Il grande filosofo russo Kantor svela l'influenza cattolica nel suo Paese

Intervista con il “legittimo continuatore dell’opera di Dostoevskij”

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di Jesús Colina

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 3 aprile 2011 (ZENIT).- Vladimir Kantor, il più importante filosofo russo vivente, inserito da “Le nouvel observateur” tra i “25 pensatori principali dell’umanità”, è convinto che lo sviluppo dei rapporti tra ortodossi e cattolici rappresenti un arricchimento culturale per entrambi.

ZENIT ha potuto conversare con Kantor, ritenuto il “legittimo continuatore dell’opera di Dostoevskij”, a due passi dal Vaticano, in occasione di una conferenza che ha pronunciato al Centro Russia Ecumenica.

Lei è venuto in Italia per parlare dell’influsso dell’Italia nella cultura russa. Qual è stato in particolare l’influsso della cultura cattolica?

Kantor: In tutti i Paesi ognuno ha il suo punto di vista. Dipende anche dal livello delle persone. Se vogliamo parlare del mondo della cultura, dai tempi di Dante, della Divina Commedia, il cattolicesimo italiano è entrato proprio come ispiratore non solo di una controparte, ma anche della stessa cultura russa. Se vogliamo prendere un’analogia, il famoso scrittore russo Nikolaj V. Gogol, quando ha scritto il suo romanzo più importante, “Le anime morte”, aveva intenzione di scrivere qualcosa di analogo alla Divina Commedia in tre parti, cioè cielo, inferno, purgatorio, considerando che il purgatorio nella teologia ortodossa non esiste e invece doveva essere una parte del romanzo. Probabilmente Gogol era così affascinato da Dante che non gli è venuto in mente che nella cultura ortodossa non è contemplato il purgatorio. L’influsso di Dante è stato costante. Fëdor Dostoevskij prende moltissimo da Dante. Spengler chiamava Dostoevskij il Dante russo. “Memorie dalla casa dei morti”, uno dei primi romanzi di Dostoevskij, è la variante russa dell’Inferno.

Io ho parlato di Gogol, ma in realtà l’influsso del cattolicesimo sulla Russia è già cominciato anche prima, dai tempi del Settecento di Pietro il Grande, quando si è avuto un grande influsso del cattolicesimo polacco. I polacchi hanno appoggiato la modernizzazione di Pietro il Grande e da quel momento sono state usate delle categorie culturali del cattolicesimo per organizzare la formazione culturale in Russia, usando le metodologie cattoliche, ma rifatte alla russa, alla maniera più ortodossa. Ho parlato di Pietro il Grande anche se bisogna riconoscere che il ruolo di mediatore tra la cultura cattolica e quella russa è stato dei popoli che stavano nei territori a metà tra i polacchi e i russi, i cosiddetti “piccoli russi”, o ucraini. Il principale sostenitore della politica imperiale sotto Pietro il Grande, il principale teologo, era un “piccolo russo”, che conosceva perfettamente il latino e che ha studiato a Roma nel Collegio Greco. Era il luogotenente patriarcale, e visto che Pietro aveva abolito il Patriarcato era di fatto il capo della Chiesa.

Un fatto molto singolare notato dai massimi filologi russi è che il simbolo di San Pietroburgo è una trasformazione del simbolo del Vaticano. La stessa città di San Pietroburgo fu chiamata così non in onore dello zar Pietro, ma in onore di San Pietro, San Pietroburgo vuol dire “città di San Pietro”, cioè Roma. L’idea era quella di costruire un impero russo che fosse simile in potenza all’Impero Romano, con una capitale che fosse simile in grandezza e potere alla città di Roma. Si possono poi ricordare grandi avvenimenti storici, come il Concilio di Ferrara-Firenze, nel 1439, quando si discusse l’unione tra i cattolici e gli ortodossi e fu raggiunta l’unione, che poi fu rifiutata dai greci e dai russi. Il grande teologo e pensatore russo Sergei Bulgakov, nel 1918, scrisse che dopo aver rifiutato quell’unione gli scismatici siamo diventati noi, non i cattolici. E Bulgakov lo diceva perché proprio negli anni della Rivoluzione, la distruzione bolscevica, intendeva dire e disse che se noi non fossimo rimasti da soli saremmo stati difesi dalla Chiesa e dall’Occidente.

Un elemento importantissimo dell’influenza del cattolicesimo in Russia è stata la pittura italiana. Anzitutto con Raffaello, senza parlare degli altri grandi artisti. La Madonna di Raffaello è stata in Russia il simbolo della cultura occidentale. Quando ci fu la famosa rivolta del 1848 a Dresda, il capo della rivolta era l’anarchico rivoluzionario russo Michail Bakunin, e propose di formare le barricate con i quadri di Raffaello e Murillo dicendo che i soldati tedeschi non avrebbero avuto il coraggio di sparare su di esse, e se lo avessero fatto la colpa sarebbe stata chiaramente loro.

Raffaello, per esempio, è stato un grande ispiratore di Aleksandr Sergeevic Puskin (1799-1837, considerato il fondatore della letteratura moderna russa, ndr.), che nelle sue poesie si riferiva moltissimo alla sua figura usando anche quella della moglie come personificazione di alcuni quadri di Raffaello. Nel romanzo “I Demoni” di Dostoevskij, in cui si parla dei rivoluzionari seguaci di Bakunin, si discute proprio della Madonna di Raffaello, c’è chi la vuole esaltare e chi la vuole distruggere, ma lo stesso Dostoevskij aveva sopra il suo tavolo da scrittore la riproduzione di questa Madonna, era la sua principale ispirazione nella scrittura. Il grande scrittore Lev Tolstoj, che era contro la Chiesa, contro l’esercito, contro lo Stato, era un contestatore di tutto, odiava invece la Madonna di Raffaello. E passò un’ora intera a Dresda a guardare la Madonna Sistina di Raffaello, dicendo alla fine: “Ma che devo fare con questo quadro… È solo una ragazza che ha generato un piccolino, e basta”.

Gli elementi che lei presenta parlano di una voglia di unità e di una ferita storica. Sono percepiti così dall’anima russa, dal popolo russo? La gente sente la divisione come una ferita?

Kantor: Da un punto di vista cristiano, per quanto capisco il cristianesimo, non parlerei dell’anima come di qualcosa di nazionale, perché l’anima va al di là di una Nazione, non c’è un’anima russa o un’anima italiana. È un eufemismo per parlare della mentalità russa. Molti intellettuali russi, parlando della mentalità del popolo semplice, lo paragonano al popolo medievale, dei tempi di Dante, che si liberava dei potenti, dei tiranni, solo perché senza distinguere molto voleva sentirsi libero. Il popolo russo non fa molte distinzioni. Il cattolico storicamente è un nemico, un aggressore, per cui bisogna essere ostili al cattolicesimo, così come bisogna essere ostili agli ebrei. Io, per esempio, avevo un grande amico, un predicatore, padre Alexander Men [assassinato nel 1990, ndr], che amava ripetere che le mura che dividono i cristiani non arrivano fino in cielo. Era un ebreo e un sacerdote che era molto vicino al cattolicesimo, molto ecumenico. E il popolo lo seguiva e andava a frotte ad ascoltare le sue prediche, finché la propaganda non ha iniziato a dire che era un ebreo e che si era venduto ai cattolici. È molto difficile parlare di una mentalità e di una opinione del popolo; secondo me il popolo non ha una opinione. La mentalità del popolo viene formata da vari mezzi, tra i quali i mezzi di comunicazione. Da me, quando chiedono “Cosa pensa il popolo?”, io dico “Il popolo non pensa niente”. Ci sono alcuni personaggi, alcuni intellettuali, alcune persone del popolo che formano e indirizzano la mentalità del popolo. Spesso mi è capitato di sentirmi chiedere qual è la filosofia della vecchietta del popolo, e io rispondo che non ha una filosofia, perché la filosofia presuppone un pensiero individuale, e la vecchietta del popolo non ha un pensiero individuale.

Se c’è un passo di unità tra cattolici e ortodossi a livello ecumenico, vuol dire che ci sarà un arricchimento per il patrimonio culturale dei due popoli?

Kantor: Certamente. E’ chiaramente così. Faccio un altro esempio. Una delle più luminose figure della letteratura russa, nel romanzo “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, è lo starets Zosima, il padre spirituale; c’è la descrizione monastica di questo starets russo, e ci sono le riproduzioni dei quadr
i italiani, la Mater Gloriosa, accanto alle icone russe. Il primo tentativo di dare un’immagine di un ecumenista russo ortodosso, nonostante Dostoevskij fosse molto anticattolico. E due eroi del romanzo, i due fratelli Karamazov, Ivan e Alëša, chiamano questo starets russo il “pater seraphicus”, cioè un titolo francescano. Addirittura Dostoevskij fu criticato da grandi critici russi più ortodossi conservatori perché aveva creato questo eroe missionario del romanzo, Alëša Karamazov, come un cattolico, perché questo starets lo mandava da monaco a lavorare nel mondo, come fanno i religiosi cattolici. Purtroppo le idee luminose di grandi anime come quella di Dostoevskij a Vladimir Solovëv non riuscirono ad affermarsi nella Russia quando poi con la Rivoluzione vinse un po’ l’anima diabolica della Russia stessa.

Una cosa straordinaria è che la rilettura moderna di Dante è cominciata subito dopo la Rivoluzione, con i grandi pensatori e i più grandi poeti russi di quei anni che si sono gettati sulla lettura di Dante. Quando chiesero ad Anna Achmatova, la matriarca della poesia russa, “Lei ha letto Dante?”, con il suo tono da grande regina della poesia rispose: “Non faccio altro che leggere Dante”.

I cambiamenti sociali e storici possono mutare moltissimi fattori, ma non possono cancellare le radici culturali, che continuano a formare le giovani generazioni. Io sono cresciuto nel dopoguerra della Russia, nello spirito del più sordo e assoluto potere sovietico, e noi siamo cresciuti con questi poeti che erano proibiti, però giravano clandestinamente, e leggevamo Achmatova, Osip Mandelstam, e Dante.. Io Dante l’ho letto da bambino. E così diceva proprio il poeta Mandelstam: noi siamo stati gettati sulle crudeli rive del ventesimo secolo per conservare lo spirito della cultura umanistica che è stato posto nelle nostre mani per trasmetterlo alle future generazioni. Da noi, anche se non solo da noi, decine di migliaia di persone di cultura, in mezzo ai tanti milioni di perseguitati, hanno vissuto l’esperienza di Dante, quella di essere mandate in esilio dalla propria terra, quindi si sono identificate nel suo destino. Non vorrei che con questo si pensasse che tutti in Russia hanno letto Dante. C’è una linea contraria, quella di Bakunin, dei Demoni di Tolstoj.

Lei ha speranze in un possibile incontro tra il Patriarca ortodosso russo e il Papa?

Kantor: Sono stati fatti così tanti tentativi nella storia, perfino quando sono state tolte le scomuniche del 1054. Si è fatto l’incontro del Papa con il Patriarca di Costantinopoli, ma lo scisma è rimasto. Non vorrei dare per reale quello che è solo un pio desiderio. Dico sempre nelle mie lezioni che il filosofo non si azzarda a fare previsioni sul futuro, lo può spiegare, ma non lo può prevedere [sorride].

I cattolici sentono la divisione con le Chiese d’Oriente come una ferita. Voi la sentite così o la vedete come un problema storico, cioè uno sta di qua, l’altro di là, e tutti stanno molto bene…

Kantor: Alcuni grandi uomini l’hanno sentita per davvero. Prima io parlavo di Vladimir Solovëv e di altri grandi spiriti. La Chiesa cattolica, per la sua stessa denominazione, sente di più quando qualcuno si allontana della propria universalità. La Chiesa ortodossa, per il suo stesso nome, ha in sé l’idea di essere l’unica vera Chiesa. Ho risposto indirettamente alla domanda.

Ci sarebbe qualcosa che aiuterebbe ad avvicinarsi di più?

Kantor: Bisogna fare degli sforzi nel campo della cultura, ci sono stati dei pensatori che hanno dato la vita per questo obiettivo. In un certo senso, mi fate una domanda politica, anche se di politica-ecclesiastica, ma io non posso dare una risposta politica. Secondo me una politica, cioè una strategia che porti all’unione, non ha nessun senso se non si trasforma in un fatto culturale davvero sentito dai popoli.

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ZENIT Staff

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