Inizia la Quaresima, tempo forte e favorevole per allenarci a vivere. I quaranta giorni che ci attendono, infatti, sono immagine della vita terrena, mentre i cinquanta del tempo Pasquale lo sono di quella celeste.
Per giungere al Cielo occorre vivere bene sulla terra. Ma che significa vivere bene? significa vivere autenticamente, essendo quello che siamo. Al contrario, vivere male significa vivere ipocritamente, essendo quello che non siamo.
Già, ma chi siamo? Molti sono convinti di conoscersi ma non è così. Per diradare la brina della menzogna e la nebbia dell’illusione è necessario andare in un luogo “asciutto”, tanto secco da non esserci acqua.
Il deserto, ecco il posto adatto. È qui che questa domenica la chiesa ci conduce con amore, per riportarci alla realtà nella quale viviamo. É nostra madre e ci conosce perché è l’unica ad avere un’ antropologia autentica, quella rivelata da Dio.
Questa ci dice che l’ uomo vive nel deserto perché ha perduto il Paradiso. Insinuando nel cuore il dubbio sull’ amore di Dio, il serpente ha ingannato Adamo ed Eva spingendoli a cercare se stessi e la propria realizzazione tagliando con Lui.
Cedendo all’orgoglio sollecitato dalla menzogna del demonio si sono ribellati a Dio credendo così di autodeterminarsi. Ma non erano diventati come Lui, anzi. Tagliando con la fonte della vita hanno invece sperimentato la morte. E si sono accorti di essere nudi, il segno che avevano perduto la propria identità.
Per questo si sono nascosti, stretti dalla paura. Erano precipitati nell’assurdo che capovolge l’esistenza di ogni uomo: avevano paura di Dio e del suo amore. Ma così non si può vivere.
Ecco, scacciati dal Paradiso erano finiti in un “deserto”. Non sapevano più chi fossero, condannati a faticare e sudare nell’illusione di poter “trasformare le pietre in pane”; obbligati dall’incapacità di accettare la realtà di dolore e sacrificio, a cercare “pinnacoli” da cui gettarsi, qualcosa di straordinario che cambi la storia; “prostrati” davanti al demonio perché schiavi delle concupiscenze che cercano negli idoli del mondo la sazietà.
È la nostra vita di ogni giorno, un deserto inospitale. E quella voce maligna che continua a sibilare quel “se” che ci infilza il cuore: “Se sei figlio di Dio”. È proprio qui, nel deserto, che l’avversario continua a tentarci. D’altronde è il suo territorio, lontano da Dio, senza vita.
E non c’è nulla da fare, continuiamo a soccombere. Non possiamo resistergli, “se” vivessimo da figli di Dio non staremmo qui ma a casa di nostro Padre. Nel deserto vivono i figli di questo mondo, schiavi del peccato e, per questo, incapaci di amare oltre la carne.
Si, perché se non è per amore, non si può pazientare e rispettare l’altro. Le “pietre” devono diventare pane, anche il cuore della moglie che è adirato e non ne vuole sapere di donarsi. Anche il carattere del figlio indurito dallo sforzo di crescere. Anche la testa del capo ufficio che ce l’ha con noi e non ci vuol dare queste ferie che ci spettano.
Tutto deve saziarci, subito. La storia che non ci soddisfa non può restare com’è, deve cambiare. Per questo ci issiamo sui “pinnacoli” sperando che, facendo qualcosa di speciale, gli altri si accorgano di noi, cosi da imprimere finalmente una svolta in famiglia, al lavoro, a scuola. Quanti ragazzi si deturpano il corpo e si spingono al limite con alcool e droghe, pur di sfuggire alla monotonia.
Non viviamo come figli di Dio, e per questo ci prostriamo al nostro patrigno, il demonio, che, in cambio di piaceri effimeri che sfuggono in un baleno senza saziarci, ci obbliga a servirlo nelle malvagità. I giudizi, le gelosie, i rancori, la lussuria e l’avarizia sono i liquami che sboccano da un cuore ridotto a cloaca perché inquinato dalla menzogna.
Ebbene proprio qui, in questo deserto nel quale abbiamo smesso d’essere quello che siamo, è sceso Gesù. E scende ancora, oggi e in questa Quaresima. Lui è Figlio, non ha mai smarrito la sua identità, neanche sulla Croce e nella tomba. Per questo è risorto e viene a consegnarci di nuovo la dignità e la natura di figli che abbiamo perduto.
Abbiamo bisogno di Cristo, che ci doni di partecipare alla sua vittoria sul peccato. Solo così potremo attraversare questa vita come un esodo verso la terra promessa. La quaresima ci aiuta proprio a convertirci, a lasciare il peccato per unirci a Cristo, attraverso le armi che ci offre la Chiesa, digiuno, preghiera ed elemosina.
Così le insinuazioni del demonio non saranno più comandi a cui dover obbedire, ma torneranno ad essere “tentazioni”, ovvero le “prove” attraverso le quali saremo purificati, perché risplenda in noi l’immagine e la somiglianza con il Padre.
Affrontate con Cristo, le tentazioni ci dischiudono di nuovo le porte del Paradiso. Sono come i metal detector degli aeroporti. Se in noi è vivo Cristo potremo passare senza che scatti alcun allarme; nessuna arma impropria come l’orgoglio sarà nascosta nel cuore.
Al contrario, la natura divina plasmata in noi dallo Spirito Santo ci farà combattere e resistere. Per questo, “se siamo figli di Dio”, il peccato e la morte non hanno più potere su di noi. Potremo amare senza esigere nulla da nessuno, “vivendo” in pienezza anche nel deserto, saziandoci “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Non avremo bisogno di piegare gli eventi alle nostre voglie, perché un figlio “non tenta” suo Padre, ma lo conosce e obbedisce alla sua volontà, che ha sperimentato come l’unica buona per lui. E saremo finalmente liberi di vivere senza lacci agli idoli di questo mondo, “servendo e adorando solo Dio”, perché Lui ha cura di noi, ci ama e provvede per i suoi figli sempre e solo il meglio.
Per giungere al Cielo occorre vivere bene sulla terra. Ma che significa vivere bene? significa vivere autenticamente, essendo quello che siamo. Al contrario, vivere male significa vivere ipocritamente, essendo quello che non siamo.
Già, ma chi siamo? Molti sono convinti di conoscersi ma non è così. Per diradare la brina della menzogna e la nebbia dell’illusione è necessario andare in un luogo “asciutto”, tanto secco da non esserci acqua.
Il deserto, ecco il posto adatto. È qui che questa domenica la chiesa ci conduce con amore, per riportarci alla realtà nella quale viviamo. É nostra madre e ci conosce perché è l’unica ad avere un’ antropologia autentica, quella rivelata da Dio.
Questa ci dice che l’ uomo vive nel deserto perché ha perduto il Paradiso. Insinuando nel cuore il dubbio sull’ amore di Dio, il serpente ha ingannato Adamo ed Eva spingendoli a cercare se stessi e la propria realizzazione tagliando con Lui.
Cedendo all’orgoglio sollecitato dalla menzogna del demonio si sono ribellati a Dio credendo così di autodeterminarsi. Ma non erano diventati come Lui, anzi. Tagliando con la fonte della vita hanno invece sperimentato la morte. E si sono accorti di essere nudi, il segno che avevano perduto la propria identità.
Per questo si sono nascosti, stretti dalla paura. Erano precipitati nell’assurdo che capovolge l’esistenza di ogni uomo: avevano paura di Dio e del suo amore. Ma così non si può vivere.
Ecco, scacciati dal Paradiso erano finiti in un “deserto”. Non sapevano più chi fossero, condannati a faticare e sudare nell’illusione di poter “trasformare le pietre in pane”; obbligati dall’incapacità di accettare la realtà di dolore e sacrificio, a cercare “pinnacoli” da cui gettarsi, qualcosa di straordinario che cambi la storia; “prostrati” davanti al demonio perché schiavi delle concupiscenze che cercano negli idoli del mondo la sazietà.
È la nostra vita di ogni giorno, un deserto inospitale. E quella voce maligna che continua a sibilare quel “se” che ci infilza il cuore: “Se sei figlio di Dio”. È proprio qui, nel deserto, che l’avversario continua a tentarci. D’altronde è il suo territorio, lontano da Dio, senza vita.
E non c’è nulla da fare, continuiamo a soccombere. Non possiamo resistergli, “se” vivessimo da figli di Dio non staremmo qui ma a casa di nostro Padre. Nel deserto vivono i figli di questo mondo, schiavi del peccato e, per questo, incapaci di amare oltre la carne.
Si, perché se non è per amore, non si può pazientare e rispettare l’altro. Le “pietre” devono diventare pane, anche il cuore della moglie che è adirato e non ne vuole sapere di donarsi. Anche il carattere del figlio indurito dallo sforzo di crescere. Anche la testa del capo ufficio che ce l’ha con noi e non ci vuol dare queste ferie che ci spettano.
Tutto deve saziarci, subito. La storia che non ci soddisfa non può restare com’è, deve cambiare. Per questo ci issiamo sui “pinnacoli” sperando che, facendo qualcosa di speciale, gli altri si accorgano di noi, cosi da imprimere finalmente una svolta in famiglia, al lavoro, a scuola. Quanti ragazzi si deturpano il corpo e si spingono al limite con alcool e droghe, pur di sfuggire alla monotonia.
Non viviamo come figli di Dio, e per questo ci prostriamo al nostro patrigno, il demonio, che, in cambio di piaceri effimeri che sfuggono in un baleno senza saziarci, ci obbliga a servirlo nelle malvagità. I giudizi, le gelosie, i rancori, la lussuria e l’avarizia sono i liquami che sboccano da un cuore ridotto a cloaca perché inquinato dalla menzogna.
Ebbene proprio qui, in questo deserto nel quale abbiamo smesso d’essere quello che siamo, è sceso Gesù. E scende ancora, oggi e in questa Quaresima. Lui è Figlio, non ha mai smarrito la sua identità, neanche sulla Croce e nella tomba. Per questo è risorto e viene a consegnarci di nuovo la dignità e la natura di figli che abbiamo perduto.
Abbiamo bisogno di Cristo, che ci doni di partecipare alla sua vittoria sul peccato. Solo così potremo attraversare questa vita come un esodo verso la terra promessa. La quaresima ci aiuta proprio a convertirci, a lasciare il peccato per unirci a Cristo, attraverso le armi che ci offre la Chiesa, digiuno, preghiera ed elemosina.
Così le insinuazioni del demonio non saranno più comandi a cui dover obbedire, ma torneranno ad essere “tentazioni”, ovvero le “prove” attraverso le quali saremo purificati, perché risplenda in noi l’immagine e la somiglianza con il Padre.
Affrontate con Cristo, le tentazioni ci dischiudono di nuovo le porte del Paradiso. Sono come i metal detector degli aeroporti. Se in noi è vivo Cristo potremo passare senza che scatti alcun allarme; nessuna arma impropria come l’orgoglio sarà nascosta nel cuore.
Al contrario, la natura divina plasmata in noi dallo Spirito Santo ci farà combattere e resistere. Per questo, “se siamo figli di Dio”, il peccato e la morte non hanno più potere su di noi. Potremo amare senza esigere nulla da nessuno, “vivendo” in pienezza anche nel deserto, saziandoci “di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Non avremo bisogno di piegare gli eventi alle nostre voglie, perché un figlio “non tenta” suo Padre, ma lo conosce e obbedisce alla sua volontà, che ha sperimentato come l’unica buona per lui. E saremo finalmente liberi di vivere senza lacci agli idoli di questo mondo, “servendo e adorando solo Dio”, perché Lui ha cura di noi, ci ama e provvede per i suoi figli sempre e solo il meglio.