In oltre settecento anni di storia, dal 1260 ad oggi, le Confraternite hanno lasciato a Roma segni indelebili della loro esistenza ed attività in campo religioso, sociale, economico e culturale. Sono numerosi gli edifici del centro storico – veri e propri gioielli artistici – eretti dalle Confraternite per l’esercizio di opere di culto, carità ed assistenza, spirituale e materiale.
È dunque coerente con la tradizione di queste associazioni pubbliche di fedeli che nell’ambito dell’Anno Santo in corso, sia stato organizzato (dall’Ufficio Confraternite della Diocesi di Roma) uno specifico Giubileo della Misericordia delle Confraternite. Iniziato il 7 ottobre, questo Giubileo culminerà sabato prossimo, 15 ottobre, con il passaggio della porta Santa di San Pietro e la Messa presieduta, nella Basilica, dal vicegerente di Roma, monsignor Filippo Iannone.
L’evento giubilare sarà occasione per riflettere sull’apporto dato dalle Confraternite alla società, specie in periodi storici in cui più urgente era il bisogno. All’attività cui esse sono vocate fu imposto uno slancio importante dal concorrere degli eventi a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Anni travagliati, quelli, per il popolo italiano e per le istituzioni ecclesiastiche.
Furono gli anni, infatti, dell’invasione delle truppe agli ordini del generale Napoleone che, su impeto della Rivoluzione Francese del 1789, ebbe la presunzione di voler imporre gli “immortali principi” anche al di là delle Alpi.
Calati giù per lo Stivale come moderni barbari, ostili alla fede cattolica, i soldati francesi bussarono fragorosamente alle porte dei territori della Chiesa. Nel 1796 inflissero alla Santa Sede un umiliante armistizio – firmato a Bologna il 23 giugno – che stabiliva il pagamento entro tre mesi di un tributo esorbitante (il cui pagamento esaurì le casse statali) e la consegna di cento opere d’arte e di cinquecento manoscritti.
Vilipesa ed economicamente depredata, la Santa Sede provò la strada delle trattative di pace con Parigi, che fu però vana, costringendo Papa Pio VI a rompere l’armistizio. Napoleone dichiarò allora guerra, penetrò nello Stato Pontificio e il culmine della sua aggressione si consumò a Loreto, dove fu saccheggiato il Santuario.
Sul finire del 1797 gruppi di fiancheggiatori dell’occupante straniero si erano organizzati in associazioni segrete anche a Roma, con l’intento di sobillare le masse soffiando sul fuoco del diffuso malcontento delle classi meno agiate (dovuto alla crisi economica seguita all’imposizione francese) e delle minoranze religiose.
Nel corso di una delle violente sommosse che agitavano l’Urbe in quei giorni, un generale dell’ambasciata francese intervenuto contro le truppe pontificie impegnate a sedare dei tafferugli, Mathurin-Léonard Duphot, fu colpito a morte da un colpo d’archibugio. La sua uccisione fu il casus belli atteso dai francesi per entrare a Roma.
Nel febbraio 1798 fu dichiarato decaduto il potere temporale del Papa e fu proclamata la Repubblica Romana, ispirata al modello francese e all’idea demagogica di restaurare i fasti della Roma antica.
Di fasti ce ne furono tuttavia ben pochi. Il nuovo Governo non fu eletto, bensì deciso arbitrariamente dai francesi. Il cuore religioso di Roma fu strappato. Pio VI venne prima arrestato e poi obbligato a lasciare fisicamente la cattedra di Pietro riparando in Toscana. Cacciato il Pontefice, ebbe inizio uno nuovo Sacco di Roma, condotto sistematicamente in musei, chiese, palazzi e biblioteche. Si stima che in un solo giorno circa cinquecento carri carichi di opere d’arte e oggetti preziosi lasciavano Roma alla volta della Francia.
La matrice relativista ed anticattolica degli invasori si esplicò inoltre con l’espropriazione dei beni della Chiesa e con la soppressione o con il radicale stravolgimento delle istituzioni religiose. E le conseguenze sociali non tardarono ad arrivare.
Il Monitore di Roma, un giornale dell’epoca, riportava nel marzo 1799 che “al presente non può essere maggior miseria in dette carceri. Ai detenuti manca il solito vitto, mancano gli strapunti e biancherie, e ad alcuni manca perfino un poco di paglia ove riposare la notte: l’immondezza è eccessiva e quasi tutti sono pieni di rogna”. La motivazione di questa decadenza fu individuata nella “soppressione in Roma di molti luoghi Pii”. La Repubblica Romana, infatti, non fu in grado di supplire alla precedente organizzazione carceraria, fondata sull’impegno delle Confraternite.
Alle spoliazioni, agli abusi, alla violenza contro la religione si univa l’incapacità dell’indebito Governo di risolvere i problemi politici ed economici della città. Le pesanti imposte fiaccarono ulteriormente una già esausta popolazione. I romani non rimasero però passivi dinanzi a questo scempio. Presto una ribellione si accese dapprima a Trastevere per poi estendersi nei rioni Regola e Monti e in zone periferiche della città fino ai Castelli.
Malgrado la feroce reazione dei francesi (gli insorti catturati venivano fucilati in piazza del Popolo), le sommosse durarono a lungo e richiamarono l’attenzione delle potenze europee anti-napoleoniche. Furono dunque l’anticamera di un intervento, prima delle truppe di Ferdinando IV di Napoli appoggiate da una flotta britannica e poi di quelle austro-russe, che posero fine alla prima invasione napoleonica di Roma (una seconda avverrà pochi anni dopo).
In questa turbolenta fase storica, nonostante la soppressione ufficiale da parte dei francesi, incessante fu il prodigarsi delle Confraternite a favore dei bisognosi che si moltiplicavano. Condannati a morte, malati, vedove, orfani, donne di strada trovavano conforto spirituale e materiale presso queste istituzioni che rimasero dunque punti nodali della vita cittadina. L’avversione napoleonica non riuscì a cancellare il segno indelebile, visibile e non, di queste pie associazioni. Le quali sabato prossimo si ritroveranno fraternamente unite, oggi come in passato, nel luogo simbolo della cattolicità.
***
Fonti:
- “La pietà dei carcerati” – Confraternite e società a Roma nei secoli XVI-XVIII, di Vincenzo Paglia (ed. di Storia e Letteratura, 1980)
- Storia di Roma moderna e contemporanea, di Giovanni Di Benedetto e Claudio Rendina (ed. Newton, 2004)