La presenza di Maria nel lager di Dachau

Il professor Valerio Morello racconta la devozione mariana del martire della carità, il beato padre Giuseppe Girotti

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Tutti i biografi che si sono occupati di padre Giuseppe Girotti compresi gli estensori della Positio super martyrio hanno dato ampio spazio alla carità eroica del frate domenicano.

Il prof. Valerio Morello, autore del libro Morire per i fratelli maggiori (edizioni “Colle della Resistenza” di Alba) ha cercato di approfondire la religiosità di padre Girotti ed in particolare la devozione nutrita nei confronti della Madonna, per altro ribadita nello stesso processo di beatificazione da qualche testimone che ha personalmente conosciuto il frate domenicano.

Ne è uscito un articolo pubblicato dalla rivista  “Rosarium” (www.sulrosario.org) nel numero 1 del 2014.

Ne riportiamo alcuni stralci.

Ha scritto il prof. Valerio Morello

(…) Ed è probabilmente proprio nel campo di Dachau che si consumerà anche il periodo più intenso e più pregnante della sua devozione mariana, (…)

 Il 29 agosto 1944, padre Girotti fu dapprima rinchiuso nel carcere torinese de “Le Nuove”, sotto accusa di aver dato soccorso e ricetto agli Ebrei ed in particolare al professor Giuseppe Diena, insigne medico gastroenterologo e libero docente presso l’Università di Torino, che il padre domenicano  stava  effettivamente nascondendo in una villa della collina di Torino, presso una famiglia amica.

Il 21 settembre successivo fu trasferito nel campo di Bolzano e di qui, proprio durante la prima domenica di ottobre, tradizionale festa della Madonna del Rosario, venne tradotto nel lager bavarese di Dachau.

Ha scritto in proposito don Dalmasso in un articolo di testimonianza:

La prima domenica di ottobre P. Girotti mi chiamò in disparte; ricordo ancora le sue parole: “Oggi diremo tanti Rosari, io da buon domenicano debbo rosariare con una certa solennità”, ma il nostro Rosario fu bruscamente interrotto.

All’improvviso risuonò l’ordine dell’adunata e corse tra i prigionieri la voce che si partiva per la Germania (…) Stipati nei carri a bestiame arrivammo con un giorno ed una notte di viaggio ad un paese nelle vicinanze di Monaco di Baviera. Tutto il mondo ricorda con orrore il suo nome: Dachau (…) dal campo di smistamento eravamo passati al campo di annientamento (…) La nostra colonna era di quasi duemila internati.

In presenza di questa colonna di deportati il Nostro frate e don Dalmasso dovettero eseguire, loro per primi, l’umiliante operazione di denudazione.   

(…) Per quanto riguarda tuttavia il suo rapporto di devozione con la Vergine ed in che modo abbia potuto  metterlo in pratica nell’inferno del campo di detenzione, occorre precisare che verso la fine del mese di ottobre, dopo aver trascorso la quarantena nella baracca 25, fu assegnato assieme con don Dalmasso alla baracca 26, quella in cui erano rinchiusi tutti i religiosi.

Essa, costruita per ospitare circa 180 persone, ne conteneva in realtà 1090 sebbene  una stube, ovvero uno dei quattro padiglioni in cui era stata suddivisa, fosse stata adibita a cappella per celebrare le funzioni. Proprio in questo padiglione, decisamente insolito per un campo di detenzione nazista, in un angolo, era esposta una statua della Vergine con il Bambino!

Per tentare di capire cosa poteva rappresentare la vista di quella sacra immagine per un religioso deportato proviamo a leggere quanto ha scritto  un altro sacerdote detenuto, don Roberto Angeli,  riguardo al suo arrivo nel lager di Dachau

Ci condussero alla stanza numero quattro, poi qualcuno mi accompagnò in cappella. Non mi chiedete che cosa dissi o cosa provai. Forse non dissi nulla, forse non mi riuscì neppure a balbettare una preghiera. Stetti lì in ginocchio, appoggiato alla parete ed il mio sguardo vagava tra il tabernacolo sull’altare ornato di fiori e la dolce immagine della Madonna col Bambino in braccio, che mi guardava dall’angolo della cappella

In quella stessa cappella il nostro P. Girotti nella sua breve e dolorosa permanenza nel lager bavarese, tutte le volte che il lavoro sfibrante e la salute precaria glielo hanno permesso, si è sempre recato per recitare il Rosario, per partecipare alla Messa che poteva essere celebrata una sola volta durante il giorno, alle 4 del mattino, per ricevere la Comunione. 

In quella stessa cappella il Nostro domenicano avrà senz’altro invocato la Madre di Gesù con le preghiere più devote, più accorate e più struggenti che mai Le abbia rivolto in tutta la sua vita religiosa e dalla Beata Vergine, rappresentata in quella statua, egli avrà senza dubbio attinto la forza ed il coraggio per condividere con Cristo  l’estremo sacrificio.

Il 4 aprile, dopo 14 mesi di assenza dall’altare, don Angelo Dalmasso ha potuto celebrare la Messa di suffragio per padre Girotti, lasciandoci in seguito questa commovente testimonianza:

Mentre iniziavo la Messa, attorniato dai Preti prigionieri, il Requiem dell’introito mi uscì rotto dai singhiozzi e dal pianto. Attorno al piccolo altare altri avevano le lacrime agli occhi, tutti volevano bene a P. Giuseppe. Un giovane seminarista francese della diocesi di St. Diè nel dipartimento dei Vosgi mi sorresse e mi aiutò a terminare la funzione, al termine mi confidò che avrebbe preso il posto di P. Girotti nell’Ordine Domenicano. (…)

Alcuni mesi dopo, a liberazione ormai avvenuta, Raymond Demange, il seminarista suddetto, scriveva a don Dalmasso per dargli notizia che sarebbe entrato nell’Ordine dei Predicatori a St. Maximin in Provenza e per chiedergli la corona del Rosario appartenuta  P. Girotti, che il sacerdote sopravvissuto era riuscito a conservare ed a portare con sé

Spedii la corona – afferma don Dalmasso concludendo il suo lungo articolo di testimonianza – e pregai P. Girotti che suscitasse nel nuovo Domenicano il suo spirito e la sua virtù.

Fonte: “Rosarium”, rivista ufficiale del Movimento Domenicano del Rosario

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ZENIT Staff

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