ROMA, giovedì, 25 agosto 2011 (ZENIT.org).- L’utilizzo della Dottrina sociale della Chiesa (Dsc) nella redazione dei Settimanali diocesani (SD) ha strettamente a che fare con la natura stessa di un SD. Questo, infatti, non è né un “bollettino della Diocesi” né un giornale di cronaca civile come tanti altri. Il SD è l’uno e l’altro nel senso che è l’interfacciarsi stesso dell’una e dell’altra dimensione. Nel SD la Chiesa e il Mondo si guardano, si incontrano, si capiscono. Esso mostra ogni settimana che la Chiesa è dentro il mondo e per il mondo e che il mondo attende un compimento di senso di cui il messaggio cristiano è portatore. Vorrei ricordare qui che Benedetto XVI ha detto nella Deus caritas est che il posto della Dsc è nel punto in cui la Chiesa incontra il mondo. Credo che in quello stesso punto ci siano anche i SD.
Questo però pone immediatamente un problema. Qual è la conoscenza della Dsc dentro le redazioni dei SD? E soprattutto quale è il grado del suo utilizzo? C’è sui vostri tavoli il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa e la Caritas in veritate? Non posso non chiedermi e chiedervi: quando un vostro collaboratore va ad intervistare un amministratore, un responsabile di categoria, un imprenditore o un sindacalista … è sufficientemente informato sulla cultura della Dsc a proposito di quelle tematiche in modo da fargli le domande giuste? Se così non fosse i nostri SD si trasformerebbero in una registrazione e una riproposizione acritica di fatti e pareri senza indurre al discernimento. Se i nostri intervistatori si limitano a chiedere le usuali asettiche domande di ogni intervista standard che tipo di produzione culturale vogliamo fare? Lascio naturalmente a voi questa valutazione, però vi invito a fare un esame serio di questo problema, perché ha a che fare, come dicevo sopra, con lo scopo stesso della vostra attività.
Un’osservazione però devo farla. Di solito c’è nel mondo cattolico, e forse anche nei SD, una conoscenza generica della Dsc, che la riconduce vagamente ad un indefinito spirito di solidarietà, ad un evangelismo pacifista non meglio specificato, ad un imprecisato riferimento alla giustizia sociale che non produce cultura e non fornisce adeguati criteri di discernimento alla nostra gente. In questo modo non si fa una lettura critica della realtà e l’ispirazione cristiana, così vaga e imprecisata da ridursi a volersi bene, finisce per non vedere i tranelli delle nuove ideologie. Noto talvolta nei servizi dei nostri SD un affrettato appoggio a tutto quanto si fregi dell’aggettivo di “etico”. Ogni manifestazione, ogni associazione, ogni iniziativa che sia “etica” o “equa” o “solidale” viene presentata automaticamente come meritevole e perfino come cristiana. Magari, invece, dietro quella iniziativa ci sono associazioni che promuovono una cultura negatrice del diritto alla vita. Anche la Caritas in veritate mette in guardia da tanti abusi odierni dell’etichetta etica.
Con questo tocco un punto a mio parere nevralgico. La Caritas in veritate dice con chiarezza che non bisogna mai affrontare il tema dello sviluppo staccandolo dal diritto alla vita. Credo che così dobbiamo fare anche noi e dovrebbe essere un vostro impegno comune non solo trattare il tema del diritto alla vita, chiamando le cose con il loro nome – purtroppo la parola aborto viene adoperata sempre meno anche in occasione della Giornata della vita – dato che se non lo fate voi chi mai lo farà, ma anche collegare sistematicamente il tema del rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale dentro la normale trattazione di tanti altri temi sociali, politici e perfino elettorali. Non per spirito di parte, ma vorrei segnalarvi l’iniziativa di Vita Nuova di pubblicare ogni settimana una pagina di Biopolitica. Mi permetto di auspicare che su questa iniziativa possa maturare una vostra maggiore collaborazione.
Questo della collaborazione è un argomento che mi sta molto a cuore e per il quale la Dsc può svolgere un ruolo di grande importanza. So che state cercando di collaborare sul piano organizzativo ed operativo. Io vi invito a collaborare a partire da una più altra prospettiva. Sono stato informato di vostri tentativi di pubblicare in certi momenti degli editoriali comuni. So anche che non sempre la cosa è riuscita e che non avete trovato un accordo. Mi chiedo se questo non dipenda dal fatto che non avete sufficientemente messo a fuoco una concezione comune di cosa debba essere, nel nostro momento storico e dentro l’attuale sentire della Chiesa, un SD. Forse non vi siete intesi su questioni che si collocano a monte rispetto allo scrivere un editoriale comune. Se non sono chiarite quelle questioni non è possibile ottenere gli effetti a valle. Credo che i SD debbano avere un forte radicamento locale. Ma questo non deve diventare un alibi per non produrre interventi significativi comuni su temi di importanza capitale per la Chiesa e per il mondo. Pur radicati nel territorio, dobbiamo unire le voci in una sola voce quando questo sia richiesto dal bene dell’uomo e dalla gloria di Dio. A questo scopo può essere molto utile una conoscenza maggiormente approfondita e condivisa della Dottrina sociale della Chiesa. Sarebbe auspicabile che voi pensaste a forme di formazione vostra e dei vostri collaboratori, anche con l’esame di case-studies visti alla luce della Dsc. Siamo disponibili, di solito, alle esigenze della formazione tecnica e professionale, meno a quella ad una cultura cristiana del sociale ispirata alla Dsc, che invece è fondamentale per il vostro lavoro e senza della quale le vostre testate perdono di sapore. Ci sono questioni che non potete affrontare con mille distinguo. Le sfumature vanno bene, ma quando c’è da parlare chiaro bisogna farlo tutti insieme.
I nostri SD devono pendere più verso la dimensione intraecclesiale oppure verso le problematiche civili? C’è stato un lungo periodo, nel recente passato, in cui anche i SD si sono secolarizzati, pensando in questo modo di garantirsi una immagine di laicità che essi ritenevano più professionale e più dialogante con il mondo. Vorrei dirvi a questo proposito il mio parere. Il settimanale di Trieste Vita Nuova non apre mai in prima pagina con un tema che non sia religioso. Questo per significare che dallo sguardo religioso promana non una sottovalutazione di tutti gli altri problemi ma una loro illuminazione, e quindi anche una loro valorizzazione, alla luce del Vangelo. E’ bene che in un SD si raggiunge la prima notizia religiosa a pagina 10? Come dice la Gaudium et spes è proprio in virtù della fedeltà alla sua dimensione religiosa che il Cristianesimo può sprigionare anche tutte le sue energie di civilizzazione e di umanizzazione. Anche qui diventa importante l’utilizzo della Dsc, vista però non come insieme di indicazioni di azione sociale, ma come strumento di evangelizzazione. Se orizzontalizziamo anche la Dsc allora tutto il SD che ad essa si ispira si orizzontalizza.
Cari amici, mi chiedo spesso chi siano i nostri lettori. Sapete bene meglio di me che il numero delle copie è importante ma è anche relativo. Se il giornale dice poco, o dice in modo ambiguo, o dice male, le copie non sono sufficienti per coprirne le lacune. Bisogna allora chiedersi cosa diciamo e chi sono i nostri lettori. Su questo vi propongo una mia valutazione e mi permetto di darvi una indicazione. Se noi ci attardiamo sui nostri lettori tradizionali non riusciremo ad incidere a fondo nella realtà. Anche qui, nelle nostre terre del Nord Est, come dice Benedetto XVI, il riferimento a Dio sta sparendo. Possiamo noi attardarci a fare i nostri SD come un tempo? Possiamo noi non porci il problema di un aumento della qualità della nostra informazione? Di una maggiore individuazione delle priorità su cui battere tutti insieme? Di una migliore intercettazione di nuove categorie di lettori? Possiamo accontentarci della routine, senza entrare nell’agorà con decisione, t
occando nervi scoperti e problematiche calde? Senza scadere, naturalmente, nella polemica miope, ma impegnandoci nelle grandi battaglie?
Io sono veneto. Sono stato tanto a Roma e in giro per il mondo, ma rimango legato a queste terre. Non è tuttavia solo per affetto verso questi luoghi che vi dico che i SD del Nordest devono anche pensare di avere un ruolo nazionale, ossia di esprimere una linea di presenza culturale netta, che potrà domani diventare anche esempio per le altre regioni pastorali del nostro Paese. Non temete, quindi, di collegarvi maggiormente tra di voi, di concordare più chiari riferimenti comuni alla Dsc, non concedetevi agli slogan ideologici di oggi – avete cose ben più importanti da dire –, non pensate come i maggiori quotidiani nazionali, non abbiate paura di puntare in alto nel servizio che fate alle vostre genti, che hanno bisogno di essere confermate ed anche mobilitate e che a voi chiedono informazione ma soprattutto orientamento chiaro e coraggioso nella linea della Dsc e del Magistero della Chiesa. C’è un grande sforzo della Chiesa in atto – siete persone immerse nella realtà e lo sapete -, uno sforzo a cui i SD devono collaborare con convinzione.
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*Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo-vescovo di Trieste e Presidente della Commissione “Caritas in veritate” del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE).