"Ecco come si arrivò alla censura di Benedetto XVI alla Sapienza"

Gianluca Senatore, allora rappresentante degli studenti, svela i retroscena di quelle polemiche che portarono il Papa a rinunciare all’invito

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Il Papa in Ateneo? Non è gradito. Sono passati sei anni da quel 15 gennaio 2008, data in cui la Santa Sede declinò l’invito del rettore dell’Università “La Sapienza” a papa Benedetto XVI affinché, due giorni dopo, inaugurasse l’anno accademico. La scelta di Oltretevere fu dettata dalla percezione che non vi fosse la possibilità di garantire l’ordine pubblico, date le roventi polemiche che erano state suscitate nei giorni prima da nugoli di docenti e studenti.

Apparve paradossale che un luogo deputato al confronto qual è l’università – per giunta “La Sapienza”, fondata da Bonifacio VIII nel 1303 – applicasse una censura nei confronti di chi ha un pensiero diverso da quello dominante nelle cerchie dell’intellighenzia laica e progressista. Eppure accadde.

Tuttavia, non si è mai andati a fondo delle dinamiche da cui scaturì la rinuncia del Santo Padre. Almeno fino ad oggi, cioè all’uscita del libro Sapienza e libertà. Come e perché papa Ratzinger non parlò all’Università di Roma (Donzelli editore), scritto dal giornalista Pier Luigi De Lauro, con prefazione dell’allora sindaco della Capitale, Walter Veltroni.

Il volume si avvale delle testimonianze di alcuni protagonisti di quella vicenda, come l’allora rettore dell’Università Renato Guarini. Lui stesso spiega che il Papa non avrebbe dovuto tenere una lectio magistralis, come erroneamente riportarono su alcuni organi d’informazione, bensì un discorso al termine della cerimonia d’inaugurazione. Il Senato accademico accolse la proposta, che fu invece osteggiata in un articolo del prof. Marcello Cini, deceduto nel 2012, sul quotidiano Il Manifesto.

L’articolo, che denunciava una presunta ingerenza religiosa del Papa, innescò un vespaio di polemiche, tanto da indurre 67 docenti della facoltà di Fisica a firmare una lettera in cui si chiedeva il ritiro dell’invito.

L’insofferenza verso il Papa contagiò alcune organizzazioni studentesche vicine alla sinistra, le quali attirarono le attenzioni di una stampa evidentemente avida di offrire risonanza alla vicenda.

Secondo Gianluca Senatore, allora rappresentante di un’importante organizzazione di studenti ed oggi presidente di un comitato della Fondazione Roma Sapienza, furono infatti i giornalisti a montare il caso. Intervistato da ZENIT, Senatore ha ripercorso gli eventi che si susseguirono nella fase più intensa di quei giorni, culminata con l’occupazione del Senato Accademico e del Rettorato.

“In quei giorni – racconta – non si percepiva nessun tipo di agitazione nella Città Universitaria. A parte piccole riunioni in alcune Facoltà, partecipate da pochi studenti, il clima era più che sereno. L’unica agitazione era rappresentata da centinaia di giornalisti e fotografi che si affannavano a fermare gli studenti per i viali dell’Ateneo cercando di carpire un qualsiasi segno di malumore o di disagio per l’arrivo del Papa”. Spesso queste interviste – racconta divertito Senatore -“non sortivano l’effetto desiderato e puntualmente l’intervistatore di turno era costretto a tagliare la serena e inutile dichiarazione della quasi totalità degli studenti intervistati che non aveva la minima idea di quello che stesse accadendo”.

Il clamore lo suscitò allora l’occupazione del Senato Accademico, che fu ordita “da non più di 15 studenti”, assicura Senatore. “Una volta salite le scale ed entrati nella sala – prosegue il racconto -, qualcuno dalla finestra chiamò i giornalisti, che si catapultarono al primo piano del Rettorato, riempirono la sala e descrissero l’occupazione come un gesto di profondo significato laico”. Una descrizione e un clamore, spiega l’ex studente con “molta sincerità”, che “non resero giustizia alla verità”.

L’ex responsabile dell’organizzazione studentesca, che assicura che “se ce ne fosse stato bisogno avremmo raccolto migliaia di firme a sostegno della visita del Papa”, fu anche il relatore del discorso introduttivo all’inaugurazione.

“Espressi – racconta – il dispiacere sentito e profondo della stragrande maggioranza degli studenti, laici e cattolici, credenti e non credenti, perché Benedetto XVI non era lì con noi, perché non era presente all’inaugurazione dell’anno accademico del nostro Ateneo, e non era presente anche a causa di una campagna di disinformazione portata avanti da influenti organi di stampa”.

Affermazioni, rivela Senatore, che “ancora oggi, pesano come un macigno: ogni tanto qualche importante giornale scrive qualcosa sul mio conto riportando questa frase come se fosse una cosa che mi marchierà per sempre”. Qual è la colpa attribuitagli? “Aver difeso il diritto di parola del Pontefice. Per quanto io potessi essere, in qualche modo, influenzato dalla grande personalità di Cini e di alcuni fisici firmatari dell’appello, fu sicuramente più per modestia che per altro se nel mio discorso la posizione a favore della visita del Pontefice fu così chiara ed inequivocabile”.

Anche perché Gianluca Senatore – spiega senza remore – non era certo un sostenitore di Benedetto XV, non avendo letto nulla di lui prima di quell’evento. Iniziò a farlo nei giorni immediatamente successivi. E scoprì qualcosa di inatteso, ossia dei “punti di contatto” tra il pensiero dell’attuale Papa emerito e quello del professor Cini.

“Non so quanti abbiano letto, ad esempio, L’ape e l’architetto o Un paradiso perduto: dall’universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi di Marcello Cini e, contestualmente, l’Enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI”, si domanda Senatore. “Basterebbero solo queste letture – prosegue – per capire che non c’è molta differenza nella preoccupazione di entrambi gli autori per la terribile deriva che la tecnica e la scienza hanno intrapreso nell’ultimo mezzo secolo”.

Affinità che trovano riscontro anche nel famoso discorso fatto da Benedetto XVI a Regensburg. “Lo stesso discorso – ricorda Senatore – che Marcello Cini contesta e cita nella lettera pubblicata su Il Manifesto: in questa il fisico fa riferimento alla pericolosa intenzione, manifestata in più occasioni da Benedetto XVI, di aprire un dialogo tra fede e ragione”.

“È evidente – prosegue l’ex studente – che le affermazioni di Cini nulla hanno a che vedere con la laicità, ma provengono da sentimenti ideologici quasi insuperabili. Ecco perché se avessimo prestato più attenzione alle posizioni di entrambi, probabilmente si sarebbe subito capito che non si trattava di difendere la laicità delle istituzioni, ma piuttosto di difendere il primato della scienza su ogni altro potere. La scienza dei fisici e della grande tradizione, il sapere delle scienze naturali, quelle stesse scienze alle quali il professor Ratzinger aveva rivolto l’invito, nel discorso di Regensburg, a servirsi anche delle altre scienze e discipline, come ad esempio la filosofia o in modo differente la teologia”.

Purtroppo però, nessuno si degnò di “prestare più attenzione”, privilegiando invece il pregiudizio e la censura. La visita di Benedetto XVI saltò, generando tuttavia un effetto contrario rispetto alle intenzioni dei contestatori. Gianluca Senatore nutrì da quel giorno un sempre maggior interesse verso il Pontefice, tanto da arrivare oggi a dire: “A mio modestissimo parere Ratzinger ha rappresentato uno dei momenti più interessanti della tradizione culturale della Chiesa di Roma negli ultimi secoli”.

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Federico Cenci

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