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Francesco incontra don Ernest Simoni, il sacerdote albanese perseguitato dai comunisti

Il Papa aveva già incontrato a Tirana il sacerdote, in prigione per 28 anni. Insieme a lui, all’udienza generale, anche un gruppo dei “liquidatori di Chernobyl” e una delegazione bielorussa

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È con un bacio sulle mani che Francesco ha accolto stamani, dopo l’Udienza generale, don Ernest Simoni, il sacerdote albanese che ha passato 28 anni in prigione e che il Papa aveva già abbracciato il 21 settembre 2014 a Tirana, dopo aver ascoltato la storia della sua persecuzione.
Sul sacerdote è stato pubblicato recentemente un libro di Mimmo Muolo, giornalista di Avvenire, per le edizioni Paoline. Lo stesso Simoni ne ha consegnato una copia oggi al Pontefice, accompagnato dal giornalista e da suor Marisa, rappresentante delle Paoline.
Il Papa, visibilmente commosso, ha detto, “io mi ricordo di quello che lei ha detto nella cattedrale di Tirana” e si è quindi chinato a baciare le mani all’anziano sacerdote che ha definito “un martire”.
“La mia persecuzione — ha poi raccontato don Simoni a L’Osservatore Romano — è iniziata nella notte di Natale del 1963 quando, per il semplice fatto di essere prete, sono stato arrestato e messo in cella di isolamento, torturato e condannato a morte”. Al suo compagno di cella ordinarono di registrare “la prevedibile rabbia” del sacerdote contro il regime, ma don Ernest ebbe solo parole di perdono e di preghiera per i suoi aguzzini. E così la pena venne commutata in 25 anni di lavori forzati, nelle miniere e nelle fogne di Scutari. “In prigionia — ricorda il sacerdote — ho celebrato la messa a memoria in latino e ho anche distribuito la comunione”. Questo fino al 5 settembre 1990, giorno in cui arrivò l’agognata libertà.
Don Ernest ha potuto ricominciare la sua attività pastorale, anche se, afferma, in realtà non si era mai interrotta ma “solo vissuta in un contesto speciale”. Una volta libero, Simoni ha confermato il perdono ai suoi aguzzini: “Per loro — ha spiegato al quotidiano vaticano — invoco costantemente la misericordia del Padre”.
Dopo don Simoni, a salutare Papa Francesco c’era una significativa rappresentanza dei cosiddetti “liquidatori di Chernobyl”, ovvero coloro che, il 26 aprile 1986, cercarono in ogni modo di contenere gli effetti del tragico incidente nucleare, pagandone di persona le conseguenze. “Sono vigili del fuoco, soldati, minatori e volontari che davvero eroicamente hanno provato a salvare la vita di tante persone, prestando i primi soccorsi e rimanendo esposti al contagio” spiega l’arcivescovo di Lviv dei latini, monsignor Mieczysław Mokrzycki, che ha accompagnato il gruppo venuto dall’Ucraina. Ricordare quanto è accaduto a Chernobyl, aggiunge, “significa rilanciare anche l’impegno per un vero rispetto dell’uomo e del creato”.
Sempre per mantenere viva la memoria del disastro di Chernobyl, all’udienza era presente anche l’arcivescovo di Minsk-Mohilev, monsignor Tadeusz Kondrusiewcz, con una delegazione bielorussa. “Siamo qui — ha detto — anche per ricordare coloro che, in questi anni, sono morti proprio per gli effetti diretti e devastanti delle radiazioni”. Con ucraini e bielorussi erano presenti poi in piazza San Pietro i rappresentanti della fondazione Aiutiamoli a vivere, nata a Terni nel 1992 espressamente per aiutare i bambini ammalati della regione di Chernobyl. Finora ne sono stati accolti in Italia oltre 600mila, mentre centinaia di volontari italiani passano le ferie estive in Bielorussia per ristrutturare case e ospedali.

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ZENIT Staff

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