Quella resa ieri sera al Meeting di Rimini è stata un’autentica testimonianza di come l’evangelizzazione e il dialogo interreligioso possano armonicamente andare di pari passo.
72 anni, originario della diocesi di Vicenza, monsignor Camillo Ballin, è entrato nell’ordine comboniano nel 1963 ed è stato ordinato sacerdote nel 1969.
Quando gli venne chiesto dove desiderasse essere inviato missionario, lui espresse tre preferenze: “1) paesi arabi; 2) paesi arabi; 3) paesi arabi…”. È stato questo il primo degli aneddoti raccontati al pubblico del Meeting, dal vicario apostolico per l’Arabia del Nord, puntualizzando che la sua destinazione missionaria era stata da lui percepita come volontà del Signore.
Nel corso di una conferenza di un’ora, sul tema Vivere da cristiani, introdotta dal direttore di Tracce, Davide Perillo, il presule ha raccontato la sua duratura esperienza pastorale nella culla dell’Islam: un’avventura iniziata 47 anni fa, al momento dell’ordinazione sacerdotale.
Monsignor Ballin, che ricopre il suo incarico dal 2011, è sostanzialmente titolare di una diocesi con poco più di due milioni di cattolici, grande sette volte l’Italia e comprendente quattro paesi: Bahrein, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita.
Quasi mezzo secolo vissuto alle periferie del cristianesimo, a guidare comunità che hanno sempre rappresentato una piccola minoranza, composta per la quasi totalità da immigrati.
Sia in Bahrein che in Kuwait, ha ricordato Ballin, l’Islam è la religione di stato e la Shari’a è la principale fonte di diritto, mentre in Arabia Saudita nessun culto – nemmeno in privato – è autorizzato al di fuori dell’Islam ed è vietato persino parlare della propria fede.
Si tratta di paesi che “hanno basato la loro economia sul petrolio ma il calo del prezzo li ha messi in seria difficoltà – ha affermato il vicario apostolico -. La politica può fare molto poco se non c’è il cambiamento, la conversione dei cuori”.
La Chiesa Cattolica nei paesi del Golfo ha una libertà di azione molto limitata, senza possibilità di incidere in ambito sociale o politico. Anche in Kuwait, Bahrein e Qatar, dove il pluralismo religioso è formalmente legittimo, di fatto è quasi impossibile edificare chiese, parrocchie o oratori – anche per via delle minacce o dei ricatti degli imam fondamentalisti – mentre i monasteri sono completamente assenti.
Qualche spazio in più è concesso alle scuole cattoliche, tuttavia, i ragazzi cristiani che hanno conseguito la maturità, sono costretti a proseguire gli studi in Europa o in America, poiché l’accesso alle università è consentito solo ai musulmani.
L’esigua popolazione cristiana in quest’area mediorientale è comunque di età media piuttosto bassa, anche perché, chi non ha ottenuto la cittadinanza locale, all’età di 60 anni è costretto per legge a tornare nel suo paese di origine.
Come vive allora i cristiani nei paesi arabi, che tipo di testimonianza possono portare, in un contesto così ostile e ghettizzante? Monsignor Ballin è convinto che la loro presenza rientra nel piano di Dio: “Noi cristiani collaboriamo per una società più umana – ha detto -. La nostra vocazione è il mondo intero, mandiamo discepoli di Gesù Cristo ed è nostra missione aiutarli affinché dove andranno, siano ‘luce del mondo e sale della terra’”.
Nei paesi del Golfo, le poche chiese sono comunque assai frequentate e provviste di una cappella per l’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento e di una grotta della Madonna, per il culto di Nostra Signora d’Arabia.
Secondo Ballin, il Signore ha mandato cristiani in quella terra “per essere messaggeri di Dio nel cuore dell’Islam”. “Non esportiamo petrolio ma discepoli di Gesù”, ha aggiunto.
In quasi mezzo secolo, ha ammesso il vicario apostolico, nessun musulmano si è mai fatto battezzare: quei cinque che glielo lo chiesero erano spie oppure cercavano un pretesto per ottenere un passaporto europeo. In tutti i casi costoro hanno ricevuto il rifiuto del vescovo.
Ciononostante, monsignor Ballin si mostra raggiante e con il cuore in pace. “Se dopo 47 anni sono ancora nel mondo arabo è perché ho trovato nei cristiani e nei musulmani dei fratelli che mi accompagnano nella mia vita – ha raccontato -. Non ho mai avuto nessun problema personale con i musulmani, anzi ho trovato tra di essi degli amici sinceri e fedelissimi”.
“Dopo 47 anni posso dire che è infinitamente di più quello che ho ricevuto dal mondo arabo di quanto io abbia dato finora. Sono profondamente convinto e lieto di poter dire con tutta sincerità a qualsiasi fratello arabo o non arabo: tu sei un bene per me”, ha poi concluso il presule, evocando il tema del Meeting di quest’anno.
“Le parole di monsignor Ballin ci ricordano che la presenza cristiana è qualcosa di più molto grande di ciò che noi abbiamo in mente. È più grande delle parole che non puoi dire e delle opere che non puoi compiere”, ha commentato il moderatore Davide Perillo, al termine della testimonianza.
Meeting Rimini (2016) - Foto Copyright ZENIT (LM)
Apostoli di Cristo nella culla dell’Islam: l’esperienza di mons. Ballin
Ospite al Meeting di Rimini, il vicario apostolico dell’Arabia Settentrionale racconta: “In 47 anni non ho convertito nessuno ma ho trovato tanti amici musulmani sinceri e fedelissimi”