Il sacerdote nella celebrazione del Triduo Pasquale

Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi

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ROMA, mercoledì, 24 marzo 2010 (ZENIT.org).- In prossimità della Settimana Santa, don Nicola Bux, professore di Liturgia Orientale e Consultore di diversi Dicasteri della Santa Sede, propone una gustosa meditazione liturgica sui principali momenti e simboli delle celebrazioni proprie alla Domenica delle Palme ed al Santo Triduo. Le riflessioni di don Bux rappresentano un valido aiuto – offerto tanto ai sacerdoti quanto agli altri fedeli, in particolare ai cooperatori nella pastorale liturgica – per accostarsi ai divini Misteri, che saranno celebrati nei prossimi giorni, con spirito di fede contemplativa e di preghiera adorante, e non di mero pragmatismo organizzativo. Cogliamo l’occasione per augurare ai nostri lettori una Santa Pasqua, che porti frutti di gioia interiore e di conversione (don Mauro Gagliardi).

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Nicola Bux

La Lettera agli Ebrei è l’unico testo del Nuovo Testamento che attribuisce a nostro Signore Gesù Cristo i titoli di «sacerdote», «sommo sacerdote» e «mediatore della Nuova Alleanza», grazie all’offerta del sacrificio del suo corpo, anticipato nella Cena mistica del Giovedì Santo, consumato sulla Croce e presentato al Padre con la risurrezione e ascensione al cielo (cf. Eb 9,11-15). Tale testo viene meditato nella Liturgia delle Ore della quinta settimana di Quaresima – o di Passione, come nel calendario liturgico della forma straordinaria del Rito Romano – e nella Settimana Santa.

Noi sacerdoti cattolici dobbiamo sempre guardare a Gesù Cristo e avere gli stessi sentimenti suoi, fino all’immedesimazione con Lui; questa ascesi avviene con la conversione permanente. Come si attua la conversione in noi sacerdoti? Nel rito di ordinazione ci è chiesto di insegnare la fede cattolica, non le nostre idee, di «celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo – cioè la liturgia e i sacramenti – secondo la tradizione della Chiesa» e non secondo il nostro gusto; soprattutto di «essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi», cioè di conformare la nostra vita al mistero della croce.

La Santa Chiesa onora il sacerdote e il sacerdote deve onorare la Chiesa con la santità della vita – si proponeva nel giorno d’ordinazione sant’Alfonso Maria de’ Liguori – con lo zelo, con la fatica e con il decoro. Egli offre Gesù Cristo all’Eterno Padre, perciò deve essere rivestito delle virtù di Gesù Cristo e prepararsi ad incontrare il Santo dei Santi. Quanto è importante la preparazione interiore ed esteriore alla sacra Liturgia, alla santa Messa! Si tratta di glorificare il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo.

Ora, tutto questo si attua al massimo grado nella Settimana Santa, la Grande e Santa Settimana, come dicono gli Orientali. Vediamone alcuni atti principali in base al Pontificale dei Vescovi.

1. La Domenica delle Palme, il sacerdote entra con Gesù in Gerusalemme nella gioia. La Chiesa celebra in questa domenica il trionfo del Salvatore e anticipa il gaudio per la vittoria del Risorto. La processione solenne in onore di Cristo Re è il rito più caratteristico della giornata: ricorda il corteo trionfale che accompagnò Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme, esprime l’incontro attuale della Chiesa col Salvatore nei santi misteri e rappresenta, in anticipo, l’ingresso degli eletti nella città celeste, secondo quanto dice l’Apostolo: «partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17).

La liturgia delle Palme ci orienta, dunque, verso la Presenza definitiva del Signore, in greco parousía. Non si tratta soltanto di commemorare l’ingresso del Signore nella Gerusalemme celeste ma, accostandoci al banchetto eucaristico, dove verrà spezzato il Pane, di annunciare simbolicamente ciò che si compirà realmente alla fine del mondo. Allora la Croce del Signore aprirà l’ingresso della Gerusalemme celeste a quella «folla immensa» che san Giovanni contemplò nella visione profetica, «di ogni nazione, stirpe, popolo e lingua…; vestiti di bianche vesti, con le palme in mano, che gridavano con voce potente: vittoria al nostro Dio che siede sul trono, e all’Agnello» (Ap 7, 9-10).

2. Con la Missa in Cena Domini del Giovedì Santo, il sacerdote entra nei principali misteri, l’istituzione della SS. Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, come pure il comandamento dell’amore fraterno, significato dalla lavanda dei piedi, gesto che la liturgia copta compie ordinariamente ogni domenica. Nulla meglio del canto Ubi caritas lo esprime. Dopo la comunione, il sacerdote, indossato il velo omerale, sale all’altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende la pisside con le mani coperte dal velo omerale. È il simbolo della necessità di mani e cuore puri per avvicinarsi ai Divini Misteri e toccare il Signore!

3. Il Venerdì Santo in Passione Domini, il sacerdote è chiamato a salire sul Calvario. Alle tre del pomeriggio, o poco più tardi, ha luogo la celebrazione della Passione del Signore, in tre momenti: la Parola, la Croce, la Comunione. Egli si reca in processione e in silenzio all’altare. Dopo aver riverito l’altare, che rappresenta Cristo nell’austero denudamento del Calvario, si prostra a terra: è la proskýnesis, come nel giorno dell’ordinazione. Così egli esprime la convinzione di essere nulla davanti alla Maestà divina, e il pentimento di aver osato misurarsi, per mezzo del peccato, con l’Onnipotente. Come il Figlio che annullò se stesso, il sacerdote riconosce il suo nulla, e ha inizio la sua mediazione sacerdotale tra Dio e il popolo, che culmina nella preghiera solenne universale.

Quindi ha luogo l’ostensione e l’adorazione della Santa Croce: il sacerdote va all’altare con i diaconi e lì, stando in piedi, la riceve e la scopre in tre momenti successivi, o la mostra già scoperta, e invita ciascuna volta i fedeli all’adorazione con le parole: Ecco il legno della Croce. Nella sua scarna solennità, qui, nel cuore dell’anno liturgico, la tradizione ha resistito tenacemente più che in altri momenti dell’anno. Il sacerdote, dopo aver deposto la casula, possibilmente a piedi scalzi, si avvicina per primo alla Croce, genuflette davanti ad essa e la bacia. La teologia cattolica non teme di dare qui alla parola adorazione il suo vero significato. La vera Croce, bagnata dal sangue del Redentore, fa, per così dire, una sola cosa con Cristo e riceve l’adorazione. Perciò prostrandoci davanti al sacro legno, è al Signore che ci rivolgiamo: «Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua Santa Croce hai redento il mondo!».

4. La Pasqua del Regno Dio si è compiuta in Gesù: offerta e consumata la Cena, «nella notte in cui fu tradito»; immolata sul Calvario il Venerdì Santo, quando «s’era fatto buio su tutta la terra», ancora di notte riceve la consacrazione dell’approvazione divina, nella risurrezione di Cristo Signore: da Giovanni sappiamo che Maria di Magdala si recò al sepolcro «mentre era ancora buio»; quindi era avvenuta nelle ultime ore della notte dopo il sabato pasquale.

Nel Novus Ordo il sacerdote, fin dall’inizio della Veglia, indossa le vesti di colore bianco come per la Messa. Benedice il fuoco e accende il cero pasquale al nuovo fuoco, se ritiene, dopo aver inciso, come nella liturgia antica, una croce. Quindi traccia sopra il lato verticale della croce la lettera greca alfa e sotto, invece, la lettera omega; entro i bracci della croce traccia quattro cifre per indicare l’anno corrente, dicendo: Cristo ieri e oggi. Poi, fatta l’incisione della croce e degli altri segni, può infiggere nel cero cinque grani di incenso, dicendo: Per mezzo delle sue sante piaghe. Quindi, al canto di Lumen Christi, guida la processione verso la chiesa. Il sacerdote è a capo del pop
olo dei fedeli qui in terra, per poterlo guidare in cielo.

È il sacerdote a intonare solennemente l’Alleluia. Lo canta tre volte elevando gradualmente il tono della voce: il popolo dopo ogni volta, lo ripete nel medesimo tono.

Nella liturgia battesimale, il sacerdote, stando in piedi presso il fonte, benedice l’acqua cantando l’orazione: O Dio, per mezzo dei segni sacramentali; mentre invoca: Discenda, Padre, in quest’acqua, può immergere in essa il cero pasquale, una o tre volte. Il significato è profondo: il sacerdote è l’organo fecondatore del grembo ecclesiale, simboleggiato dalla vasca battesimale. Davvero nella persona di Cristo Capo egli genera figli che, come padre, fortifica col crisma e nutre con l’Eucaristia. Anche in ragione di tali funzioni maritali nei confronti della Chiesa sposa, il sacerdote non può che essere uomo. Tutto il senso mistico della Pasqua si manifesta nell’identità sacerdotale, raggiungendo la pienezza, il plếroma, come dice l’Oriente. Con esso l’iniziazione sacramentale raggiunge il culmine e la vita cristiana il centro.

Dunque, il sacerdote, salito con Gesù sulla croce il Venerdì e sceso nel suo sepolcro il Sabato Santo, la Domenica di Pasqua può affermare realmente con la sequenza: «Sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti».

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ZENIT Staff

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