Il progetto di due Stati, Israele e Palestina, rischia di fallire. È quanto affermato da mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, nel suo intervento a New York sulla situazione in Medio Oriente, durante il quale ha rinnovato l’appello alla comunità internazionale perché ascolti il grido di dolore dei cristiani e delle altre minoranze vittime di persecuzioni e discriminazioni in questa regione.
Quello ritratto dall’arcivescovo nel suo intervento – riportato in stralci dalla Radio Vaticana – è uno “scenario frustrante”, in cui lo stallo dei colloqui di pace, gli atti di terrorismo e le azioni unilaterali rischiano di compromettere il dialogo per rilanciare un autentico processo di pace.
Durante il suo viaggio in Terra Santa del 2014, Papa Francesco – ha ricordato Auza – ha chiesto infatti alle autorità israeliane e palestinesi “di considerare la necessità della pace” e di perseguire con coraggio “la via del dialogo e della riconciliazione”.
La Santa Sede – ha aggiunto – crede fermamente che la soluzione di due Stati offra la migliore possibilità di un accordo pacifico”. Questo auspicio espresso dal Papa “deve diventare una realtà e non restare solamente un sogno”.
In particolare, speranza della Santa Sede è che l’accordo con lo Stato di Palestina, entrato pienamente in vigore lo scorso 2 gennaio, incoraggi le parti in conflitto ad impegnarsi sinceramente per una soluzione pacifica” e che, tale intesa, possa costituire un esempio di dialogo e di cooperazione per altri Paesi a maggioranza arabi e musulmani.
Di qui l’appello per porre “speciale attenzione” al Libano, dove rifugiati provenienti da conflitti in Paesi vicini sono un quarto della popolazione. La comunità internazionale – ha esortato l’osservatore vaticano – deve aiutare questo Paese a raggiungere una stabilità politica e ad affrontare tutte le problematiche legate alla questione dei rifugiati, magari ponendo in atto “una politica di azione globale per arginare la diffusione del fondamentalismo e dell’estremismo”.
“L’internazionalizzazione del terrore”, seminato nella regione, come pure in Nord Africa e in diverse parti del mondo, può essere infatti “neutralizzata” solo con una risposta collettiva mondiale.
Quello ritratto dall’arcivescovo nel suo intervento – riportato in stralci dalla Radio Vaticana – è uno “scenario frustrante”, in cui lo stallo dei colloqui di pace, gli atti di terrorismo e le azioni unilaterali rischiano di compromettere il dialogo per rilanciare un autentico processo di pace.
Durante il suo viaggio in Terra Santa del 2014, Papa Francesco – ha ricordato Auza – ha chiesto infatti alle autorità israeliane e palestinesi “di considerare la necessità della pace” e di perseguire con coraggio “la via del dialogo e della riconciliazione”.
La Santa Sede – ha aggiunto – crede fermamente che la soluzione di due Stati offra la migliore possibilità di un accordo pacifico”. Questo auspicio espresso dal Papa “deve diventare una realtà e non restare solamente un sogno”.
In particolare, speranza della Santa Sede è che l’accordo con lo Stato di Palestina, entrato pienamente in vigore lo scorso 2 gennaio, incoraggi le parti in conflitto ad impegnarsi sinceramente per una soluzione pacifica” e che, tale intesa, possa costituire un esempio di dialogo e di cooperazione per altri Paesi a maggioranza arabi e musulmani.
Di qui l’appello per porre “speciale attenzione” al Libano, dove rifugiati provenienti da conflitti in Paesi vicini sono un quarto della popolazione. La comunità internazionale – ha esortato l’osservatore vaticano – deve aiutare questo Paese a raggiungere una stabilità politica e ad affrontare tutte le problematiche legate alla questione dei rifugiati, magari ponendo in atto “una politica di azione globale per arginare la diffusione del fondamentalismo e dell’estremismo”.
“L’internazionalizzazione del terrore”, seminato nella regione, come pure in Nord Africa e in diverse parti del mondo, può essere infatti “neutralizzata” solo con una risposta collettiva mondiale.