Il caso Eluana e i giudizi clinici (apparentemente) inappellabili

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di Renzo Puccetti

ROMA, martedì, 23 dicembre 2008 (ZENIT.org).- La questione di Eluana Englaro, la giovane donna che da sedici anni vive in stato vegetativo occupa da mesi le cronache e alimenta un acceso dibattito bioetico in cui molto spesso si registra, duole dirlo, una scarsa o erronea conoscenza tecnica della questione. Questa approssimativa informazione alimenta molto spesso una distorta valutazione etica sull’intera vicenda.

Cercheremo di offrire alcuni elementi per una chiarificazione di alcuni aspetti, offrendo i riferimenti essenziali per ulteriori, possibili, approfondimenti.

Eluana, al pari di tutti i pazienti in stato vegetativo, non è morta. La definizione di morte cerebrale prevede la perdita irreversibile delle funzioni da parte di tutto l’encefalo (corteccia e tronco encefalico). Sebbene in maniera aneddotica ogni tanto appaia in letteratura medica qualche autore che pone la questione, in nessun paese occidentale i pazienti in stato vegetativo sono espiantati dei loro organi, o sono utilizzati quali donatori per la ricerca.

L’uso del termine “morte corticale” per i soggetti in stato vegetativo (1) è del tutto inadeguato, dal momento che la diagnosi di stato vegetativo è eminentemente clinica ed il substrato anatomo-funzionale di tale condizione è oltremodo diversificato (2).

Anzi, potremmo dire, che utilizzare il termine “morte corticale” è operazione che si connota per scarso livello di scientificità, ma elevato livello di propaganda ideologica. Lo stato vegetativo è pertanto una condizione di grave disabilità che in prima istanza si connota per l’assenza di evidenza della consapevolezza di sé e dell’ambiente, una vigilanza intermittente e conservazione delle funzioni autonomiche (il cuore batte autonomamente, la respirazione è spontanea, la auto-regolazione della temperatura corporea è integra). Non vi è quindi alcuna macchina a cui il paziente in stato vegetativo sia collegato e non vi è alcuna “spina” da staccare.

La qualificazione di “permanente” per definire lo stato vegetativo in cui versa Eluana Englaro non è corretta, dal momento che la permanenza è un giudizio prognostico che, seppure altamente probabile, non può assumere il carattere di certezza.

Anche l’impiego del termine “persistente”, seppure più idoneo in una prospettiva diagnostica, non è scevro da possibili interpretazioni disomogenee, pertanto se ne sconsiglia l’uso in favore dell’indicazione della durata della condizione (stato vegetativo da numero mesi/anni) (3). Il recentissimo caso della ventenne, uscita dallo stato vegetativo in cui si trovava dal 2005 grazie all’intervento di stimolazione corticale extradurale bifocale, ha, dicono il dottor Sergio Canavero e la dottoressa Barbara Massa Micon, autori dell’intervento,“infranto il muro dell’irreversibilità” (4), dimostrando ulteriormente quanto le valutazioni prognostiche dovrebbero sempre essere improntate alla cautela.

Non risulta allo scrivente che Eluana Englaro sia stata mai sottoposta a questo genere di accertamenti, né che a tutt’oggi sia stato richiesto ai medici dell’ospedale di Torino un consulto sul caso specifico.

La possibile residua capacità di deglutizione riferita ad Eluana da un collega specialista in neurologia riportata sui media, non fa altro che confermare l’inadeguatezza di certa sicumera nel formulare giudizi clinici apparentemente inappellabili e dimostra la necessità di una maggiore tutela giuridica dei soggetti altamente vulnerabili.

L’affermazione che “Eluana non ha alcuna sensazione” (5) è oltremodo temeraria e non supportata dalle evidenze scientifiche. Nessuno conosce l’entità e la qualità della sensibilità dei soggetti in stato vegetativo.

La percezione sensitiva e l’elaborazione delle sensazioni è assente se valutata clinicamente, ma il lavoro portato avanti soprattutto dal gruppo di lavoro del dr. Adrian Owen (6)“consente di identificare segni di coscienza nei pazienti con danni cerebrali che non comunicano” (7).

Peraltro l’elaborazione e la sottoscrizione da parte del padre, del primario e dell’amministratore delegato della clinica di un protocollo che prevede, tra l’altro, “la somministrazione di sostanze idonee a eliminare l’eventuale disagio utilizzando prodotti come saliva artificiale, spray di soluzione fisiologica e gel”, l’osservazione clinica della giovane donna per “verificare l’eventuale modifica della terapia, qualora fosse insufficiente a evitare la comparsa di segni clinici di sofferenza” e la sospensione del supporto nutrizionale e dell’idratazione da attuare “gradualmente, al fine di consentire la familiarizzazione del personale assistenziale con le manifestazioni cliniche di Eluana” (8) sono indicatori sufficientemente esaustivi dell’incertezza circa il livello di sofferenza che la eventuale morte per inedia procurerebbe ad Eluana Englaro.

La sovrabbondante letteratura scientifica dimostra che il testamento biologico è uno strumento del tutto inidoneo ad assicurare il rispetto dell’autonomia del paziente (9-13). Nel caso Englaro l’immaginifico testamento biologico orale della ragazza è stato ricostruito a posteriori sulla base di alcune testimonianze.

Interessante come la letteratura medica dimostri che l’accuratezza dei fiduciari nell’interpretare le reali volontà del paziente è assai insoddisfacente (14). Nel caso Englaro non vi è alcuna designazione di un fiduciario. Quindi possiamo dire che la morte per sospensione della nutrizione e idratazione non è certo che dia attuazione all’autonomia della paziente, sicuramente assicura la eteronomia del tutore e che questa coincida con quella della paziente è l’opinione del collegio dei giudici, non una verità scientifica.

La sospensione della nutrizione e dell’idratazione nel caso di una persona in stato vegetativo è un atto eutanasico. Ciò corrisponde alla definizione di eutanasia suggerita dalla National Library of Medicine: “The act or practice of killing hopelessly sick or injured individuals (as persons or domestic animals) in a relatively painless way for reasons of mercy; also : the act or practice of allowing a hopelessly sick or injured patient to die by taking less than complete medical measures to prolong life”.

Con la sentenza Englaro nel nostro paese un organo dello Stato stabilisce che una condizione clinica, considerata tale da rendere la vita non degna di essere vissuta, legittima la richiesta di morte.

La richiesta di non essere sottoposto a trattamenti non voluti non è qualcosa che riguarda unicamente l’individuo. L’articolo 32 della costituzione si compone di due commi; nel primo si afferma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Che Eluana viva è interesse della comunità, al pari dei tanti casi in cui leggi dello stato regolano i comportamenti delle persone e ne limitano la libertà proprio al fine di assicurare una maggiore tutela della salute dello stesso individuo.

Avremo modo di riprendere l’argomento rivolgendo particolare attenzione agli aspetti antropologici ed etici sollevati dal caso.

Riferimenti:

1. Luciano Orsi, http://www.swif.uniba.it/lei/scuola/carelli/bioetica/bioetica6.htm

2. Kampfl A, Franz G, Aichner F, Pfausler B, Haring HP, Felber S, Luz G, Schocke M, Schmutzhard E. The persistent vegetative state after closed head injury: clinical and magnetic resonance imaging findings in 42 patients. J Neurosurg. 1998 May;88(5):809-16.

3. Definizione di Stato Vegetativo e di Stato di Minima Coscienza. Documento elaborato dal Ministero della Salute, Gruppo di lavoro ”Stato vegetativo e stato di minima coscienza”. http://www.sicp.it/SICP_news.asp?ID=79

4. cfr. Italiasalute.it http://italiasalute.leonardo.it/Copertina.asp?Articolo_ID=9703

5. Riccio M. http://www.aduc.it/dyn/dilatua/dila_mostra.php?id=240291

6. University of Cambridge. http://www.neuroscience.cam.ac.uk/directory/profile.php?adrian

7. Di H, Boly M, Weng X, Ledoux D, Laureys S. Neuroimaging activation studies in the vegetative state: predictors of recovery? Clin Med. 2008 Oct;8(5):502-7.

8. cfr. Il Foglio, del 19 Dicembre 2008, pag. 1 e ins. I.

9. Silverstein MD, Stocking CB, Antel JP, Beckwith J, Roos RP, Siegler M. Amyotrophic lateral sclerosis and life-sustaining therapy: patients’ desires for information, participation in decision making, and life-sustaining therapy. Mayo Clin Proc. 1991 Sep;66(9):906-13.

10. Weissman JS, Haas JS, Fowler FJ Jr, Gatsonis C, Massagli MP, Seage GR 3rd, Cleary P. The stability of preferences for lifesustaining care among persons with AIDS in the Boston Health Study. Med Decis Making. 1999 Jan-Mar;19(1):16-26.

11. Danis M, Garrett A, Harris R, Patrick D. Stability of choices about life sustaining treatments. Ann Intern Med. 1994; 120:567-573.

12. Kressel LM, Chapman GB. The default effect in end-of-life medical treatment preferences. Med Decis Making. 2007 May-Jun;27(3):299-310.

13. Kressel LM, Chapman GB, Leventhal E. The influence of default options on the expression of end-of-life treatment preferences in advance directives. J Gen Intern Med. 2007 Jul;22(7):1007-10.

14. Shalowitz DI, Garrett-Mayer E, Wendler D. The Accuracy of Surrogate Decision Makers. Arch Intern Med. 2006;166:493-497.

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* Medico-chirurgo, specialista in medicina interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno. E’ inoltre membro del gruppo di lavoro della European Medical Association.

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ZENIT Staff

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