Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la II Domenica di Pasqua, della Divina Misericordia[1] (Anno A).
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Rito Romano
At 2,42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31
Rito Ambrosiano
At 4,8-24; Sal 117; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
1) Il costato trafitto: sorgente di luce e di misericordia.
Questa domenica, che tradizionalmente era chiamata “Domenica in Albis”, dal 2000 è stata proclamata Festa della Misericordia da Giovanni Paolo II. Questo Santo Papa ha così voluto evidenziare lo stratto legame che esiste tra il Mistero di Pasqua e la Festa della misericordia: “L’opera della Redenzione è collegata con l’opera della Misericordia” (Sr Faustina).
E’ vero che, secondo un’antica tradizione, l’odierna domenica aveva il nome di Domenica “in Albis”, perché in questo giorno, nei primi secoli della Chiesa, i battezzati della Veglia pasquale indossavano ancora una volta la loro veste bianca, simbolo della luce che il Signore aveva loro donato nel Battesimo. In seguito avrebbero poi deposto la veste bianca[2], ma la nuova luminosità che era stata loro comunicata doveva da lore essere introdotta nella loro quotidianità. La fiamma delicata della verità e del bene, che il Signore aveva acceso in loro, doveva da loro essere custodire diligentemente per portare così in questo nostro mondo qualcosa della luminosità e della bontà di Dio.
E’ altrettanto vero che battesimo[3] è il sacramento di misericordia, con il quale Dio non solamente ci perdona il peccato originale ma ci incorpora a Cristo e ci rende Tempio dello Spirito Santo. Questo sacramento “sgorga” dal costato trafitto di Cristo, “sorgente di misericordia, fontana di perdono” (Simeone il Nuovo Teologo, Inno XLV) e il Vangelo di oggi ci mostra l’Apostolo Tommaso che ha il dono della fede mettendo il dito in questo costato, quasi per toccare il Cuore di Cristo compassionevole da cui escono il sangue e l’acqua della grazia: la tenera misericordia di Dio.
Dio non può tradire il suo nome: Amore, che si dona e che perdona. Con il Mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo una nuova creazione è fatta, e come dal costato di Adamo dormiente Dio Padre è stata formata Eva, dal costato di Cristo dormiente sulla Croce Dio Padre trasse la Chiesa[4].
La Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo[5] e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli manifestava ancora una volta la Sua misericordia.
A noi come a San Tommaso, Gesù dice: “Metti qua il tuo dito, stendi la tua mano, tocca!” A Tommaso bastò quel gesto. Anche a noi può e edeve bastare sapere e fare esperienza che il prossimo, il fratelle e la sorella, colui che tende le mani verso di te, voce che non ti giudica ma ti incoraggia e ti chiama, corpo offerto ai dubbi dei suoi amici, è Gesù.
Non non poté sbagliarsi. C’era un foro nelle mani di Cristo, c’era il colpo di lancia nel Suo fianco: sono i segni dell’amore, che Gesù non nasconde, anzi, quasi esibisce: il foro dei chiodi, lo squarcio nel costato.
Guardiamo frequentemente il Crocifisso che c’è in ogni chiesa e, spero, in ogni nostra casa, con gli occhi vedremo piaghe che non ci saremmo aspettati, con le mani del cuore potremo anche noi toccare e crede.
Forse, pensavamo che la Risurrezione avrebbe rimarginato per sempre le ferite del Venerdì santo. E invece no. L’amore ha scritto il suo racconto sul corpo di Gesù con l’alfabeto delle ferite. Indelebili ormai, proprio come l’amore. Ma dalle piaghe aperte non sgorga più sangue, bensì luce e misericordia. E nella mano di Tommaso, guidata da Cristo verso il suo costato, ci sono tutte le nostre mani.
2) Dalla paura alla gioia.
“Le porte erano sprangate per paura dei Giudei” (Gv 20, 19). Paura improbabile, ma quasi tutte le paure sono improbabili, però ci sono e sono realissime. Queste paure che ti chiudono totalmente agli altri, che fanno buio nell’esistenza e che fanno del loro cuore e del cenacolo un sepolcro; il cenacolo è il luogo dove Gesù aveva dato il pane, dove adesso entrerà, ormai la loro stanza è un sepolcro, vivono di paura, di paura della morte. Come la pietra che chiudeva il Sepolcro non impedì a Cristo di uscire e portare la Luce, le porte chiuse del Cenacolo non Gli impediscono di entrare e di rischiare il luogo ed i cuori dei suoi discepoli. Il Signore è risorto non c’è più ragione di avere alcuna paura. Persino la morte è vinta: di che cosa avere allora paura? “Si rallegrarono al vedere il Signore”: i discepoli passano dalla paura alla gioia. La gioia, dono del Signore risorto, è una partecipazione alla sua stessa gioia.
Non ci sono due gioie differenti, una per Dio e una per l’uomo. In tutte e due i casi si tratta di una gioia che affonda le sue radici nell’amore. Questa gioia non sta nell’assenza della Croce, ma nel comprendere che il Crocifisso è risorto. La fede permette una comprensione vera della Croce e del dramma dell’uomo.
Insieme con la gioia c’è un altro dono da parte del Risorto: la pace. Ricordiamo però che pace e gioia sono “doni” di Cristo e, al tempo stesso, “tracce” per riconoscerLo. Ma occorre infrangere l’attaccamento a se stessi. La pace e la gioia fioriscono soltanto nella libertà e nel dono di sé.
L’offerta di se stessi a Dio, ha recentemente[6] spiegato Papa Francesco, “riguarda ogni cristiano, perché tutti siamo consacrati a Lui mediante il Battesimo. Tutti siamo chiamati ad offrirci al Padre con Gesù e come Gesù, facendo della nostra vita un dono generoso, nella famiglia, nel lavoro, nel servizio alla Chiesa, nelle opere di misericordia”. Tuttavia, “tale consacrazione è vissuta in modo particolare dai religiosi, dai monaci, dai laici consacrati, che con la professione dei voti appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo. Questa appartenenza al Signore permette a quanti la vivono in modo autentico di offrire una testimonianza speciale al Vangelo del Regno di Dio. Totalmente consacrati a Dio, sono totalmente consegnati ai fratelli, per portare la luce di Cristo là dove più fitte sono le tenebre e per diffondere la sua speranza nei cuori sfiduciati”. Le Vergini consacrate sono segno di Dio nei diversi ambienti di vita, sono lievito per la crescita di una società più giusta e fraterna, sono profezia di condivisione con i piccoli e i poveri. Così intesa e vissuta, la vita consacrata ci appare proprio come essa è realmente: è un dono di Dio, un dono di Dio alla Chiesa, un dono di Dio al suo popolo.
3) Il perdono come missione.
L’incontro di misericordia di Cristo con Tommaso fu possibile perche Gesù stava in mezzo ai discepoli. Non solo Tommaso, ma lui e la comunità riconoscono il Signore dalle sue ferite, che restano sempre aperte per accogliere tutti. Da esse scaturisce la gioia di chi è amato e l’invio ad amare come siamo amati. La missione della chiesa è la stessa di Gesù, inviato dal Padre verso i fratelli. Per questo siamo
creature nuove, vivificate dal suo Spirito, che è amore, dono e perdono da offrire a tutti. Se perdoniamo, siamo come Gesù Cristo ed avremo la sua pace: “Pace a voi”.
Ma è una pace diversa rispetto a quella del mondo. Diversa perché dono di Dio e perché va alla radice, là dove l’uomo si decide per la menzogna o per la verità. Diversa perché è una pace che sa pagare il prezzo della giustizia. La pace di Gesù non promette di eliminare la Croce – né nella vita del cristiano, né nella storia del mondo – ma rende certi della sua vittoria: “Io ho vinto il mondo” (Gv 16,33).
Al dono della pace Gesù aggiunge quello dello Spirito: “Ricevete lo Spirito Santo”: lo Spirito è il testimone di Gesù. Davanti all’ostilità che incontreranno, i discepoli saranno esposti al dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento: lo Spirito difenderà Gesù nel loro cuore, li renderà sicuri e saldi. Anche a noi, discepoli di oggi, lo Spirito ci offre questa certezza e ci da la forza di portare nel mondo il perdono di Dio.
La Chiesa nel Cenacolo è nata dalla contemplazione dell’amore del Cristo Crocifisso e Risorto ed è inviata a testimoniare e condividere questo amore che perdona.
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LETTURA PATRISTICA
Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Dal Commento alla Prima Lettera di S. Giovanni
(In Io. Ep. tr. 1, 3)
Tommaso toccò l’uomo e riconobbe Dio!
“Noi – dice Giovanni – siamo testimoni e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e si è manifestata in noi (1 Gv 1, 2-3), cioèin mezzo a noi; piú chiaramente si direbbe: manifestata a noi. Le cose dunque che abbianto visto e sentito le annunciamo a voi. Faccia bene attenzione la vostra Carità: Le cose che abbiamo visto e udito noi vi annunciamo. Essi videro presente nella carne il Signore stesso, da quella bocca raccolsero le sue parole e ce le hanno trasmesse. Perciò anche noi abbiamo sentito, sebbene non abbiamo visto. Siamo forse meno felici di quelli che videro ed udirono? Ma perché allora aggiunse: Affinché anche voi abbiate parte insieme con noi (1 Gv 1, 3-4)?Essividero, noi no, e tuttavia ci troviamo insieme; la ragione è questa, che abbiamo comune tra noi la fede. Ci fu un tale che, avendo visto, non credette e volle palpare per arrivare in questo modo alla fede. Disse costui: Io non crederò se non metterò le mie dita nel segno dei chiodi e non toccherò le sue cicatrici. IlSignore permise che le mani degli uomini lo palpassero per un poco, lui che sempre si offre allo sguardo degli angeli. Il discepolo dunque palpò ed esclamò: Signor mio e Dio mio. Eglitoccò l’uomo e riconobbe Dio. Il Signore allora, per consolare noi che non possiamo stringerlo con le mani, essendo egli già in cielo, ma possiamo raggiungerlo con la fede, gli disse: Tu hai creduto, perché hai veduto: beati quelli che non vedono e credono (Gv 20, 25-29). In questo passo siamo noi stessi ritratti e designati. S’avveri dunque in noi quella beatitudine che il Signore ha preannunziato per le future generazioni; restiamo saldamente attaccati a ciò che non vediamo, perché essi che videro ce lo attestano. Affinché -affermaGiovanni – anche voi abbiate parte con noi. Che c’è di straordinario a far parte della società degli uomini? Aspetta ad obiettare; considera ciò che egli aggiunge: E la nostra vita sia in comune con Dio Padre e Gesú Cristo suo Figlio. Queste cose ve le abbiamo scritte, perché sia piena la vostra gioia (1 Gv 1, 3-4). Proprio nella vita in comune, proprio nella carità e nella unità, Giovanni afferma che c’è la pienezza della gioia.”
In breve…
Vedeva e toccava l’uomo, ma confessava Dio che non vedeva e non toccava. Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio, credette in ciò che non vedeva. (In Io. Ev. tr. 121, 5)
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NOTE
[1] Nella parola “misericordia” S. Giovanni Paolo II trovava riassunto e nuovamente interpretato per il nostro tempo l’intero mistero della Redenzione, quindi il 30 aprile 2000 questo Papa, che oggi è proclamato Santo insieme con Giovanni XXIII, istituì la Festa della Divina Misericordia e volle che fosse celebrata in questa II Domenica di Pasqua.
[2] Per questo la prima domenica dopo Pasqua era chiamata in latino: “in albis depositis”.
[3] “Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito (« vitae spiritualis ianua »), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione: « Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l’acqua e la parola ».”(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1213).
[4] Cfr Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 5: AAS 56 (1964) 99.
[5] Cfr Sant’Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)
[6] Discorso del 2 febbraio 2014.