro con Gesù Cristo, lo Spatuzza l’ha fatto dopo la morte di Don Pino Puglisi. Perché è Puglisi, il martirio di Puglisi, che ha portato la conversione di Spatuzza. Questo è importante. E lui dal sorriso di Don Puglisi che moriva, non le smorfie di dolore ma un sorriso, in quel sorriso ha letto tante cose, ha letto appunto la misericordia di Dio, tant’è vero che io… le volte che ho visto piangere lui nei racconti, nelle meditazioni era proprio quando ricordava la figura di don Puglisi. Questa figura che lo ha totalmente sconvolto, lo ha cambiato dentro».

Paradiso contro Inferno: 1 a 0

Padre Nostro contro Cosa Nostra: 1 a 0

La Misericordia ha avuto ancora l’ultima parola. 

In una prima classe, mentre spiegavo che l’etimologia della parola “misericordia” è “utero materno”, un alunno ci ha fatto ridere tutti, mormorando perplesso: “Ma allora che c’entra dire che Dio è misericordioso? Boh…che poi Dio è pure maschio…”

Ovviamente ho spiegato che Dio è padre e madre insieme; ho citato i famosi passi della bibbia dove Dio dice chiaramente di avere anche un cuore di Mamma; ho raccontato che anche Giovanni Paolo I, in un Angelus diventato famoso, aveva ricordato con commozione che Dio è anche Madre…

Ma poi ho pensato tra me e me: che me ne faccio di tutte queste spiegazioni se la sera, quando mi addormento, penso più alle mie preoccupazioni che al bacio della buonanotte che Dio mi dà sulla fronte? Se durante le “salite” della vita, mi capita di sentirmi sola ed abbandonata? Se durante le mie elucubrazioni interiori, mi accorgo di essere facilmente prigioniera del passato o del futuro, dimenticandomi del dono del “presente”?

Ecco perché don Puglisi aveva chiamato il suo centro “Padre Nostro”!

Sapeva perfettamente che la più grande fatica interiore è non sentirsi abbandonati da Dio. Anche in un quartiere come Brancaccio.

San Giuseppe Moscati diceva: “Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno. Quanto più vi sentirete solo, trascurato, vilipeso, incompreso…tanto più avrete la sensazione di un’infinita forza arcana che vi sorregge, che vi rende capaci di propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio”.

***

[Fonte: www.intemirifugio.it]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Maria Cristina Corvo

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione