L'ONU e la minaccia ai diritti umani

Intervista a monsignor Michel Schooyans

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di Alexandre Ribeiro

SAN PAOLO, mercoledì, 24 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Mentre si celebrano i 60 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la maggiore minaccia al documento e ai principi che vi vengono proclamati viene dalla stessa entità che ha dato vita al testo: l’ONU.

In questo mese dell’anniversario della Dichiarazione del 1948, ZENIT ha intervistato monsignor Michel Schooyans, famoso esperto di Filosofia politica e Demografia.

Monsignor Schooyans è membro della Pontifícia Accademia per la Vita e della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali ed è professore emerito presso l’Università di Lovanio (Belgio).

Ci parli per favore della genesi della Dichiarazione del 1948.

Mons. Michel Schooyans: L’ONU è stata creata nel 1945 con la Carta di San Francisco e, in qualche modo, consolidata nel 1948 con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. E’ stata consolidata sulla base di una missione fondamentale che è la promozione dei diritti di ogni essere umano. Ogni essere umano ha il diritto alla vita, afferma il terzo articolo della Dichiarazione. Il testo invita tutti gli uomini, i Paesi, i governanti a riconoscere la dignità di ogni essere umano, qualunque sia la sua forza, il colore della sua pelle, la sua religione, la sua età. Tutti abbiamo il diritto di essere riconosciuti semplicemente per il fatto di essere uomini. E’ su questa base, dice la Dichiarazione, che potremo costruire nuove relazioni internazionali, una società di pace e di fraternità.

Se c’è stata la Guerra Mondiale terminata nel 1945, è perché c’è stato un disconoscimento della realtà per cui tutti hanno diritti inalienabili e imperituri. La Dichiarazione si colloca in continuità con tutte le grandi dichiarazioni che hanno caratterizzato la storia politica e giuridica delle Nazioni occidentali. Ad esempio, la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 1776, la Costituzione USA del 1787, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino della Francia del 1789 sono le dichiarazioni classiche. Quella del 1948 si colloca nella tradizione più fedele a quelle dichiarazioni che hanno dimostrato la propria efficacia nel campo del riconoscimento e della promozione dei diritti umani, che sono riconosciuti per via di un atteggiamento morale e antropologico. Io riconosco la realtà del mio simile. Mi inchino alla sua presenza. Riconosco la sua dignità. Anche se è malato, all’inizio o alla fine della sua vita, ha una dignità che è uguale alla mia.

Che tipo di documento è la Dichiarazione del 1948?

Mons. Michel Schooyans: La Dichiarazione non è un documento di diritto nel senso tecnico della parola. Il documento enuncia i diritti fondamentali, ma perché questi siano messi in pratica hanno bisogno di una traduzione in testi legali. Hanno bisogno di essere codificati. Devono essere prolungati in strumenti giuridici appropriati, in quello che si chiama il diritto positivo. Ciò significa che i diritti proclamati nel 1948 devono esprimersi in leggi che verranno applicate dai Governi delle Nazioni e controllate dal potere giudiziario. Ci sono quindi due aspetti: primo, il riconoscimento della realtà degli esseri umani che hanno la stessa dignità e gli stessi diritti fondamentali, e dall’altro lato strumenti giuridici che danno una forma concreta, esigibile, a quei diritti riconosciuti come fondamentali.

Quando si parla della Dichiarazione del 1948, bisogna percepire che gli stessi diritti fondamentali possono dar luogo a codifiche diverse in base alle varie tradizioni giuridiche dei Paesi. Le Nazioni possono tradurre diversamente lo stesso rispetto che hanno per i diritti fondamentali degli uomini.

Quella che abbiamo appena evocato è la cosiddetta tradizione realista, che si piega di fronte alla realtà degli esseri concreti: tu, io e l’universalità degli esseri umani. Questa stessa tradizione comanda tutto l’edificio delle Nazioni democratiche: non solo l’edificio giuridico, ma anche quello politico, anch’esso basato sul riconoscimento dell’uguale dignità. Al giorno d’oggi, la Dichiarazione del 1948, che si ispira in modo nitido ed esplicito alla tradizione realista e che è stata redatta con la collaborazione di uno dei brasiliani più illustri della storia, Alceu Amoroso de Lima, viene contestata.

Quale tipo di contestazione?

Mons. Michel Schooyans: Una contestazione che deriva dall’influenza della teoria positivista del Diritto, elaborata soprattutto da un autore chiamato Kelsen (1881-1973). Sotto l’influenza di Kelsen, si è diffusa una nuova concezione del diritto, e quindi dei diritti umani. Tutto quello che abbiamo spiegato circa i diritti innati dell’uomo che, essendo uomo, ha naturalmente dei diritti, viene contestato. Tutto ciò è negato, è posto tra parentesi, è disprezzato e dimenticato. Esistono solo le norme giuridiche, il diritto positivo, cancellando ogni riferimento ai diritti che gli uomini hanno naturalmente. In questo contesto, le determinazioni giuridiche sono l’unica cosa che merita studio e rispetto. Questi ordinamenti giuridici, queste disposizioni dei Codici possono cambiare secondo il gusto di chi ha la forza per definirli. Sono un puro prodotto della volontà di chi ha potere, di chi riesce a imporre la sua visione di ciò che significa questo o quel diritto umano. Per questo, come si vede, dipende dall’arbitrio di chi ha la possibilità di imporre la propria concezione dei diritti umani, visto che non c’è più alcun riferimento alla verità, relativo alla realtà dell’uomo.

Quali sono le conseguenze?

Mons. Michel Schooyans: Sono tragiche. Il positivismo giuridico ha aperto e apre la via a tutte le forme di dittatura. Come diceva lo stesso Kelsen, nell’Unione Sovietica di Stalin c’era lo Stato di diritto, visto che c’erano delle leggi. Era un dittatore, ma faceva la legge. Ma quale legge? Quella che era espressione della sua volontà, della sua brutalità. Non aveva riferimento a diritti naturali, oggetto di una verità alla quale la gente aderisce e che si impone per il suo fulgore. La legge al tempo di Stalin era riflesso della volontà del più forte. Al giorno d’oggi, la legge che permette l’aborto o l’eutanasia non è una cosa diversa. E’ una legge che permette che vinca il più forte, che dice: visto che questa è la mia volontà decidiamo chi può essere ammesso all’esistenza e chi non può.

Questa mentalità è entrata in varie agenzie dell’ONU, e al giorno d’oggi l’ONU si sta comportando come una superpotenza globale, transnazionale, sulla linea di Kelsen. Egli stesso dice che le leggi nazionali, quelle che conosciamo nei nostri Codici nazionali, devono essere sottoposte ad approvazione, devono essere validate da un centro di potere piramidale. La validità delle leggi nazionali dipende dalla validità concessa dal potere sovranazionale ai codici nazionali particolari. Ciò significa che le Nazioni sono del tutto alienate dalla loro sovranità e gli esseri umani dalla loro autonomia. La gente lo verifica tutti i giorni, nelle discussioni parlamentari. Molti Parlamenti sono semplicemente dei teatri di burattini che eseguono decisioni venute da fuori e compiono la volontà di chi impone le proprie decisioni, eventualmente comprando i voti attraverso la corruzione.

Tutto questo avviene sotto il simulacro della globalizzazione, che merita la nostra attenzione. Nella mentalità di chi aderisce a questa concezione puramente positivista del diritto, la legge non è al servizio degli uomini e della comunità umana; è solo al servizio di questo o quel centro di potere. Questo può essere una Nazione come gli Stati Uniti, ma può essere soprattutto la trama delle volontà che si riuniscono nelle Nazioni Unite, appoggiate da molte ONG e anche da alcune società segrete, come la massoneria. Ciò dimostra che al giorno d’oggi il diritto internazionale tende a prevalere sui diritti nazionali, a schiacciarli, perché questi vengono a poco a poco disattivati. E’ una cosa terribile! Stiamo assistendo all’emer
gere di un diritto internazionale tirannico perché puramente positivista, ignorando i diritti umani inalienabili proclamati nel 1948. E la gente non capisce…

Un nuovo tipo di totalitarismo?

Mons. Michel Schooyans: Sì, perché da qui in poi la sovranità delle Nazioni è pura facciata. Kelsen lo spiega molto bene: il diritto internazionale, che detta la sua legge alle Nazioni, deve essere esso stesso validato, approvato, dal vertice della piramide, dall’istanza suprema. Facciamo un esempio: in questo momento c’è una discussione nella sede delle Nazioni Unite sull’introduzione o meno dell’aborto come “nuovo diritto umano”. Sarebbe una nuova versione della Dichiarazione del 1948. Una modifica devastante perché introdurrebbe in modo surrettizio un principio puramente positivo in una dichiarazione che è antropologica e morale. In questo contesto si inserirebbe anche il diritto all’eutanasia. Spetterebbe alle singole Nazioni ratificare questi “nuovi diritti umani” che emanano dall’istanza suprema. Ciò significa che, visto che il riferimento ai diritti naturali degli uomini sarebbe già stato disattivato, questa nuova Dichiarazione diventerebbe un documento di diritto puramente positivo, che dovrebbe essere applicato da tutte le Nazioni aderenti al nuovo testo della Dichiarazione o a qualche altro documento simile.

Quello che sta quasi avvenendo è una cosa spaventosa. E va oltre. La Corte Penale Internazionale, istituita alcuni anni fa, avrà come settore di competenza il giudizio delle Nazioni o delle entità che hanno rifiutato di riconoscere questi “nuovi diritti” inventati o che verranno inventati. La Chiesa cattolica è uno dei possibili obiettivi di questa Corte Internazionale. Anni fa c’è già stato chi ha detto che Papa Giovanni Paolo II avrebbe potuto ricevere un’istanza a comparire davanti al Tribunale Internazionale perché si opponeva a un “nuovo diritto”, il diritto” della donna ad abortire. Una minaccia simile pende su Benedetto XVI. Nel campo dell’educazione avviene la stessa cosa con l’ideologia di genere. In virtù di un “nuovo diritto umano”, le persone sceglierebbero il proprio genere, potrebbero cambiarlo. Il genere allora deve essere insegnato nelle scuole. E’ indottrinamento ideologico su larga scala, al punto che chi non sottoscrive questa ideologia sarebbe passibile di punizione da parte di una corte internazionale.

Si parla molto, quindi, di una modifica del testo della Dichiarazione?

Mons. Michel Schooyans: La Dichiarazione del 1948 enuncia principi fondamentali. Sono verità prioritarie, di base. Noi riconosciamo questo fatto, che l’essere umano ha naturalmente diritto alla vita, alla libertà, alla proprietà, a sposarsi, ad associarsi, a esprimersi liberamente e che tutto questo non deriva dalla libertà arbitraria degli uomini. Anche prima di entrare in una società politica, organizzata, l’uomo ha diritti umani fondamentali. E i diritti precedono la legge. Ma l’uomo ha bisogno che la società si organizzi perché questi diritti siano applicati e rispettati e perché, eventualmente, le infrazioni siano sanzionate. Tutto ciò attualmente viene messo in discussione. Circolano petizioni. C’è una petizione a favore dell’aborto e una contro di questo. Ma quelli che gridano più forte sono i sostenitori dell’introduzione di una modifica della Dichiarazione del 1948 che altererebbe la natura della Dichiarazione, così come quella ell’ONU.

Ciò è frutto solo della manipolazione del potere o anche di un “oscuramento delle coscienze”, per usare un’espressione di Benedetto XVI?

Mons. Michel Schooyans: Benedetto XVI ha validissimi motivi per insistere sul ruolo e sulla nobiltà della ragione. Tutto ciò di cui abbiamo discusso riguarda problemi di antropologia e di morale naturale. Si noti che la difesa dell’essere umano non è un privilegio della Chiesa; fa parte del patrimonio delle grandi tradizioni morali dell’umanità. La necessità di difendere l’uomo, di riconoscere la dignità umana è una cosa alla quale la gente ha accesso attraverso l’uso corretto della ragione. Purtroppo stiamo assistendo a una specie di perversione della ragione. L’uomo può essere manipolato, dominato. La ragione di un individuo o di un popolo può essere disconnessa. E si può riempire la testa di qualcuno con idee completamente folli. E’ il caso dell’aborto e dell’eutanasia.

In Belgio, l’aborto è stato definito un crimine dalla legge nel 1867. Chi ha fatto approvare questa legge non erano i cattolici, ma i liberali, che a quell’epoca erano più che altro di tendenza massonica, come del resto anche oggi. Sono stati loro a proporre quella legge. I cattolici hanno dato la propria approvazione, ma l’iniziativa è partita dai liberali, allora maggioritari. Vuol dire che la ragione funzionava. La loro ragione aveva scoperto che era evidente che l’essere umano dovesse essere difeso prima della nascita. E’ una questione di ragione. I tempi sono cambiati. Si può alterare la capacità di raziocinio. Oggi assistiamo a varie manovre in questo senso. Ci sono i casi dell’aborto, dell’eutanasia, del genere. C’è il problema dell’omosessualità: trent’anni fa, chi avrebbe penato a proporre un “nuovo diritto” all’omosessualità? La ragione umana è capace di genialità, ma è anche una facoltà delicata, vulnerabile, fragile, una facoltà che può essere immobilizzata, ibernata. La peggiore forma di schiavitù è quella mentale, la schiavitù della ragione, che comporta il naufragio della fede, perché non c’è atto di fede che non sia ragionevole. Se si entra in quella confusione mentale di dire che l’aborto è un diritto o l’eutanasia è un diritto, si entra in un processo che finisce per corrompere non solo la ragione, ma anche la fede.

[Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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