Il clima di turbamento non si è ancora mitigato. L’elezione a 45esimo presidente degli Stati Uniti di Donald Trump ha innescato un dibattito che fatica ad espellere le scorie di frenesia che hanno contraddistinto la campagna elettorale.
A New York, Chicago e Dallas scendono in strada drappelli di giovani riottosi al risultato elettorale. L’astio e le preoccupazioni nei confronti del candidato repubblicano rischiano tuttavia di fondarsi su effimere argomentazioni, effetto di una imponente campagna condotta dai grandi media a favore di Hillary Clinton.
Per entrare più nel merito della questione e capire come potrebbero cambiare gli Stati Uniti con l’elezione di Trump, ZENIT ha intervistato il prof. Germano Dottori, docente in Studi Strategici presso l’Università Luiss di Roma e consigliere scientifico di Limes. Dottori parla di possibili scenari geopolitici futuri, delle differenze sui temi etici tra Trump e la Clinton, dei sondaggi manipolati nonché delle manovre dello staff della candidata democratica per indebolire la Chiesa cattolica.
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Prof. Dottori, i principali sondaggi negli ultimi mesi propendevano per una netta vittoria di Hillary Clinton. Cosa è successo?
È successo che le percezioni dell’opinione pubblica americana e internazionale sono state manipolate tramite la diffusione di sondaggi il cui esito veniva preventivamente concordato con i vertici della Clinton Campaign. Dovevano rafforzare la sensazione di una Hillary presidente inevitabile. Soltanto il Los Angeles Times, i Rasmussen Report ed un istituto demoscopico legato alle imprese hanno fin dall’inizio dipinto un quadro diverso, con i due candidati appaiati. C’è poi da dire che se si continuerà a produrre stime sul voto popolare sganciate dall’andamento nei singoli Stati, avremo ancora pronostici inutili.
Come cambia la politica estera degli Stati Uniti con la vittoria di Donald Trump? Alcuni media lo hanno presentato come un pericoloso guerrafondaio, eppure la realtà sembra essere diversa…
Trump cercherà di concentrarsi sul rilancio della classe media e dei colletti blu, depressi a causa della stagnazione dei loro redditi, un male molto ben noto anche a noi europei. Non gli interessano le avventure militari, né i progetti più ambiziosi di democratizzazione del mondo. È uomo d’affari, che attribuisce gran valore alla stabilità. L’America cercherà di ritrarsi, ma senza lasciare il caos. Per questo, le altre grandi e medie potenze avranno maggiori spazi. Trump ne cercherà la collaborazione. E la Russia conterà molto. Non le si regalerà nulla, ma si smetterà di alimentarne la sindrome d’assedio. Mosca dovrà essere incentivata a cooperare. Ho la sensazione che al Cremlino si guardi con gran favore alla novità, anche se la diplomazia russa è prudente.
Dalla vittoria di Trump può scaturire una revisione della strategia atlantica? Quali potrebbero essere gli effetti sull’Italia e sull’Europa?
Se vuol rassicurare la Russia, Trump dovrà imprimere all’Alleanza Atlantica un netto cambio di direzione. La pressione ai confini della Federazione Russa dovrebbe diminuire e crescere invece l’attenzione sul fronte sud. La Nato si occuperà maggiormente del Mediterraneo e del Medio Oriente, non contro la Russia, ma con Mosca e, probabilmente, anche Tel Aviv. Altri si assoceranno. Ma il profilo americano dovrà essere basso, come è già accaduto con Obama. Il leading from behind (la gestione degli eventi da dietro, ndr) sarà confermato. Anzi, persino accentuato. Verremo invitati a riarmare. Sarebbe comunque accaduto anche con Hillary, ma per assecondare una nuova spinta liberal-interventista sulla quale non avremmo avuto alcuna voce in capitolo. Con Trump recupereremo autonomia.
Si può quindi dirimere il clima da guerra fredda?
Il processo che ha condotto all’accentuazione delle tensioni in Europa, se tutto va bene e non si verificano eventi al momento imprevedibili, verrà verosimilmente interrotto a breve. Sarà un danno per chi ci ha investito molto, come polacchi, baltici, svedesi e norvegesi. Ne trarranno vantaggio i Paesi meno russofobi.
Le email diffuse durante la campagna elettorale da Wikileaks svelano aspetti nascosti di Hillary Clinton e del suo staff. Da una lettera del 2012 emerge una certa attenzione nei confronti della Chiesa cattolica. Di cosa si tratta?
Sono saltati fuori documenti in cui emerge una forte volontà dello staff di Hillary di suscitare una rivolta all’interno della Chiesa, per indebolirne la gerarchia. Si sarebbero serviti di associazioni e gruppi di pressione creati dal basso, seguendo uno schema consolidato nell’esperienza delle rivoluzioni colorate. Non siamo ancora alla pistola fumante, ma ci siamo vicini. Pur non avendo alcuna prova, ho sempre pensato che Benedetto XVI sia stato indotto all’abdicazione da una macchinazione complessa, ordita da chi aveva interesse a bloccare la riconciliazione con l’ortodossia russa, pilastro religioso di un progetto di progressiva convergenza tra l’Europa continentale e Mosca. Per ragioni simili, credo sia stata fermata anche la corsa alla successione del cardinal Scola, che da Patriarca di Venezia aveva condotto le trattative con Mosca. Per esserne certi, dovremo però acquisire altra documentazione. Da Wikileaks abbiamo inoltre saputo di operazioni di condizionamento psicologico attuate più recentemente su Papa Francesco. Sono miseramente fallite: Bergoglio sta rinnovando la Chiesa, per rafforzarla e non certo per indebolirla come qualcuno voleva, e con Kirill ha firmato un vero e proprio armistizio, con tanto di divisione delle reciproche sfere d’influenza. Proprio sotto le coste degli Stati Uniti, a Cuba.
La Chiesa cattolica statunitense avrebbe risentito della vittoria di Hillary Clinton?
Il problema non è mai stato l’episcopato statunitense, ma la Chiesa cattolica di per sé, il Papato vero e proprio.
I cattolici non rappresentano oggi in Usa un unico blocco elettorale. Tuttavia era lecito supporre che molti loro voti sarebbero andati alla Clinton sulla scorta delle esternazioni di Papa Francesco che, rispondendo in aereo a una domanda su Trump, ha detto che “una persona che pensa a fare muri e non ponti, non è cristiana”. Il candidato repubblicano ha fatto comunque più presa su di loro?
Intanto, Trump ha avuto l’accortezza di fare un accordo con la destra religiosa del suo partito, quella che gli ha dato il vicepresidente Mike Pence, circostanza che ha modificato l’intera equazione. Avrete tutti notato come il nuovo Presidente eletto abbia fatto riferimento al suo orrore per l’aborto a nascita parziale durante il terzo dibattito con Hillary. Quanto al muro, il Papa ha celebrato una Messa proprio sotto le pareti di una sua sezione che non è stato certamente Trump ad erigere. E sempre in un dibattito svoltosi durante la campagna presidenziale è uscito fuori che da senatrice, la Clinton nel 2006 aveva votato a favore dell’ampliamento della barriera. No, non penso abbia pesato moltissimo. E comunque il Muro non serve solo a fermare l’immigrazione, ma anche ad ostacolare i traffici illegali condotti dalla criminalità organizzata messicana, quella cui Donald vorrebbe addossare i costi di costruzione dei nuovi tratti della barriera.
Sui cosiddetti temi etici c’è dunque differenza tra Trump e Clinton. Dobbiamo ora aspettarci novità rispetto alla linea progressista di Obama?
Gran parte di queste questioni è materia statale e non federale, però il nuovo Presidente dovrà integrare la Corte Suprema, che ha perso un conservatore del calibro del giudice Scalia. Di lì può cambiare qualcosa. Peraltro, Trump non è eticamente un conservatore tradizionalista. È un portatore dei cosiddetti New York Values. Altra roba.
Durante la campagna elettorale Trump ha posto l’accento su ipotetici brogli elettorali per far vincere la sua avversaria. Mera strategia elettorale o preoccupazioni fondate?
Quanto era successo durante le primarie democratiche ai danni di Bernie Sanders autorizzava i peggiori sospetti. Non pochi simpatizzanti del socialista sconfitto da Hillary se la sono legata al dito. E votando l’8 novembre per Trump si sono vendicati.
Donald Trump - Wikimedia Commons
L'America di Trump: mano tesa verso Russia e Chiesa cattolica
Il prof. Dottori, docente in Studi Strategici, spiega come potrebbe cambiare l’atteggiamento statunitense rispetto a temi geopolitici, etici e religiosi