di Maurizio Soldini
ROMA, martedì, 31 gennaio 2012 (ZENIT.org) – Ci sono tante storie che ognuno di noi potrebbe raccontare riguardo i ragazzi. E oggi, che è il giorno in cui si ricorda la festività del Santo dei giovani, Giovanni Bosco, ne voglio raccontare una con uno sfondo che richiama direttamente la possibilità di attualizzare la spiritualità e la pedagogia di don Bosco.
Bobby lo conoscono tutti, qui, nella zona nord di Roma. Ha 12 anni. La peluria gli copre le guance e il labbro superiore. È ben vestito, garbato, educato. È un Rom. Ha sempre un bicchiere di plastica tra le mani. Parla discretamente l’italiano. Sta sempre solo. Tutte le mattine alle 9 scende dall’autobus e inizia col suo sorriso la peregrinazione che lo porta qua e là da un negozio all’altro e da un marciapiede all’altro tra la gente in cerca di elemosina che dice serviranno a dare sostentamento alla nonna e a se stesso. Rimane in zona fino al primo pomeriggio. Poi fa ritorno chissà dove. Se provi a parlarci, e molti si intrattengono con lui, perché in fondo è simpatico e gentile, ti accorgi che ha anche studiato, ha ricevuto una discreta istruzione. Ed è così che molte persone qualche spicciolo per lui lo trovano sempre.
Ho provato a parlarci. Chi sei? Che fai? Con chi vivi? Gli chiedo perché non continui ad andare a scuola, perché non giochi con i suoi coetanei. Mi dice che non può perché deve aiutare la nonna. Cerco di spiegargli quanto sia importante lo studio e il gioco per la sua età e cerco di dirgli che da grande potrebbe trovarsi un lavoro che gli consenta di vivere dignitosamente. Poi, tra tante altre cose mi garantisce di non avere mai rubato, che non ruberà mai. Gli credo. In fondo mi sembra proprio che sia un bravo ragazzo. Ma quando gli chiedo perché non ruba, mi risponde che non lo fa perché ha paura di andare in carcere.
E quando gli chiedo che cosa farebbe se non ci fosse il carcere per chi ruba, non mi risponde, mi sorride furbetto e lascia intendere che forse sarebbe anche comodo poter rubare. Mi lascia un po’ di amarezza… Sarebbe il caso di continuare a parlare e incontrarlo nuovamente, forse una parola varrebbe più di uno spicciolo. Quando si parla di formazione, di educazione morale, di emergenza educativa… Quanti ragazzi e non solo Rom, non solo extracomunitari, ma anche i nostri ragazzi, avrebbero la necessità di una formazione…
Questa storia è la realtà di tanti ragazzi, di tanti nostri giovani, e ci suggerisce quanto bisogno ci sia nella nostra società di “un impegno formativo globale” soprattutto nei confronti di giovani che non riuscendo a trovare il senso della vita camminano sui sentieri del nichilismo. Una delle cause di questa condizione risiede anche nel fatto che oggi stanno scemando da una parte valori e ideali di riferimento forti, dall’altra personalità esemplari che possano essere prese come modelli di virtù soprattutto tra gli educatori.
Sta scemando anche la frequentazione degli oratori. Sta scemando anche una formazione in riguardo alle vecchie e mai superate virtù, di cui anche noi adulti abbiamo bisogno. L’urgenza è quella di una riscoperta delle virtù. E di esemplarità, come quella di Giovanni Bosco, che qui voglio ricordare, oggi a maggior ragione, perché diventato santo per tanti motivi, ma soprattutto per avere avuto a cuore la sorte di tanti giovani e di averli educati, così come oggi continuano a fare i Salesiani.
Il metodo pedagogico di don Bosco è il metodo preventivo che con l’amorevolezza, la ragione e la religione educa alle virtù con l’intento di raggiungere il bene personale di ciascuno e di conseguenza il bene di tutta la comunità. In letizia, alla ricerca della vita buona. Che cosa dire, allora? Che cosa fare? Che cosa aspettarci? Se qualcuno (e questo qualcuno dovrebbe essere soprattutto un educatore tout court) parlasse un po’ di più con i tanti Bobby che ci sono tra i giovani e i meno giovani e prima di tutto ascoltasse e quindi spiegasse che non si ruba così come non si fanno tante altre azioni cattive non solo perché sono ingiuste, ma fondamentalmente perché non sono buone, spiegandone i valori di riferimento, forse ci sarebbe una consapevolezza morale maggiore e tante capacità insite nella nostra natura di persone umane sarebbero aiutate e incoraggiate e la giustizia sarebbe allora una fisiologica conseguenza della bontà e della verità.
Una mentalità procedurale e legalistica (come quella di Bobby) e nichilistica (come quella di tanti giovani) potrebbero essere prevenute, così come potrebbero essere prevenute tante gesta di inciviltà. Inoltre se sapremo educare la nostra moralità badando non soltanto alla nostra intelligenza ma soprattutto alla nostra volontà, e pertanto ai nostri sentimenti, forse potremmo respirare una maggiore diffusa felicità. Non per niente un illustre filosofo contemporaneo, Alasdair MacIntyre, ha affermato in un suo libro divenuto ormai classico (Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, Armando, 2007) che l’educazione morale è un’educazione sentimentale. Col risultato di una efficace attualizzazione del metodo preventivo di don Bosco.