Il Natale e la famiglia

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di monsignor Massimo Camisasca*

ROMA, martedì, 23 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Durante alcune serate lasciate libere dagli impegni, sto rivedendo le opere teatrali di Pirandello, attraverso dei DVD offerti da qualche giornale. Pirandello ha descritto in anticipo la crisi dell’uomo europeo del Novecento, e lo ha fatto attraverso il racconto della fine della famiglia borghese, dopo la quale, secondo lui, l’istituto familiare non si è più ripreso.

Questa relazione così stretta che il commediografo ha stabilito fra le difficoltà dell’uomo e le difficoltà della famiglia, mi ha fatto riflettere. Tali problemi riappaiono continuamente nei dialoghi che ho quasi quotidianamente con le persone che vengono a parlarmi, che vengono a chiedermi aiuto, a consigliarsi con me. Se è vero il convincimento di Pirandello che la valle oscura attraverso cui passano le famiglie deriva dall’annebbiarsi della coscienza che l’uomo ha di se stesso, le strade attraverso cui ripartire non sono diverse da quelle che possono aiutare la rinascita dell’identità personale.

L’uomo è un essere bisognoso, ha bisogno degli altri per vivere, per prendere coscienza di se stesso, della propria identità culturale, sessuale, morale. I primi “altri” sono i genitori. Poi vengono gli amici e i maestri. E’ vero che un genitore può essere strappato lontano dalla morte, è vero che una famiglia può spezzarsi per gravi ragioni. Non si tratta di giudicare. Si tratta invece di indicare un ideale concreto, che renda la vita più facile. Avere dei genitori che si amano stabilmente, anche attraverso delle tensioni, difficoltà, prove, è un bene auspicabile per qualunque bambino. Poi ciascuno farà quel che potrà, ma io non posso smettere di indicare ciò che vorrei per tutti, ciò che è stato preparato da Dio per ciascuno.

La divisione fra i genitori deve essere sempre una ragione estrema, molto ponderata, di fronte al bene dell’educazione dei figli. Perché questo mio auspicio non sia visto come una formula magica, o un desiderio astratto, voglio indicare alcuni sostegni a esso. Ci vogliono degli amici, che sappiano consigliare e sostenere; degli aiuti economici per l’educazione dei figli, perché i genitori non siano soffocati dal lavoro nei momenti in cui devono stare più vicini ai loro bambini; occorrono scuole che possano coadiuvare l’opera educativa dei genitori. Anche noi sacerdoti dobbiamo considerare l’aiuto alle famiglie come una delle responsabilità primarie del nostro ministero.

Ma soprattutto occorre confidare in Dio, chiedere il suo aiuto, tornare a pregare in casa, anche soltanto alcuni minuti al giorno, prima di mangiare o prima di dormire, o al mattino presto prima di lasciare la casa. Le preghiere semplici che conosciamo tutti, l’Ave Maria, il Padre Nostro, l’Angelus. Dobbiamo, con coraggio, confidare a Dio le nostre difficoltà, e chiedere il suo aiuto.

Oggi siamo sepolti da una valanga di informazioni: la fecondità e la sessualità sono state separate, il genere maschile e quello femminile sembrano non contare più… «Dobbiamo slegarci da ogni rapporto con ciò che è predeterminato: scegliamo noi se essere maschi o femmine, se avere o no un rapporto stabile con un uomo o una donna, se avere o no dei figli, e quali figli avere…».

Assieme a ciò che di negativo vediamo nel nostro tempo, non possiamo negare i passi in avanti che sono stati compiuti: l’aiuto alla famiglia e alla maternità che viene dalle politiche sociali, le ricerche mediche sulle malattie del feto, le analisi sulle ragioni dell’infecondità, ecc. Ma tutto questo non deve farci dimenticare che la nostra felicità è legata all’accoglienza di dati oggettivi che ci precedono e che rendono possibile la nostra crescita: l’identità sessuale la riceviamo, così come l’innamoramento è un fatto gratuito, ed è un fatto gratuito, un dono, il figlio. Se si scardina questa struttura essenziale della vita, non si cammina verso un bene più grande, ma verso una confusione che rende tutti più infelici.

Il Natale ci riporta la Santa Famiglia di Nazareth. Proprio la sua normalità ha custodito la sua eccezionalità. La sua normalità è stata la fedeltà reciproca fra Maria e Giuseppe che si sono amati veramente e assieme hanno portato la straordinarietà di un figlio, un bambino come tutti gli altri, che pure era nato per opera di Dio senza intervento del padre terreno, e che era Dio stesso fatto uomo. Quale apertura continua alla diversità, quale animo grande e confidente ha modulato quella Presenza! Chiedo a Dio che sia così anche per ogni famiglia dei miei lettori.

[Estratto da “Fraternità e Missione”, dicembre 2008]

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* Superiore della Fraternità Sacerdotale San Carlo Borromeo.

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ZENIT Staff

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