Non una semplice “parentesi” o “un breve capitolo di storia dei Papi”, piuttosto “una forte e indeclinabile testimonianza di ciò che è l’essenza, il fondamento autentico del vivere nella Chiesa e per la Chiesa”. È stato questo, secondo il cardinale Pietro Parolin, il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, succeduto a Papa Montini il 26 agosto 1978 e morto dopo appena 33 giorni, il 29 settembre.
“Il governo di Albino Luciani non si è potuto dispiegare nella storia”, ma “egli ha comunque concorso in modo decisivo a rafforzare il disegno di una Chiesa che è risalita alle sorgenti con il Concilio e che nella semplicità e nella povertà evangelica si piega a servire il mondo”, ha spiegato il Segretario di Stato nel suo intervento a Canale d’Agordo, paese natale di Luciani dove, ieri pomeriggio, è stata avviata una due giorni in occasione del 38° anniversario dell’elezione del ‘Papa del sorriso’.
Durante l’evento sarà presentato anche un numero speciale della rivista «Le Tre Venezie» dal titolo Giovanni Paolo I. Albino Luciani, un Papa attuale. Una delle due prefazioni della pubblicazione è stata redatta dallo stesso porporato, mentre l’altra è firmata dal prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione del Pontefice.
Nella sua riflessione – riportata ampiamente da L’Osservatore Romano – il card. Parolin ha tratteggiato le radici umane e il profilo pastorale di Luciani, confessando la sua “particolare devozione” verso il Papa veneto. Secondo il Segretario di Stato l’immagine “decisiva e feconda” che connota la pastoralità di Giovanni Paolo I è quella della Chiesa come mysterium lunae: una Chiesa, cioè, “che non brilla di luce propria, ma di luce riflessa, che non è proprietà degli uomini, ma Christi lumen”.
Questo spiega la sua scelta di indossare “le vesti della povertà e della semplicità”; non certo — ha precisato il cardinale — “la povertà del populismo” che alimenta “la vicenda romantica e paternalistica del modesto prete di campagna”, ma la povertà “storica ed esistenziale” che per Papa Luciani “affondava le radici nel mai dimenticato fondamento di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, sul modello di Cristo”.
In lui, del resto, ha aggiunto Parolin, “si coniugavano felicemente nova et vetera” e “nell’assoluta coincidenza tra quanto egli insegnava e quanto viveva”, appariva credibile “il volto della mitezza e quello della fermezza, della comprensione e del rigore, della misericordia e della sicurezza della dottrina”.
Nel pomeriggio di oggi, venerdì 26 agosto, il porporato ha celebrato la Messa insieme al vescovo emerito di Belluno-Feltre, monsignor Giuseppe Andrich, con il nuovo pastore, monsignor Renato Marangoni. Successivamente ha inaugurato la nuova sede del museo dedicato ad Albino Luciani, che vuol essere “un faro per illuminare il mondo con la scintilla della carità e con il messaggio che Papa Luciani ci ha lasciato”.
Nella sua omelia, Parolin ha portato il saluto di Papa Francesco e ricordato il profondo legame di Giovanni Paolo I con la sua terra. Commentando la prima lettura, ha poi evidenziato che “il profeta Isaia ci invita a tornare a Dio con fiducia, perché egli è pieno di misericordia nei confronti del peccatore pentito: è prima di tutto un Padre, anzi, per riprendere l’espressione di Papa Luciani usata all’Angelus del 10 settembre 1978, ‘è papà; più ancora è madre… non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma’”.
Queste parole dell’allora Pontefice, ha proseguito il cardinale Parolin, “fanno riflettere perché ha mostrato al mondo la tenerezza di Dio, la sua misericordia, la sua compassione: è stato una manifestazione particolarmente luminosa e trasparente della misericordia divina tra gli uomini, un segno tangibile dell’amore del Padre nei confronti dell’umanità”.
Il Segretario di Stato si è detto certo che la causa di canonizzazione in corso, “contribuirà certamente a far emergere questa ricchezza di una vita e di un’opera esemplare”. Del resto, ha proseguito, “la piccolezza, l’umiltà e la semplicità sono state le caratteristiche principali di Albino Luciani”. E “lo stesso motto scelto per lo stemma episcopale, Humilitas, mutuato da san Carlo Borromeo, esprime al meglio questa sua attitudine abituale”.
Parolin ha citato l’omelia del 6 gennaio 1959, tenuta proprio nella pieve di San Giovanni Battista, da Luciani appena fresco di nomina a vescovo di Vittorio Veneto: “Io sono — disse in quell’occasione — il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore”.
Proprio in questa eloquente frase, ha notato il porporato, “è contenuta tutta la ricchezza spirituale di Luciani: ogni progresso spirituale, ogni opera di bene compiuta, ogni gesto realizzato a favore del prossimo vengono da lui ricondotti alla bontà di Dio”. Davvero Luciani “è stato l’uomo della fiducia completa nel Signore, dal quale si sentiva amato e cercato: ha sempre considerato ogni sua esperienza spirituale come un dono della misericordia divina” ed è proprio grazie a questa certezza, che ha “imparato a riconoscere la mano di Dio anche negli eventi più imprevisti e pieni di difficoltà”.
Di Papa Luciani, Parolin ha ricordato anche una sua innata qualità: “quella di catechista”, “nel vero senso etimologico del termine: istruire a voce. Insegnare cioè a piccoli e adulti il Vangelo e il magistero della Chiesa. Con uno stile paterno, affabile, limpido e, al tempo stesso, avvincente”. Egli “aveva la capacità di far arrivare la sua parola a tutti e di sintetizzare i dogmi della fede e i precetti rendendoli familiari. Evitava lunghi ed elaborati discorsi e interpretazioni difficili. Il suo obiettivo era di formare i battezzati e farli maturare nella fede. Egli era un catechista nell’anima e anche da vescovo non perse mai occasione di raccomandare ai suoi sacerdoti di occuparsi del catechismo”.
Inoltre, Luciani “aveva un’empatia innata, il dono di immedesimarsi negli altri, nelle loro gioie come nelle loro difficoltà, nelle loro attese, come nei loro disagi. Una sintonia che si nutriva dall’amore di Dio che divenne fonte di amore verso il prossimo”. Lui “sentiva questa paternità come una missione a cui il Signore lo chiamava. Non poteva sottrarsi alla richiesta di Dio, perché era convinto che, se era stato scelto, la grazia divina non gli sarebbe mai mancata per portare a compimento il suo dovere. Il ministero sacerdotale era, quindi, per lui la massima espressione dell’amore verso i fratelli”.
Giovanni Paolo I, ha concluso il cardinale Parolin, “continua ancora oggi a invitare tutti noi a sentire vivamente presente l’amore di Dio”.
“Il governo di Albino Luciani non si è potuto dispiegare nella storia”, ma “egli ha comunque concorso in modo decisivo a rafforzare il disegno di una Chiesa che è risalita alle sorgenti con il Concilio e che nella semplicità e nella povertà evangelica si piega a servire il mondo”, ha spiegato il Segretario di Stato nel suo intervento a Canale d’Agordo, paese natale di Luciani dove, ieri pomeriggio, è stata avviata una due giorni in occasione del 38° anniversario dell’elezione del ‘Papa del sorriso’.
Durante l’evento sarà presentato anche un numero speciale della rivista «Le Tre Venezie» dal titolo Giovanni Paolo I. Albino Luciani, un Papa attuale. Una delle due prefazioni della pubblicazione è stata redatta dallo stesso porporato, mentre l’altra è firmata dal prefetto della Congregazione per il clero, il cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione del Pontefice.
Nella sua riflessione – riportata ampiamente da L’Osservatore Romano – il card. Parolin ha tratteggiato le radici umane e il profilo pastorale di Luciani, confessando la sua “particolare devozione” verso il Papa veneto. Secondo il Segretario di Stato l’immagine “decisiva e feconda” che connota la pastoralità di Giovanni Paolo I è quella della Chiesa come mysterium lunae: una Chiesa, cioè, “che non brilla di luce propria, ma di luce riflessa, che non è proprietà degli uomini, ma Christi lumen”.
Questo spiega la sua scelta di indossare “le vesti della povertà e della semplicità”; non certo — ha precisato il cardinale — “la povertà del populismo” che alimenta “la vicenda romantica e paternalistica del modesto prete di campagna”, ma la povertà “storica ed esistenziale” che per Papa Luciani “affondava le radici nel mai dimenticato fondamento di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, sul modello di Cristo”.
In lui, del resto, ha aggiunto Parolin, “si coniugavano felicemente nova et vetera” e “nell’assoluta coincidenza tra quanto egli insegnava e quanto viveva”, appariva credibile “il volto della mitezza e quello della fermezza, della comprensione e del rigore, della misericordia e della sicurezza della dottrina”.
Nel pomeriggio di oggi, venerdì 26 agosto, il porporato ha celebrato la Messa insieme al vescovo emerito di Belluno-Feltre, monsignor Giuseppe Andrich, con il nuovo pastore, monsignor Renato Marangoni. Successivamente ha inaugurato la nuova sede del museo dedicato ad Albino Luciani, che vuol essere “un faro per illuminare il mondo con la scintilla della carità e con il messaggio che Papa Luciani ci ha lasciato”.
Nella sua omelia, Parolin ha portato il saluto di Papa Francesco e ricordato il profondo legame di Giovanni Paolo I con la sua terra. Commentando la prima lettura, ha poi evidenziato che “il profeta Isaia ci invita a tornare a Dio con fiducia, perché egli è pieno di misericordia nei confronti del peccatore pentito: è prima di tutto un Padre, anzi, per riprendere l’espressione di Papa Luciani usata all’Angelus del 10 settembre 1978, ‘è papà; più ancora è madre… non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma’”.
Queste parole dell’allora Pontefice, ha proseguito il cardinale Parolin, “fanno riflettere perché ha mostrato al mondo la tenerezza di Dio, la sua misericordia, la sua compassione: è stato una manifestazione particolarmente luminosa e trasparente della misericordia divina tra gli uomini, un segno tangibile dell’amore del Padre nei confronti dell’umanità”.
Il Segretario di Stato si è detto certo che la causa di canonizzazione in corso, “contribuirà certamente a far emergere questa ricchezza di una vita e di un’opera esemplare”. Del resto, ha proseguito, “la piccolezza, l’umiltà e la semplicità sono state le caratteristiche principali di Albino Luciani”. E “lo stesso motto scelto per lo stemma episcopale, Humilitas, mutuato da san Carlo Borromeo, esprime al meglio questa sua attitudine abituale”.
Parolin ha citato l’omelia del 6 gennaio 1959, tenuta proprio nella pieve di San Giovanni Battista, da Luciani appena fresco di nomina a vescovo di Vittorio Veneto: “Io sono — disse in quell’occasione — il piccolo di una volta, io sono colui che viene dai campi, io sono la pura e povera polvere; su questa polvere il Signore ha scritto la dignità episcopale dell’illustre diocesi di Vittorio Veneto. Se qualche cosa mai di buono salterà fuori da tutto questo, sia ben chiaro fin da adesso: è solo frutto della bontà, della grazia, della misericordia del Signore”.
Proprio in questa eloquente frase, ha notato il porporato, “è contenuta tutta la ricchezza spirituale di Luciani: ogni progresso spirituale, ogni opera di bene compiuta, ogni gesto realizzato a favore del prossimo vengono da lui ricondotti alla bontà di Dio”. Davvero Luciani “è stato l’uomo della fiducia completa nel Signore, dal quale si sentiva amato e cercato: ha sempre considerato ogni sua esperienza spirituale come un dono della misericordia divina” ed è proprio grazie a questa certezza, che ha “imparato a riconoscere la mano di Dio anche negli eventi più imprevisti e pieni di difficoltà”.
Di Papa Luciani, Parolin ha ricordato anche una sua innata qualità: “quella di catechista”, “nel vero senso etimologico del termine: istruire a voce. Insegnare cioè a piccoli e adulti il Vangelo e il magistero della Chiesa. Con uno stile paterno, affabile, limpido e, al tempo stesso, avvincente”. Egli “aveva la capacità di far arrivare la sua parola a tutti e di sintetizzare i dogmi della fede e i precetti rendendoli familiari. Evitava lunghi ed elaborati discorsi e interpretazioni difficili. Il suo obiettivo era di formare i battezzati e farli maturare nella fede. Egli era un catechista nell’anima e anche da vescovo non perse mai occasione di raccomandare ai suoi sacerdoti di occuparsi del catechismo”.
Inoltre, Luciani “aveva un’empatia innata, il dono di immedesimarsi negli altri, nelle loro gioie come nelle loro difficoltà, nelle loro attese, come nei loro disagi. Una sintonia che si nutriva dall’amore di Dio che divenne fonte di amore verso il prossimo”. Lui “sentiva questa paternità come una missione a cui il Signore lo chiamava. Non poteva sottrarsi alla richiesta di Dio, perché era convinto che, se era stato scelto, la grazia divina non gli sarebbe mai mancata per portare a compimento il suo dovere. Il ministero sacerdotale era, quindi, per lui la massima espressione dell’amore verso i fratelli”.
Giovanni Paolo I, ha concluso il cardinale Parolin, “continua ancora oggi a invitare tutti noi a sentire vivamente presente l’amore di Dio”.