È stata una grande emozione per il mondo intero leggere ieri le parole di Papa Francesco nell’intervista con i cinque giovani fiamminghi, ricevuti in Vaticano il 31 marzo scorso. Un’intervista che aveva il sapore di una chiacchierata tra amici, in cui il Papa ha rivelato a pieno la sua umanità raccontando i suoi sbagli, la paura che Francesco, il Papa, ha di Francesco, l’uomo. Ma anche le sue speranze verso i giovani, e il suo amore per i poveri, che – ha detto – non viene dall’essere “comunista”, ma dal seguire alla lettera gli insegnamenti del Vangelo.
Non finisce qua, però. Nell’articolo di ieri, abbiamo riportato le parti principali dell’intervista come trasmesse giovedì sera dalla Tv pubblica fiamminga del Belgio VRT. Oggi aggiungiamo le parti mancanti contenute nel testo integrale pubblicato stamane dalla Sala Stampa vaticana.
Oltre alla domanda sull’amore per i poveri di matrice evangelica e non ideologico-comunista, il Pontefice, nel colloquio, ha fatto riferimento anche ad un’altra povertà: quella “per gli emarginati”. Ovvero tutte le categorie sociali deboli come “lebbrosi, vedove, orfani e ciechi”, verso cui Cristo mostra una particolare predilezione nel Vangelo.
Ma Gesù esprime il suo amore anche per “i grandi peccatori…”. “E questa è la mia consolazione!”, ha detto il Papa ai ragazzi, perché – ha spiegato – “Lui non si spaventa neppure del peccato! Quando trovò una persona come Zaccheo, che era un ladro, o come Matteo, che era un traditore della patria per i soldi, Lui non si è spaventato! Li ha guardati e li ha scelti”.
Tra gli ultimi del mondo, il Papa aggiunge anche un’altra categoria: i malati. In loro il Santo Padre ha affermato di trovare Dio, così come Lo trova “nella lettura della Bibbia”, “nella celebrazione dei Sacramenti”, “nel lavoro quotidiano” e, ovviamente, “nella preghiera”.
A proposito di preghiera, “come prega Dio il Successore di Pietro?”, domandano i cinque fiamminghi. “Mi lascio guardare da Lui”, ha risposto prontamente Bergoglio, “e io sento – ma non è sentimentalismo – sento profondamente le cose che il Signore mi dice”. Alcune volte, ha soggiunto, Dio “non parla… niente, vuoto, vuoto, vuoto… ma pazientemente sto lì, e così prego…”.
Sulle ‘modalità’ di orazione, il Papa ha confessato poi di pregare “seduto”, perché “mi fa male inginocchiarmi, e alcune volte – ha ammesso – mi addormento nella preghiera…”. Ma non fa niente, anche questa “è una maniera di pregare, come un figlio con il Padre, e questo è importante: mi sento figlio con il Padre”.
I giovani – tra i quali anche una ragazza atea che, però, si è detta colpita dal Pontefice – hanno poi domandato a Bergoglio come sia possibile realizzare una vera evangelizzazione nella società di oggi. Il Papa, disarmante come sempre, ha pronunciato una sola parola per spiegare in che modo vada annunciato oggi il Vangelo: umiltà.
Non c’è altra via: “La strada migliore è la testimonianza, ma umile”, ha detto il Pontefice. Dire, cioè, agli altri “‘io sono così’, con umiltà, senza trionfalismo”. Proprio il trionfalismo, ha sottolineato il Vescovo di Roma, “è un altro peccato” di noi cristiani, “un altro atteggiamento cattivo”. “Gesù non è stato trionfalista e anche la storia ci insegna a non essere trionfalisti, perché i grandi trionfalisti sono stati sconfitti”, ha ricordato il Papa. E ha ribadito che “la testimonianza” è la chiave per una nuova e vera evangelizzazione.
Essa è un dono e, in quanto tale, si concede “con umiltà, senza fare proselitismo”: “La offro. È così. E questo non fa paura”. Anche perché – ha rimarcato il Santo Padre – quando vai ad annunciare il Vangelo, porti l’amore di Cristo alle persone, “non vai alle crociate”.
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Per leggere il testo integrale dell’intervista di Papa Francesco ai giovani fiamminghi cliccare su:
http://www.zenit.org/it/articles/il-cuore-del-vangelo-e-l-annuncio-ai-poveri