Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente Lettura patristica per la V Domenica di Quaresima (Anno A).
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S.Agostino d’Ippona
La risurrezione di Lazzaro.
COMMENTO AL VANGELO DI SAN GIOVANNI OMELIA 49
La risurrezione di Lazzaro.
E’ cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia il Signore si è degnato creare e risuscitare: li ha creati tutti e ne ha risuscitati alcuni. Se avesse voluto, certamente avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. E questo farà alla fine del mondo.
1. Fra tutti i miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, quello della risurrezione di Lazzaro è forse il più strepitoso. Ma se consideriamo chi è colui che lo ha compiuto, la nostra gioia dovrà essere ancora più grande della meraviglia. Risuscitò un uomo colui che fece l’uomo; egli infatti è l’Unigenito del Padre, per mezzo del quale, come sapete, furon fatte tutte le cose. Ora, se per mezzo di lui furon fatte le cose, fa meraviglia che per mezzo di lui sia risuscitato uno, quando ogni giorno tanti nascono per mezzo di lui? E’ cosa più grande creare gli uomini che risuscitarli. Tuttavia egli si degnò creare e risuscitare: creare tutti e risuscitarne alcuni. Infatti, benché il Signore Gesù abbia compiuto molte cose, non tutte sono state scritte; lo stesso san Giovanni evangelista afferma che Cristo Signore disse e fece molte cose che non furono scritte (cf. Gv 20, 30); ma furono scelte quelle che si ritenevano sufficienti per la salvezza dei credenti. Tu hai udito che il Signore Gesù risuscitò un morto: ciò ti basti per convincerti che, se avesse voluto , avrebbe potuto risuscitare tutti i morti. Del resto si è riservato di far questo alla fine del mondo; poiché verrà l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno; così dice colui che, come avete sentito, con un grande miracolo risuscitò uno che era morto da quattro giorni. Egli risuscitò un morto in decomposizione; ma benché in tale stato, quel cadavere conservava ancora la forma delle membra. Nell’ultimo giorno, ad un cenno, ricostituirà il corpo dalle ceneri. Ma bisognava che intanto compisse alcune cose, che a noi servissero come segni della sua potenza per credere in lui, e prepararci a quella risurrezione che sarà per la vita, non per il giudizio. E’ in questo senso che egli ha detto: Verrà l’ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri, udranno la sua voce e ne usciranno, quelli che hanno agito bene per la risurrezione della vita, quelli che hanno agito male per la risurrezione del giudizio (Gv 5, 28-29).
2. Apprendiamo dal Vangelo che tre sono i morti risuscitati dal Signore, e ciò non senza un significato. Sì, perché le opere del Signore non sono soltanto dei fatti, ma anche dei segni. E se sono dei segni, oltre ad essere mirabili, devono pur significare qualcosa; e trovare il significato di questi fatti è alquanto più impegnativo che leggerli o ascoltarli. Abbiamo ascoltato il Vangelo che racconta come Lazzaro riebbe la vita, pieni di ammirazione come se quello spettacolo meraviglioso si svolgesse davanti ai nostri occhi. Se però rivolgiamo la nostra attenzione ad opere di Cristo più meravigliose di questa ci rendiamo conto che ogni uomo che crede risorge; se poi riuscissimo a comprendere l’altro genere di morte molto più detestabile, (quello cioè spirituale), vedremmo come ognuno che pecca muore. Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell’anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L’uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l’uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita. Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere, preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, esiterà forse a farlo? Se a uno si dice: se non vuoi morire devi lavorare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell’obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l’avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà.
3. Se dunque il Signore, per sua grande grazia e misericordia, risuscita le anime affinché non si muoia in eterno, ben possiamo supporre che quei tre che egli risuscitò nei loro corpi significano e adombrano la risurrezione delle anime, che si ottiene mediante la fede. Risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che si trovava ancora in casa (cf Mc 5, 41-42); risuscitò il giovane figlio della vedova, che era già stato portato fuori della città (cf. Lc 7 14-15); risuscitò Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni. Esamini ciascuno la sua anima: se pecca muore, giacché il peccato è la morte dell’anima. A volte si pecca solo col pensiero: ti sei compiaciuto di ciò che è male, hai acconsentito, hai peccato; il consenso ti ha ucciso; però la morte è solo dentro di te, perché il cattivo pensiero non si è ancora tradotto in azione. Il Signore, per indicare che egli risuscita tal sorta di anime, risuscitò quella fanciulla che ancora non era stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, a significare il peccato occulto. Se però non soltanto hai ceduto col pensiero al male, ma lo hai anche tradotto in opere, è come se il morto fosse uscito dalla porta; ormai sei fuori, e sei un morto portato alla sepoltura. Il Signore tuttavia risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre vedova. Se hai peccato, pentiti! e il Signore ti risusciterà e ti restituirà alla Chiesa, che è la tua madre. Il terzo morto è Lazzaro. Siamo di fronte al caso più grave, che è l’abitudine perversa. Una cosa infatti è peccare, un’altra è contrarre l’abitudine al peccato. Chi pecca, ma subito si emenda, subito riprende a vivere; perché non è ancora prigioniero dell’abitudine, non è ancora sepolto. Chi invece pecca abitualmente, è già sepolto, e ben si può dire che già mette fetore, nel senso che la cattiva fama che si è fatta comincia a diffondersi come un pestifero odore. Così sono coloro che ormai sono abituati a tutto e rotti ad ogni scelleratezza. Inutile dire a uno di costoro: non fare così! Come fa a sentirti chi è come sepolto sotto terra, corrotto, oppresso dal peso dell’abitudine? Né tuttavia la potenza di Cristo è incapace di risuscitare anche uno ridotto così. Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e ogni giorno vediamo uomini che, cambiate le loro pessime abitudini, vivono meglio di altri che li rimproveravano. Tu, ad esempio, avevi molto da ridire sulla condotta del tale: ebbene, guarda la sorella stessa di Lazzaro (ammesso che sia lei la peccatrice che
unse i piedi del Signore, e glieli asciugò con i suoi capelli dopo averglieli lavati con le sue lacrime); la sua risurrezione è più prodigiosa di quella del fratello, perché è stata liberata dal grave peso dei suoi cattivi costumi inveterati. Era infatti una famosa peccatrice, e di lei il Signore disse: Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7, 47). Abbiamo visto e conosciamo molti di questi peccatori: nessuno disperi, nessuno presuma di sé. E’ male disperare, ed è male presumere di sé. Non disperare e scegli dove poter collocare la tua speranza.
4. Dunque il Signore risuscitò anche Lazzaro. Avete sentito in che condizioni si trovava, cioè avete capito cosa significa questa risurrezione di Lazzaro. Cominciamo a leggere, e siccome in questa lettura molte cose sono chiare, non ci soffermeremo a spiegare ogni dettaglio, onde poter dedicare l’attenzione a ciò che lo richiede. S’era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e della sorella di lei Marta (Gv 11, 1). Dalla lettura precedente ricorderete che il Signore sfuggì dalle mani di coloro che volevano lapidarlo, e si ritirò oltre il Giordano dove Giovanni battezzava (cf. Gv 10, 39-40). Ora, mentre il Signore stava in quel luogo, Lazzaro si era ammalato in Betania, un villaggio che era vicino a Gerusalemme.
5. Maria era colei che unse di unguento profumato il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli. Era suo fratello Lazzaro ch’era ammalato. Dunque, le sorelle mandarono a dire a Gesù (Gv 11, 2-3). Sappiamo già dove mandarono il messaggio a Gesù, poiché sappiamo dove egli era: era assente e si trovava al di là del Giordano. Mandarono a dire al Signore che il loro fratello era ammalato, e per pregarlo di venire a liberarlo dalla malattia. Egli ritardò a guarirlo, per poterlo risuscitare. Che cosa dunque gli mandarono a dire le sorelle di Lazzaro? Signore, vedi, colui che tu ami è malato (Gv 11, 3). Non dissero: Vieni subito! A lui che amava era sufficiente la notizia. Non osarono dire: Vieni a guarirlo; oppure: Qui comanda e là sarà fatto. Perché non dissero così anch’esse, dal momento che la fede del centurione era stata tanto lodata per essersi espressa così? Quello infatti disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8, 8). Le sorelle di Lazzaro non gli mandarono a dire niente di tutto questo, ma soltanto: Signore, vedi, colui che tu ami è malato. E’ sufficiente che tu lo sappia; poiché non puoi abbandonare quelli che ami. Qualcuno dirà: come può Lazzaro rappresentare il peccatore ed essere quindi amato dal Signore? Ascolti la sua parola: Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori (Mt 9, 13). Se infatti Dio non avesse amato i peccatori, non sarebbe disceso dal cielo in terra.
6. Udendo ciò, Gesù rispose: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per essa sia glorificato il Figlio di Dio (Gv 11, 4). Questa glorificazione del Figlio di Dio, non aumentò la sua gloria, ma giovò a noi. Disse che non era per la morte, perché la morte stessa non era per la morte, ma l’occasione di un miracolo, grazie al quale gli uomini avrebbero creduto in Cristo, evitando così la vera morte. Osservate come il Signore in modo indiretto dice che è Dio per quanti negano che il Figlio è Dio. Ci sono infatti degli eretici i quali sostengono che il Figlio di Dio non è Dio. Ascoltino costoro le sue parole: Questa malattia non è per la morte, ma è per la gloria di Dio. Per quale gloria? e di quale Dio? Ascolta quanto segue: affinché sia glorificato il Figlio di Dio. Questa malattia – dice – non è per la morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa – cioè appunto per mezzo di questa malattia – sia glorificato il Figlio di Dio.
7. Gesù voleva bene a Marta e alla sorella di lei, Maria, e a Lazzaro (Gv 11, 5). Lazzaro era malato, esse erano tristi, tutti erano amati: chi li amava era il salvatore degli infermi, colui che risuscita i morti, il consolatore degli afflitti. Com’ebbe, dunque, sentito che egli era ammalato, si trattenne ancora due giorni nel luogo dov’era (Gv 11, 6). Ricevuta la notizia, rimane dov’era, lasciando passare quattro giorni. E non senza un motivo: forse, anzi certamente, il numero dei giorni racchiude un significato. Poi disse di nuovo ai suoi discepoli: Torniamo in Giudea (Gv 11, 7), dove per poco non era stato lapidato, e da dove sembrava essersi allontanato proprio per sfuggire alla lapidazione. Come uomo si era allontanato; ma ritornandovi, egli sembrava quasi dimenticare la debolezza umana, per mostrare la sua potenza. Torniamo – disse – in Giudea.
8. Notate lo spavento dei discepoli di fronte a questa risoluzione. I discepoli gli dissero: Rabbi, i Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà? Gesù rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? (Gv 11, 8-9). Qual è il senso di questa risposta? I discepoli gli avevano fatto osservare: I Giudei cercavano or ora di lapidarti e tu vuoi tornare di nuovo colà, cioè vuoi tornare là per farti lapidare? E il Signore rispose: Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte inciampa perché la luce non è in lui (Gv 11, 9-10). Egli parla qui del giorno, ma nella nostra intelligenza fa ancora notte. Invochiamo il giorno affinché cacci via la notte e con la sua luce rischiari il nostro cuore. Che cosa ha voluto dire il Signore? Mi sembra, per quanto appare dall’altezza e profondità di queste parole, che abbia voluto rimproverare la loro esitazione e la loro poca fede. Essi infatti pretendevano consigliare il Signore a evitare la morte, mentre egli era venuto a morire per sottrarre loro alla morte. In altra circostanza san Pietro, che era pieno d’amore per il Signore, ma che ancora non aveva ben capito il motivo della sua venuta, temette per la sua morte e dispiacque alla Vita, cioè al Signore. Il Signore aveva annunciato ai discepoli che avrebbe dovuto patire a Gerusalemme da parte dei Giudei, e Pietro, parlando a nome anche degli altri, disse: Dio ti scampi, o Signore; questo non ti accadrà. E il Signore gli rispose: Indietro, Satana! perché non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini. E dire che poco prima Pietro, confessando il Figlio di Dio, si era meritato questo elogio: Beato sei tu, Simone figlio di Jona, perché non carne e sangue te l’ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt 16, 16-23). A quello cui aveva detto Beato sei tu, ora dice: Indietro, Satana!, in quanto Pietro non era beato da sé. Ma da parte di chi? Perché non carne e sangue te l’ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Ecco perché sei beato, non da te, ma da me. Non perché io sia il Padre, ma perché tutto ciò che appartiene al Padre è mio (cf. Gv 16, 15). Se l’esser beato, Pietro lo deve al Signore, a chi deve l’esser satana? Ecco che il Signore glielo dice. Gli ha indicato il motivo per cui è beato: perché non la carne e il sangue ti ha rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli, ecco perché sei beato; ma ascolta anche perché ti ho detto: Indietro, satana!: perché non hai il senso delle cose di Dio ma di quelle degli uomini. Nessuno s’illuda: di per se stesso, ogni uomo è Satana; se è beato, è dono di Dio. Che vuol dire “di per se stesso” se non in forza del proprio peccato? Se togli il peccato, che rimane di tuo? La giustizia è, dice, roba mia. Infatti, che cos’hai che tu non abbia ricevuto (cf. 1 Cor 4, 7)? Siccome avevano la pretesa, essi che erano uomini, di dare consiglio a Dio, e pretendevano i discepoli insegnare al maestro, i servi al Signore, i malati al medico, egli li rimproverò dicendo: Non sono
forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno non inciampa. Come a dire: seguitemi, se non volete inciampare; non vi mettete a darmi consigli, proprio voi che dovreste riceverli da me. Qual è dunque il senso della frase: Non sono forse dodici le ore del giorno? Il Signore si scelse dodici Apostoli per mostrare che egli era il giorno. Se io sono il giorno – dice – e voi le ore, forse le ore possono dare consigli al giorno? Sono le ore che seguono il giorno, non viceversa. Se però essi erano le ore, Giuda che cosa rappresentava? Faceva parte anch’egli delle dodici ore? Se era un’ora, risplendeva; se risplendeva, come ha potuto consegnare il giorno alla morte? Ma il Signore con queste parole non si riferiva a Giuda, bensì al suo successore, che già egli aveva presente. Mattia infatti prese il posto di Giuda, e così gli Apostoli rimasero dodici (cf. At 1, 26). Non senza motivo dunque il Signore aveva scelto dodici Apostoli: perché egli era il giorno in senso spirituale. Le ore, dunque, seguano il giorno, le ore annuncino il giorno, e dal giorno ricevano luce e splendore, di modo che attraverso l’annuncio che ne danno le ore il mondo creda nel giorno. Questo in sostanza vuol dire il Signore con la sua esortazione: Seguite me, se non volete inciampare.
9. Così parlò, poi soggiunse: Lazzaro, l’amico nostro, dorme; ma io vado a svegliarlo (Gv 11, 11). Era la verità. Per le sorelle Lazzaro era morto, ma per il Signore egli dormiva. Per gli uomini, che non potevano risuscitarlo, era morto; ma il Signore poteva farlo uscire dal sepolcro più facilmente di quanto tu non possa svegliare e far scendere dal letto uno che dorme. Tenendo, dunque, conto della sua potenza, disse che Lazzaro stava dormendo. Spesso, del resto, nella Scrittura si parla di tutti gli altri morti come di coloro che dormono; come quando l’Apostolo dice: Noi non vogliamo, fratelli, che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, onde non vi rattristiate alla maniera degli altri che non hanno speranza (1 Thess 4, 12). Parla dei morti come di coloro che dormono, in ordine alla risurrezione che egli annunzia. Dormono tutti i morti, tanto i buoni come i cattivi. Ma come tutti noi ci addormentiamo e ci rialziamo, ciascuno però con il suo sogno (alcuni fanno sogni lieti, altri invece sogni angosciosi, tanto che svegliandosi vorrebbero non riaddormentarsi per non ricadere in balia di essi), così tutti moriamo e risorgiamo ma ciascuno col suo giudizio particolare. Ed ancora: differiscono i generi di detenzione a cui ciascuno è sottoposto in attesa di essere giudicato; il tipo di detenzione è proporzionato alla gravità del delitto: alcuni vengono affidati ai littori, che esercitano il loro ufficio in modo umano, mite e civile; altri vengono consegnati alle guardie, altri ancora vengono gettati in carcere; e anche in carcere non tutti occupano il medesimo luogo, ma più sotterraneo se più grave è il delitto. Ora come in questo mondo differiscono secondo la sorveglianza i generi di detenzione, così differiscono per i morti, come pure differiscono le retribuzioni per i risorti. Viene accolto il povero e viene accolto il ricco; ma il primo nel seno di Abramo, il secondo dove patirà la sete e non troverà neppure una goccia d’acqua (cf. Lc 16, 22-24).
10. Profitto dell’occasione per ricordare alla vostra Carità che le anime uscendo da questo mondo non trovano tutte la medesima accoglienza. Vanno incontro al gaudio se sono buone, ai tormenti se sono malvagie. Dopo la risurrezione, il gaudio dei buoni sarà maggiore, e i tormenti dei malvagi saranno più terribili allorché ai tormenti delle anime si aggiungerà quello dei corpi. I santi Patriarchi, i Profeti, gli Apostoli, i martiri, i buoni fedeli sono stati accolti nella pace; ma tutti dovranno aspettare la fine dei tempi per ricevere ciò che Dio ha promesso: egli infatti ha promesso anche la risurrezione della carne, la distruzione della morte, la vita eterna insieme con gli angeli. Questo lo dovremo ricevere tutti insieme. Il riposo concesso dopo questa vita a chi lo merita, lo riceve ciascuno appena muore. I primi a conseguirlo sono stati i Patriarchi (pensate da quanto tempo essi riposano in pace!); poi è stata la volta dei Profeti, più vicini a noi gli Apostoli, più vicini ancora i santi martiri, e ogni giorno i buoni fedeli. Alcuni si trovano in questo riposo da molto tempo, altri non da molto tempo, altri da pochi anni e altri infine da pochissimo tempo. Ma quando si sveglieranno dal loro sonno, tutti insieme riceveranno ciò che è stato loro promesso.
11. Lazzaro, l’amico nostro, dorme; ma vado a svegliarlo. Allora i discepoli gli dissero… Risposero secondo quanto avevano compreso: Signore, se dorme guarirà! (Gv 11, 12). Il sonno dei malati infatti viene interpretato come un sintomo di guarigione. Ora, Gesù aveva parlato della morte di lui, mentre essi avevano creduto che parlasse dell’assopimento nel sonno. Allora Gesù disse loro apertamente… In maniera velata aveva detto: dorme, in maniera aperta disse: Lazzaro è morto e sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate (Gv 11, 13-15). So che è morto, e io non c’ero. Infatti gli era stato detto solamente che era malato, non che era morto. Ma che cosa poteva rimanere nascosto a colui che lo aveva creato, e alle cui mani era emigrata l’anima del defunto? Egli dice: Sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate; perché cominciassero a meravigliarsi del fatto che il Signore sapeva che Lazzaro era morto senza aver visto né sentito che era morto. Questo serve a ricordare che la fede degli stessi discepoli, che già credevano in lui, aveva ancora bisogno di essere sostenuta dai miracoli; non perché mancasse e dovesse ancora nascere, ma perché c’era già e doveva crescere; anche se l’espressione che ha usato può far pensare che essi dovevano ancora cominciare a credere. Infatti egli non dice: Sono contento per voi perché così la vostra fede crescerà, o sarà rafforzata; dice: affinché crediate; il che si deve intendere: affinché crediate di più e con maggior fermezza.
12. Ma andiamo da lui. Disse allora Tommaso, chiamato Didimo, agli altri discepoli: Andiamo anche noi per morire con lui. Arrivato, dunque, Gesù trovò Lazzaro già da quattro giorni nella tomba (Gv 11, 15-17). Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser rappresentata in più modi. Quando l’uomo nasce, nasce già con la morte; perché eredita da Adamo il peccato. E’ per questo che l’Apostolo dice: Per causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte, e in tal modo la morte passò in tutti gli uomini in cui tutti hanno peccato (Rm 5, 12). Ecco il primo giorno della morte, che l’uomo deriva dalla sua triste origine. Poi cresce, comincia a toccare l’età della ragione per cui prende coscienza della legge naturale che tutti gli uomini portano scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Forse che questo s’impara sui libri, e non si legge invece nelle pagine della natura stessa? Vuoi forse essere derubato? Certamente non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo cuore: Non fare ciò che non vuoi per te. Ma gli uomini trasgrediscono anche questa legge: ed ecco il secondo giorno della morte. Dio promulgò la legge per mezzo di Mosè suo servo; in essa sta scritto: Non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo prossimo (Es 20, 12-17). Questa è la
legge scritta, ed anch’essa viene disprezzata: ecco il terzo giorno della morte. Che cosa rimane? Viene il Vangelo, viene annunciato il Regno dei cieli, ovunque si predica Cristo; si minaccia l’inferno, si promette la vita eterna; ma anche questa legge viene disprezzata; gli uomini trasgrediscono il Vangelo: ecco il quarto giorno della morte. A ragione si può dire che ormai il morto emana fetore. Non ci sarà dunque misericordia per costoro? Non è possibile. Il Signore non disdegna di accostarsi anche a tutti questi morti per risuscitarli.
13. Molti Giudei erano venuti da Marta e da Maria per consolarle del loro fratello. Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli andò incontro, mentre Maria restò a casa. Marta disse a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto; ma anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà (Gv 11, 19-22). Non disse: Ti prego di risuscitare subito mio fratello. Come poteva sapere infatti che a suo fratello giovasse risorgere? Quindi disse soltanto: So che puoi farlo, se vuoi; ma sei tu che devi giudicare se è il caso di farlo, non io. Ma anche adesso so che qualunque cosa domanderai a Dio, Dio te la concederà.
14. Gesù le disse: Tuo fratello risorgerà. L’espressione era ambigua, perché non le disse: Ora risusciterò tuo fratello; ma le disse: Tuo fratello risorgerà. Marta gli rispose: So che risorgerà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno (Gv 11, 23-24). Era come dire: Di quella risurrezione sono sicura, di questa no. Le disse Gesù: Io sono la risurrezione. Tu dici che tuo fratello risorgerà nell’ultimo giorno. Questo è vero. Però colui per mezzo del quale risorgerà, può farlo risorgere anche adesso, perché Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11, 25). Ascoltate, fratelli, ascoltate ciò che dice. Tutti i circostanti erano nell’attesa di veder Lazzaro, un morto di quattro giorni, rivivere. Ebbene, ascoltiamo e risorgiamo. Quanti in questa folla sono oppressi dal peso della cattiva abitudine! Forse tra quelli che mi ascoltano ci sono taluni ai quali vien detto: Non vogliate inebriarvi di vino, che è causa di dissolutezza (Ef 5, 18). Essi rispondono: non possiamo farne a meno! Forse mi ascoltano alcuni che si sono lasciati corrompere da ogni disordine e vizio, ai quali vien detto: non fate così, se non volete perdervi. Ma essi rispondono: non riusciamo a liberarci dalle nostre abitudini. O Signore, risuscita costoro! Io sono – egli dice – la risurrezione e la vita. E’ la risurrezione perché è la vita.
15. Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno (Gv 11, 25-26). Che vuol dire questo? Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro, vivrà, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d’lsacco e il Dio di Giacobbe; non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi (Mt 22, 32; Lc 20, 37-38). Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale che indugiava a seguirlo e diceva: Permettimi prima di andare a seppellire mio padre, il Signore rispose: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni e seguimi (Mt 8, 21-22). Vi era là un morto da seppellire, e vi erano dei morti intenti a seppellirlo: questi era morto nel corpo, quelli nell’anima. Quando è che muore l’anima? Quando manca la fede. Quando è che muore il corpo? Quando viene a mancare l’anima. La fede è l’anima della tua anima. Chi crede in me – egli dice – anche se è morto nel corpo, vivrà nell’anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. Cioè: chi crede in me, anche se morirà vivrà. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per la immortalità della risurrezione. Questo è il senso delle sue parole: E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu? – domanda Gesù a Marta -; Ed essa risponde: Sì, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo (Gv 11, 26-27). E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita; ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno.
16. Detto questo, andò a chiamare Maria, sua sorella, dicendole in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama (Gv 11, 28). E’ da notare che “in silenzio” significa sottovoce: come infatti avrebbe potuto dire, rimanendo in silenzio: IL maestro è qui e ti chiama? E’ da notare altresì che l’evangelista non ha detto né dove né come né quando il Signore aveva chiamato Maria: per amore di brevità preferisce farcelo sapere solo attraverso le parole di Marta.
17. Ella, udito questo, si alza in fretta e va da lui. Gesù, però, non era ancora entrato nel villaggio, ma stava sempre nel luogo dove gli era venuta incontro Marta. I Giudei che erano in casa con lei a consolarla, al vedere Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando che sarebbe andata al sepolcro a piangere (Gv 11, 29-31). Perché l’evangelista si preoccupa di raccontarci questo particolare? Per informarci della circostanza che aveva raccolto tanta gente, quando Lazzaro fu risuscitato. I Giudei, pensando che Maria corresse al sepolcro per cercare nelle lacrime sollievo al suo dolore, la seguirono, e così il grande miracolo della risurrezione di uno che era morto da quattro giorni ebbe moltissimi testimoni.
18. Maria, giunta al luogo dov’era Gesù, al vederlo gli si gettò ai piedi ed esclamò: Signore, se fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Gesù, vedendola piangere, e con lei piangere i Giudei che l’accompagnavano, fremette nello spirito, si turbò e disse: Dove l’avete deposto? (Gv 11, 32-34). Non so cosa abbia voluto indicarci il Signore con questo fremito e con questo suo turbamento. Chi poteva turbarlo, se non era lui a turbare se stesso? Perciò, fratelli miei, tenete ben presente la sua potenza prima di cercare il significato del suo turbamento. Tu puoi essere turbato senza volerlo; Cristo invece si turbò perché volle. E’ vero che Gesù ha sentito la fame, è vero che si è rattristato ed è altrettanto vero che è morto; ma tutto questo perché l’ha voluto lui: era in suo potere soffrire questo o altro o non soffrire affatto. Il Verbo ha assunto l’anima, ma anche la carne, armonizzando, nell’unità della sua persona, la natura dell’uomo tutto intero. La luce del Verbo, è vero, illuminò l’anima di Pietro e l’anima di Paolo, illuminò le anime degli altri apostoli e dei santi profeti; di nessuna però si poté dire: Il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14); di nessuna si può dire: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 20, 30). L’anima e la carne di Cristo formano col Verbo di Dio una sola persona, un solo Cristo. C’è in lui la massima potenza, e perciò la debolezza umana obbediva in tutto alla sua volontà. Ecco il senso dell’espressione: egli si turbò.
19. Ho parlato della potenza; ora vediamo il significato del suo turbamento. Lazzaro morto da quattro giorni e chiuso nel sepolcro è simbolo di un grande peccatore. Perché si turba il Cristo, se non per insegnarti che tu devi metterti in agitazione quando ti vedi oppresso e schiacciato da tanta mole di peccati? Ti sei esaminato, ti sei riconosciuto colpevole, ti sei detto: ho fatto quel peccato e Dio mi ha perdonato; ho commesso quell’altro e Dio ha differito il castigo; ho ascoltato il Vangelo e l’ho disprezzato; sono stato battezzato e sono ric
aduto nelle medesime colpe; che faccio? dove vado? come posso uscirne? Quando parli così, già il Cristo freme perché in te freme la fede. Negli accenti di chi freme si annuncia la speranza di chi risorge. Se dentro di te c’è la fede, dentro di te c’è Cristo che freme: se in noi c’è fede, in noi c’è Cristo. Lo dice l’Apostolo: Per mezzo della fede, Cristo abita nei vostri cuori (Ef 3, 17). La presenza di Cristo nel tuo cuore è legata alla fede che tu hai in lui. Questo è il significato del fatto che egli dormiva nella barca: essendo i discepoli in pericolo, ormai sul punto di naufragare, gli si avvicinarono e lo svegliarono. Cristo si levò, comandò ai venti e ai flutti, e si fece gran bonaccia (cf. Mt 8, 24-26). E’ quello che avviene dentro di te: mentre navighi, mentre attraversi il mare tempestoso e pericoloso di questa vita, i venti penetrano dentro di te; soffiano i venti, si levano i flutti e agitano la barca. Quali venti? Hai ricevuto un insulto e ti sei adirato; l’insulto è il vento, l’ira è il flutto; sei in pericolo perché stai per reagire, stai per rendere ingiuria per ingiuria e la barca sta per naufragare. Sveglia Cristo che dorme. E’ per questo che sei agitato e stai per ricambiare male per male, perché Cristo nella barca dorme. Il sonno di Cristo nel tuo cuore vuol dire il torpore della fede. Se svegli Cristo, se cioè la tua fede si riscuote, che ti dice Cristo che si è svegliato nel tuo cuore? Ti dice: Io mi son sentito dire indemoniato (Gv 7, 20), e ho pregato per loro. Il Signore ascolta e tace; il servo ascolta e si indigna? Ma, tu vuoi farti giustizia. E che, mi son forse fatto giustizia io? Quando la fede ti parla così, è come se si impartissero comandi ai venti e ai flutti: e viene la calma. Risvegliare Cristo che dorme nella barca è, dunque, scuotere la fede; allo stesso modo Cristo frema nel cuore dell’uomo oppresso da una grande mole e abitudine di peccato, nel cuore dell’uomo che trasgredisce anche il santo Vangelo; Cristo frema, cioè l’uomo rimproveri se stesso. Ascolta ancora: Cristo ha pianto, l’uomo pianga se stesso. Per qual motivo infatti Cristo ha pianto se non perché l’uomo impari a piangere? Per qual motivo fremette e da se medesimo si turbò se non perché la fede dell’uomo, giustamente scontento di se stesso, impari a fremere condannando le proprie cattive azioni, affinché la forza della penitenza vinca l’abitudine al peccato?
20. E disse: dove l’avete deposto? Sapevi che era morto, e non sapevi dove era stato sepolto? Questo significa che Dio quasi non conosce più l’uomo che si è perduto in questa maniera. Non ho osato dire: non conosce. Ho detto quasi, perché in effetti non c’è nulla che Dio non conosca. La prova che Dio quasi non conoscerà più l’uomo perduto si trova nelle parole che il Signore pronuncerà nel giudizio: Non vi conosco; allontanatevi da me! (Mt 7, 23). Che significa non vi conosco? Significa: non vi vedo nella mia luce, non vi vedo nella giustizia che io conosco. Così anche qui, come se egli non conoscesse più un così grande peccatore, dice: Dove l’avete deposto? Così si era espressa la voce di Dio nel paradiso dopo che l’uomo peccò: Adamo dove sei? (Gn 3, 9). Gli dicono: Signore, vieni e vedi. Che vuol dire: vedi? Vuol dire: abbi pietà. Il Signore infatti vede allorché usa misericordia. Per questo col salmista gli diciamo: Vedi la mia miseria, la mia pena, e perdona tutti i miei peccati (Sal 24, 18).
21. E Gesù pianse. Dissero allora i Giudei: Guarda come l’amava! (Gv 11, 35-36). Che vuol dire lo amava? Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori al pentimento (Mt 9, 13). Ma alcuni di loro soggiunsero: Non poteva costui, che ha aperto gli occhi al cieco, fare altresì che questo non morisse? (Gv 11,37). Colui che non ha impedito che un malato morisse, farà molto di più: risusciterà un morto.
22. Intanto Gesù, fremendo di nuovo in se stesso, giunse al sepolcro. Egli fremerà anche in te, se sei disposto a rivivere. Per ognuno che sia sotto il peso di un’abitudine perversa vien detto che Cristo si reca al sepolcro. Era una grotta, contro la quale era stata posta una pietra (Gv 11, 38). Il morto sotto la pietra rappresenta il colpevole sotto la legge. Sapete infatti che la legge data ai Giudei fu scritta sulla pietra (cf. Es 31, 18). Tutti i colpevoli sono sotto la legge, mentre quelli che vivono bene sono con la legge. La legge non serve per il giusto (cf. 1 Tim 1, 9). Che significa dunque la parola del Signore: Levate via la pietra (Gv 11, 39)? Significa: Proclamate la grazia. L’apostolo Paolo infatti dice di essere ministro del Nuovo Testamento, non della lettera ma dello spirito, poiché la lettera uccide – egli dice – mentre lo spirito vivifica (2 Cor 3, 6). La lettera che uccide, è come la pietra che opprime. Levate via la pietra! egli dice. Cioè togliete il peso della legge, e proclamate la grazia. Se si fosse data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe dalla legge; la Scrittura invece ha rinserrato ogni cosa sotto il peccato, perché venisse data la promessa in virtù della fede in Gesù Cristo a quelli che credono (Gal 3, 21-22). Dunque: Levate via la pietra!
23. Gli dice Marta, la sorella del morto: Signore, già puzza, perché son quattro giorni che è là. Gesù le dice: Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? (Gv 11, 39-40). Le dice che vedrà la gloria di Dio perché sta per risuscitare un morto di quattro giorni che già puzza. Tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio (Rm 3, 23); e ancora: Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia (Rm 5, 20).
24. Tolsero, allora, la pietra. Gesù levò gli occhi al cielo e disse: Padre, ti ringrazio di avermi ascoltato. Io però sapevo che tu mi ascolti sempre, ma l’ho detto per il popolo che mi circonda, affinché credano che tu mi hai mandato. E, detto questo, con gran voce gridò (Gv 11, 41-43). Fremette, pianse, con gran voce gridò. Quanto è difficile che si alzi chi è oppresso dal peso delle cattive abitudini! E tuttavia si alza: una grazia occulta interiormente lo vivifica e al suono della voce potente si alza. Che cosa è avvenuto? Con gran voce gridò: Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì con i piedi e le mani legate da fasce e la faccia avvolta in un sudario (Gv 11, 43-44). Ti meravigli che abbia potuto camminare con i piedi e le mani legati, e non ti meravigli che sia risorto un morto di quattro giorni? L’una e l’altra sono dovute alla potenza del Signore, non alla forza del morto. Esce ancora legato; è ancora avvolto, eppure viene fuori. Che significa? Quando disprezzi la grazia di Dio, giaci morto; e se la disprezzi al punto che ho detto, giaci sepolto. Ma quando confessi il tuo peccato, vieni fuori. Che significa infatti venir fuori, se non manifestarsi uscendo come da un nascondiglio? Perché tu abbia a riconoscere la tua colpevolezza, Dio ti chiama a gran voce, cioè con una grazia straordinaria. E siccome il morto era uscito ancora legato, come un reo confesso non ancora assolto, affinché fosse sciolto dai suoi peccati, il Signore disse ai servitori: Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11, 44). Che significa scioglietelo e lasciatelo andare? Ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto nei cieli (cf. Mt 16, 19).
25. Molti dei Giudei venuti da Maria, e che avevano visto ciò che egli aveva fatto, credettero in lui. Ma alcuni di essi si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù (Gv 11, 45-46). Non tutti i Giudei che erano venuti da Maria credettero, però in gran numero. Ma alcuni di essi, cioè alcuni dei Giudei che erano venuti, oppure anche di quelli che avevano creduto, si recarono dai farisei a riferire ciò che aveva fatto Gesù, per recare un annuncio
che convincesse anche i farisei a credere, o più probabilmente per fare una denuncia che provocasse il loro furore. Comunque fossero le intenzioni di chi andò a riferire, i farisei furono informati.
26. I gran sacerdoti e i farisei radunarono allora un consiglio e dicevano: Che facciamo? (Gv 11, 47). Non dicevano mica: Crediamo! Quegli uomini perversi infatti erano più impegnati a infierire su di lui fino a eliminarlo che non a cercare la loro salvezza. E tuttavia erano perplessi e si consultavano. Infatti dicevano: Che facciamo? perché quest’uomo fa molti prodigi! Se lo lasciamo continuare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e ci distruggeranno città e nazione (Gv 11, 47-48). Temevano di perdere le cose temporali e non si preoccupavano della vita eterna, e così perdettero l’una e l’altra. I Romani infatti, dopo la passione e la glorificazione del Signore, distrussero la loro città e la loro nazione, espugnando la città e deportando la popolazione. Si realizzò così la profezia: I figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8, 12). Temevano che se tutti avessero creduto in Cristo, non sarebbe rimasto nessuno a difendere la città e il tempio di Dio contro i Romani. Erano infatti convinti che la dottrina di Cristo fosse contraria al tempio e alle leggi dei loro padri.
27. Uno di essi, però, Caifa, che era sommo sacerdote di quell’anno, disse loro: Voi non ci capite nulla, né riflettete che è nel vostro interesse che un uomo solo muoia e non perisca la nazione intera. Ora, questo non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote di quell’anno, profetò (Gv 11, 49-51). Apprendiamo qui che lo spirito di profezia può annunciare il futuro anche per bocca di un uomo indegno; la qual cosa l’evangelista l’attribuisce a un’occulta disposizione di Dio, per il fatto che Caifa era pontefice, cioè sommo sacerdote. Può sembrare strano che l’evangelista dica di Caifa che era sommo sacerdote per quell’anno, dato che Dio aveva stabilito che un sommo sacerdote dovesse restare in carica fino alla sua morte. Ma è risaputo che in seguito, per soddisfare ambizioni ed evitare contese, si stabilì che fossero più di uno fra i Giudei, e che ciascuno a turno esercitasse la carica per un anno. Anche di Zaccaria si dice che mentre prestava servizio sacerdotale nel turno della sua classe, innanzi a Dio, secondo l’uso del sacro ministero, gli toccò in sorte di entrare nel santuario del Signore per bruciare l’incenso (Lc 1, 8-9). Questo dimostra che vi era più di un sommo sacerdote, e che prestavano il loro servizio a turno, poiché solo al sommo sacerdote spettava bruciare l’incenso (cf. Es 30, 7). E probabilmente anche durante il medesimo anno prestavano servizio in diversi, ai quali si avvicendavano altri nell’anno successivo, e tra questi veniva sorteggiato chi doveva bruciare l’incenso. E cosa profetò Caifa? Profetò che Gesù sarebbe morto per la nazione, e non per quella nazione soltanto, ma anche per radunare insieme i figli di Dio dispersi (Gv 11, 51-52). Questo lo ha aggiunto l’evangelista, in quanto la profezia di Caifa si limitava alla nazione dei Giudei, nella quale si trovavano quelle pecore di cui il Signore aveva detto: Sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d’lsraele (Mt 15, 24). Ma l’evangelista sapeva che esistevano altre pecore che non erano di quell’ovile, e che dovevano essere radunate, in modo che vi fosse un solo ovile, e un solo pastore (cf. Gv 10, 16). Tutto questo, però, l’evangelista lo dice tenendo conto della predestinazione, in quanto quelli che non credevano in lui, non erano ancora né sue pecore né figli di Dio.
28. Da quel giorno, dunque, decisero di farlo morire. Gesù non si faceva più vedere in pubblico fra i Giudei, ma si ritirò nella regione prossima al deserto, in una città chiamata Efraim, e là soggiornò con i suoi discepoli (Gv 11, 53-55). Non gli era certo venuto meno il suo potere, perché, se avesse voluto, avrebbe ben potuto rimanere pubblicamente in mezzo ai Giudei senza che essi potessero fargli del male. Egli volle invece offrire ai discepoli l’esempio di come si possa vivere accettando la debolezza umana; e mostrare loro che i suoi fedeli, che sono le sue membra, possono, senza commettere peccato, sottrarsi ai loro persecutori; e che si deve cercare di sfuggire al furore degli iniqui, anziché provocarli maggiormente col mettersi nelle loro mani.