La preghiera, centro dell'Apostolato del Mare

Messaggio di mons. Vegliò alle celebrazioni per il 90° anniversario di fondazione

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, mercoledì, 20 ottobre 2010 (ZENIT.org).- La preghiera è al cuore dell’Apostolato del Mare, ha ricordato l’Arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nel messaggio che ha inviato all’Incontro nazionale dell’AOS (Apostleship of the Sea) Europa in occasione del 90° anniversario di fondazione dell’Apostolato del Mare.

Il presule non ha potuto essere fisicamente presente all’Incontro, in svolgimento a Glasgow (Scozia) dal 18 al 20 ottobre, essendo impegnato nel Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, che si celebra in Vaticano fino a questa domenica.

L’Arcivescovo ha ricordato che è stato proprio a Glasgow che il 4 ottobre 1920 un piccolo gruppo di devoti riorganizzò la Branca per i Marinai dell’Apostolato della Preghiera in Apostolato del Mare, volendo “rivelare Cristo a quanti vanno per mare”, “per dar loro una conoscenza più approfondita di Cristo e della sua Chiesa”.

Le prime Costituzioni ricevettero la benedizione e l’approvazione di Papa Pio XI nell’aprile 1922, con l’invito a sviluppare questo apostolato in tutto il mondo.

“Oggi possiamo dire senza errore che il seme piantato 90 anni fa sia come un granello di senapa che è diventato un albero maestoso che ha portato grandi benefici e sollievo alla vita di migliaia di uomini di mare in molti porti del mondo”, ha detto il presule.

Monsignor Vegliò ha sottolineato che i primi membri dell’AOS sono stati formati nell’Apostolato della Preghiera e che “la loro maggiore fonte di fiducia era la preghiera stessa”.

“Dovremmo riscoprire questa caratteristica distintiva dell’Apostolato non solo riunendoci regolarmente in preghiera con i volontari, ma anche facendo sì che la gente offra quotidianamente le proprie preghiere per la gente del mare e per quanti si occupano della sua assistenza”.

Linee d’azione

Nonostante i progressi tecnologici, ha riconosciuto monsignor Vegliò, “la realtà della vita degli uomini di mare è rimasta la stessa di 90 anni fa: il desiderio di tornare sulla terraferma, di contattare le famiglie, di parlare con i propri cari, di leggere le ultime notizie relative al proprio Paese, la necessità di un contatto umano e la difesa da sfruttamento, criminalizzazione e abusi”.

“Nulla è cambiato, ma è tutto nuovo”, ha commentato.

Monsignor Vegliò ha riconosciuto che visto il calo dei sacerdoti e dei volontari di questo tipo di pastorale “è impossibile essere presenti in ogni porto”, dovendo quindi “selezionare pochi luoghi in cui disporre di una presenza qualificata”.

In questo contesto, ha sottolineato l’importanza di “cercare di identificare i porti che nei prossimi 15/20 anni acquisiranno una posizione importante e strategica per l’industria marittima”.

“La Chiesa locale dovrebbe compiere lo sforzo di stabilire una presenza investendo in risorse e personale per diventare un faro e un segno di speranza”.
 
Allo stesso modo, deve curare in modo particolare la formazione di cappellani e volontari, preparandoli “con specifici corsi che diano loro gli strumenti necessari per far fronte a ogni emergenza in porto, a bordo e con i lavoratori del mare”.

Nel testo, firmato da monsignor Vegliò e dal sottosegretario del dicastero, padre Gabriele Bentoglio, si sottolinea anche l’importanza della cooperazione con le autorità portuali, gli uffici di immigrazione, ecc., e quella del lavoro ecumenico in questo settore.

“Anche se l’Apostolato del Mare cattolico è l’ultima nata tra le organizzazioni cristiane che lavorano per la popolazione del mare, e spesso in passato cappellani e volontari di diverse denominazioni si sono fatti concorrenza per portare gli equipaggi ai propri Centri, con la fondazione dell’Associazione Marittima Cristiana Internazionale nel 1969 le cose sono cambiate”, ha riconosciuto.

“Nonostante le inevitabili tensioni, i conflitti e i fraintendimenti che a volte tutti noi sperimentiamo, dobbiamo continuare a testimoniare uno spirito ecumenico lavorando insieme e condividendo le risorse dove possibile, ma senza perdere la nostra identità specifica e le nostre caratteristiche”.

Se in passato le navi attraversavano gli oceani trasportando milioni di migranti alla ricerca di un futuro migliore nelle Americhe, prosegue il messaggio di monsignor Vegliò, oggi “le navi da crociera trasportano migliaia di passeggeri in luoghi esotici e turistici assistiti da equipaggi di molte nazionalità”.

Per questa ragione, l’Apostolato del Mare ha risposto in vari luoghi a questa realtà “creando strutture specifiche piuttosto diverse per numero di sacerdoti, stile di ministero e presenza a bordo”.

Per il presule, ad ogni modo, servono “una maggiore cooperazione e un miglior coordinamento, perché si sia riconosciuti dalle industrie del settore come unico e idoneo fornitore di sacerdoti cattolici qualificati a bordo”, che possano “fornire la miglior assistenza pastorale possibile e gestire situazioni delicate e a volte difficili non solo per i passeggeri, ma anche per l’equipaggio”.

“Dov’è fattibile, i cappellani (perfino diaconi) dovrebbero essere assegnati senza altre responsabilità per offrire le opportunità di un ministero efficace”, e “i confini delle parrocchie devono essere estesi per includere le zone portuali”.

“In particolare, i  laici dovrebbero avere la possibilità di essere coinvolti in una serie di servizi che questo Apostolato fornisce a quanti viaggiano per mare e ai pescatori. Possono esserci persone che gestiscono centri o visitano le navi, o fanno visita ai marinai ricoverati in ospedale o in prigione”.

“Affidiamo il futuro di questo Apostolato a Maria, ‘Stella del mare’, perché possa continuare a guidare tutti i membri dell’AOS nel fornire conforto, sostegno e assistenza pastorale al popolo del mare”, conclude il testo.

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ZENIT Staff

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