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L’immigrazione è un fenomeno complesso, difficile da regolare e in continuo aumento nel mondo, tanto che, nonostante esso esista in misura significativa già da oltre trecento anni, oggi sembra assumere una dimensione globale. Almeno due sono le realtà che, a un primo approccio, dovrebbero guidarne la valutazione. Il primo principio imprescindibile è che ci si trova di fronte a persone umane, uomini e donne, bambini e anziani, che hanno diritto ad essere trattate come tali. Il secondo elemento imprescindibile, ma molti lo dimenticano o si sforzano di dimenticarlo, è che, tra il 1876 e il 1976, sono emigrati in altri Paesi 27 milioni di italiani. Infatti non si può fare a meno di ricordare le esperienze, molto spesso disumane e molto dolorose, che tanti italiani hanno dovuto su-bire e non tenerne conto nell’affrontare oggi il fenomeno degli stranieri che desiderano venire in Italia per lavoro o studio.
Da quando le migrazioni dall’estero hanno cominciato a essere significative in Italia negli anni Ottanta del secolo scorso, due sono le caratteristiche che, in genere, hanno caratterizzato le di-sposizioni adottate dalle Autorità in merito: innanzitutto una regolamentazione ispirata soprattutto ai criteri della sicurezza e dell’ordine pubblico e, in secondo luogo, l’alto margine di discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nell’esecuzione della normativa in materia.
A ciò va aggiunta la frequente instillazione di alte dosi di paura nei cittadini a causa di molti reati commessi in Italia, per poi addossarne la responsabilità agli immigrati clandestini e quindi farne i capri espiatori.
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Inoltre, non va dimenticato, come hanno sottolineato molti osservatori, tra i quali l’on. Giuseppe Pisanu, presidente della Commissione Antimafia (cfr Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2009, 16), che l’Europa cento anni fa aveva il 17% della popolazione mondiale, mentre oggi ne ha soltanto il 7% e nel 2050 ne avrà il 5%. «Siamo in pieno declino demografico — osserva Pisanu — e, quindi, anche economico e politico. Soltanto gli immigrati potranno salvarci. I numeri ci dicono che il futuro benessere degli italiani dipenderà dalla capacità di attrarre e integrare 300.000 lavoratori stranieri all’anno». Ma «l’immigrazione illegale — prosegue — va combattuta con energia perché ha costi umani spaventosi, genera illegalità e rende difficile l’integrazione. Tuttavia questo è soltanto l’aspetto patologico di una realtà, quella immigratoria, largamente positiva». Non va poi trascurato il fatto che l’85% di chi si trova irregolarmente in Italia arriva per vie legali e soltanto dopo entra in clandestinità. Questa realtà — aggiungiamo noi — ridimensiona l’enfasi data ai clandestini provenienti via mare dalla Libia e alla politica dei cosiddetti «respingimenti» o «riaccompagnamenti», come preferisce definirli qualche esponente politico non troppo benevolo con l’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati.
«Le nostre leggi — afferma Pisanu — prevedono i respingimenti individuali alla frontiera. Noi [all’epoca in cui Pisanu era ministro dell’Interno] abbiamo sempre fatto così: prima il soccorso, poi l’individuazione dei gruppi familiari e delle nazionalità, quindi l’accoglimento o meno delle richieste di asilo e, infine, nei casi dovuti, i respingimenti. Le operazioni di questi giorni sono qualcosa di diverso. I respingimenti sono collettivi e non più individuali e avvengono nelle acque internazionali. Ho visto che il Consiglio d’Europa e l’Onu li hanno bocciati. Comunque non facciamoci illusioni: l’immigrazione clandestina continuerà ad esserci. Chiuso un canale se ne aprirà un altro e poi un altro ancora». La strada che l’Italia deve percorrere, secondo Pisanu, è molto diversa da quella sulla quale ci si è incamminati di recente; infatti è necessario cambiare la legge che regola tutta la materia, la cosiddetta Bossi-Fini: lo ha affermato anche lo stesso Fini.
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La condanna dei «respingimenti» collettivi proveniente dal Consiglio d’Europa, dall’Onu e da tutte le agenzie di volontariato operanti nel settore, è motivata dalla rinuncia, che in tal modo si attua, a verificare se tra i «clandestini» in arrivo via mare ci sia qualche persona che abbia diritto di ricevere asilo politico, secondo gli impegni assunti dall’Italia con la firma della Convenzione di Ginevra del 1951. Al di là di alcuni tentennamenti, il Ministero dell’Interno sta cercando di trovare una soluzione al problema. Purtroppo si può presumere che i tempi non saranno brevi e, una volta superato lo scoglio delle elezioni europee, ci sarà la tentazione di proseguire sulla via intrapresa, anche perché, come ogni anno, con la stagione estiva e il bel tempo, è prevedibile un aumento degli arrivi e, quindi, dei «respingimenti» attuati in maniera illegittima.
Sia chiaro che noi non sosteniamo la chimerica necessità di accogliere tutti coloro che chiedono di lavorare nel nostro Paese, ma non possiamo fare a meno di ricordare che ogni volta che è risalito alla ribalta il problema dell’immigrazione clandestina, molte forze politiche hanno sostenuto che il problema andava risolto nei Paesi di origine degli immigrati. Di fatto negli ultimi tempi ben poco è stato realizzato in tal senso oltre alla firma di accordi con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo meridionale — l’accordo con la Libia fu firmato dal Governo Prodi — affinché si impegnassero a riprendere indietro i propri immigrati oppure collaborassero per fermare alla partenza coloro che partivano in modo illegale. Di certo aiuti reali, ad esempio, nel settore della formazione professionale dei giovani in quei Paesi non sono mai stati avviati. Né, d’altra parte, c’è stato un intervento dell’Ue, come se l’immigrazione non fosse una realtà che coinvolge tutti i Paesi dell’Unione. È evidente infatti che il problema li riguardi tutti, poiché molti degli immigrati arrivati in Italia tendono poi a trasferirsi nei vari Stati.
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D’altro canto, al di là delle affermazioni in senso contrario, l’Italia è diventata un Paese multietnico. Infatti i lavoratori stranieri maggiorenni (uomini e donne) regolarmente presenti nel nostro Paese sono 3.561.000, più 767.000 minorenni. Tra essi le badanti regolari sono 700.000, impegnate nell’assistenza a tempo pieno degli anziani. I lavoratori stagionali sono 80.000; essi arrivano ogni anno per curare le colture più estese (come mele, patate e pomodori) e quelle di serra, come ortaggi e fragole, e così via. L’occupazione degli immigrati è concentrata quasi per il 75% al Nord. È composta in prevalenza da lavoratori con un’istruzione superiore (42,6%) o universitaria (10,9%). Gli occupati stranieri in edilizia sono un milione e mezzo. Crescono i piccoli imprenditori stranieri: tra il 2000 e il 2007 le imprese individuali sono quasi triplicate passando da circa 85.000 a quasi 258.000. Questi numeri confermano che l’Italia è un Paese multietnico, e, nello stesso tempo, che gli immigrati rendono un servizio indispensabile agli italiani, nonostante le posizioni ideologiche xenofobe purtroppo presenti in misura significativa in ogni schieramento.
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Gli esponenti politici che appoggiano la politica e le decisioni assunte dal Ministero dell’Interno in tema di immigrazione aggiungono sempre, in ogni intervista, che il Governo è impegnato anche nell’azione di promozione dell’integrazione degli immigrati regolari, giacché non esiste alcuna posizione pregiudiziale contro gli immigrati. Anche se si potrebbe osservare che l’amministrazione dell’Interno per ora ha impiegato 400 giorni per esaminare il 55% delle 741.000 richieste di ingresso arrivate on line per il decreto flussi 2007; in questo periodo ha consegnato 143.974 nulla osta sui 170.000 previsti. La mancata attribuzione dei rimanenti circa 28.000 nulla osta rallenta anche le pratiche del decreto 2008, perché la graduatoria potrà scorrere soltant
o dopo l’assegnazione di tutti i posti previsti per l’anno precedente.
In questo modo la situazione è diventata insostenibile. Ci sono centinaia di migliaia di persone che lavorano da anni come clandestini nelle imprese e nelle case degli italiani. Ad esse (si badi: hanno un lavoro e una casa, come previsto dalla legge), e ai loro datori di lavoro, viene di fatto negata la possibilità di uscire dal sommerso e dall’illegalità, venendo meno all’impegno di promozione dell’integrazione degli immigrati. Si tratta di un’emersione che permetterebbe significative entrate nelle casse dello Stato e offrirebbe un notevole contributo alla sicurezza, se è vero che la clandestinità costituisce un serbatoio per la criminalità.
In conclusione facciamo nostro l’appello degli operatori del volontariato impegnati in questo settore: è necessario abolire — come ha sottolineato anche il Presidente della Camera — il rito inutile del rientro nei Paesi di origine e il passaggio nei consolati all’estero per ottenere il permesso di soggiorno. I lavoratori dei quali i datori di lavoro hanno fatto richiesta di regolarizzazione vanno considerati già entrati e presenti in Italia, come in effetti sono. Inoltre qualcuno ha proposto di offrire l’opportunità ai datori di lavoro di regolarizzare la posizione dei lavoratori stranieri che siano alle loro dipendenze da almeno tre mesi alla data del 30 maggio.
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Nella prolusione alla 59a Assemblea generale della Cei, il 25 maggio scorso il presidente, card. Angelo Bagnasco, fra l’altro ha ricordato la «ripresa degli attraversamenti del Mediterraneo che sono tra le modalità — non la più ricorrente ma certo una delle più pericolose — di ingresso irregolare nel nostro Paese. Ad essi le nostre Autorità hanno infine risposto con la controversa prassi dei respingimenti, già sperimentata in altre stagioni come pure in altri Paesi. Se la sovrapposizione con la campagna elettorale non ha sempre assicurato l’obiettività necessaria a un utile confronto, non può sfuggire il criterio fondamentale con cui valutare questi episodi, al di là delle contingenze legate allo spirito polemico o alla stagione politica. Ossia il valore incomprimibile di ogni vita umana, la sua dignità, i suoi diritti inalienabili. Accanto a questo valore dirimente, ce ne sono altri, come la legalità, l’affrancamento dai trafficanti, la salvaguardia del diritto di asilo, la sicurezza dei cittadini, la libertà per tutti di vivere dignitosamente nel proprio Paese, ma anche la libertà di emigrare per migliorare le proprie condizioni da contemperare naturalmente con le possibilità di accoglienza dei singoli Paesi, o magari solo per arricchirsi culturalmente. Motivo per cui il singolo provvedimento finisce con l’essere inadeguato se non lo si può collocare in una strategia più ampia e articolata che una nazione come l’Italia deve darsi […].
«La via della cooperazione internazionale deve diventare un caposaldo trasversale della politica italiana e anche europea, una scelta oculatamente perseguita e dunque anche impegnativa sul fronte delle risorse. Non c’è chi non veda, infatti, che solo migliorando le condizioni economiche e sociali dei Paesi di origine dei nostri immigrati si può togliere al fenomeno migratorio la propria carica dirompente».
La Civiltà Cattolica
© La Civiltà Cattolica 2009 II 427-431 quaderno 3815