Enrico Manfredini, arcivescovo di Bologna per pochi mesi, ossia dal 18 marzo al successivo 16 dicembre 1983, due settimane prima di morire fu presente il 2 dicembre alla presentazione delle Lettere al Fratello del cardinal Domenico Svampa.
Intervenendo richiamò un episodio narrato il 26 maggio 1901 da Svampa – con in corsivo le ultime parole – al fratello: “Giovedì scorso un grosso sciame d’api venne nel mio cortile. Si affollò gran gente. Parecchi volevano impossessarsene, ma Leonida (il cameriere) prevalse con un grosso ramo verdeggiante di miele”.
A modo di commento Manfredini disse: “Io, figlio di operai, non ho uno stemma. Vi confesso però che se un giorno i bolognesi volessero ricordarmi con un emblema araldico, mi piacerebbe avere questo ramo verdeggiante spalmato di miele, che attira a conquista lo sciame”.
E così è avvenuto: infatti sulla sua tomba, nella Cattedrale San Pietro di Bologna, oltre ai dati biografici essenziali vi è una scultura in bronzo rappresentante un ramo cosparso di miele che attira le api.
E ciò ben esprime quanto fece: basti ricordare l’aiuto alle popolazioni bisognose dell’Uganda o al pellegrinaggio con centinaia di giovani al santuario bolognese di San Luca. Tutto nella linea di quanto ebbe a dire nel discorso d’ingresso nella diocesi di Bologna in cui, dopo aver affermato la centralità di Gesù, affermò: “Oggi il problema cruciale è l’uomo: l’uomo nella sua umanità.
Oggi vengono oscurati e calpestati nella coscienza dell’uomo proprio i valori essenziali che lo fanno essere veramente uomo. La questione morale di cui tanto si parla, è realmente la crisi più drammatica della nostra epoca. Essa è provocata dallo smarrimento della vera identità umana; dalla perdita della consapevolezza della stessa essenza e dignità dell’uomo; dal rifiuto del Redentore dell’uomo”.
Enrico Manfredini, vescovo senza stemma
Una presenza fugace ma efficace