I Comboniani in Uganda: 105 anni di missione e testimonianza di carità

Il sacerdote missionario Torquato Paolucci racconta la situazione di un paese, seconda tappa del viaggio del Papa, afflitto dalla corruzione ma animato da una Chiesa viva

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È arrivato oggi in Uganda Papa Francesco, dove rimarrà fino a domenica 29 novembre. Sarà il secondo paese dell’Africa che il Santo Padre visiterà durante il suo 11° viaggio apostolico internazionale, iniziato lo scorso mercoledì 25 in Kenya e che si concluderà il 30 in Repubblica Centrafricana. In Uganda ad attendere il Papa ci sarà il sacerdote italiano di Urbania Torquato Paolucci, missionario comboniano nel paese dal 1972 al 2010. A ZENIT, ha quindi offerto una chiave di lettura per meglio comprendere questa seconda tappa del viaggio di Bergoglio. 

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Qual è il problema principale dell’Uganda oggi?

È la lotta alla corruzione. Il governo attuale si è presentato all’inizio facendo molte buone, poi ha pensato solo ad arricchirsi. Quindi c’è una classe ricchissima, mentre la maggior parte delle persone vive in povertà estrema.

Rispetto al passato qual è la situazione politica e sociale attuale del paese?

C’è stato un progresso generale: più strade, più libertà… Il governo ha fatto molti passi avanti rispetto al passato, come dicevo, tuttavia, ma il gruppo dirigente è come una ‘mafia’ e quindi quasi tutto viene manipolato. Anche le elezioni fatte quando ancora ero lì qualche anno fa… giravano un sacco di soldi, urne piene di schede elettorali andate perdute. C’è tanta, tanta corruzione. Si pensa solo a fare affari importanti e non farsi scoprire. Il prossimo febbraio ci saranno le nuove elezioni politiche e molti temono che si ripeta la farsa della volta scorsa.

Quale pensa sia la via d’uscita da questa situazione e che contributo può dare in tal senso la visita apostolica del Santo Padre?

Il tema principale è quello di portare maggiore onestà, maggiore attenzione ai poveri e ai malati. Le persone sono molto felici di questo incontro che avranno con Papa Francesco, che, tra l’altro, viene a celebrare il 50° anniversario della canonizzazione dei martiri dell’Uganda.

A tal proposito, chi erano questi 22 martiri?

Erano laici, tutti laici che si convertirono al cattolicesimo grazie ai missionari in Africa cardinale del cardinale Charles Lavigerie, i cosiddetti Padri Bianchi. Sono stati uccisi tra il 1885 e il 1887, per il solo motivo di essere cristiani. Erano molto impegnati in associazioni e iniziative cattoliche.

Quanti sono oggi i cattolici nel paese?

Un 45% circa della popolazione è cattolica, il 25% protestante e il 10% musulmani; il resto sono animisti o di altre fedi.

E il dialogo interreligioso funziona?

In passato, c’era grande tensione nel rapporto tra cattolici e protestanti. Anche perché in politica i protestanti avevano il supporto dell’Inghilterra che ha cercato sempre di emarginare i cattolici. Ma questi ultimi erano la stragrande maggioranza, e quindi non riuscirono a tenerli ai margini. Poi, nel corso degli anni, è stato avviato un processo più collaborativo in campo sociale, non tanto dal punto di vista dottrinale, e si sono trovati diversi punti d’incontro. Nella maggior parte dell’Uganda la coesistenza è quindi positiva e c’è collaborazione; in alcune zone, tuttavia, rimane qualche tensione del passato.

Con i musulmani, invece, qual è la situazione?

Ci si incontra principalmente nelle città e nel commercio. Con i musulmani non ho mai assistito a tensioni negli anni in cui ho lavorato lì. C’era un buon rapporto con loro e abbiamo creato insieme molti posti di lavoro. Abbiamo anche messo in comune dei soldi per scuole e ospedali. Io stesso a volte ho aiutato alcuni giovani musulmani ad andare a scuola o anche al collegio, perché non andavano. C’era un rapporto discreto, almeno parlando di cinque anni fa. Non so se oggi ci siano infiltrazioni di fondamentalisti…

Può raccontare, in sintesi, il lavoro dei Missionari Comboniani in Uganda?

I Missionari Comboniani sono arrivati in Uganda nel 1910, e hanno operato soprattutto al nord, verso il confine con il Sudan. A Sud, invece, c’erano i Padri Bianchi. Per raggiungere il cuore delle persone abbiamo fatto molte opere sociali. La stragrande maggioranza delle scuole nascono proprio dal lavoro della Chiesa. Anche la sanità deriva dal lavoro dei Comboniani. Ancora oggi il 65% delle strutture sanitarie sono gestite dalla Chiesa, grazie ai volontari. Così, per testimoniare l’amore di Gesù, molti hanno visto nella carità cristiana un messaggio di speranza e di salvezza. Nell’ultimo periodo, in cui si sono avvicendate guerre tribali per la lotta al potere – parliamo di oltre 20 anni di guerra, distruzione e massacri – i missionari Comboniani sono stati gli unici ‘bianchi’ a essere rimasti nel territorio, anche se 13 di loro sono stati uccisi. Questo ha aiutato tante persone a credere in Gesù. Non si sono sentiti abbandonati e siamo diventati un segno di speranza per molti.

Quindi quale Chiesa troverà Francesco venendo in Uganda? 

Oggi la Chiesa ugandese ha grande vitalità e vocazioni, al punto che stiamo integrando quasi tutte le nostre strutture alle Chiese locali, e, quindi, pian piano ci stiamo ritirando da questo paese. Un po’ siamo ‘più vecchi’ e un po’ perché l’Uganda non ha bisogno di missionari, perché ha abbastanza personale per fare il lavoro della Chiesa e per mandare missionari in altri Paesi. Attualmente nel paese ci sono 130 Missionari Comboniani.

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Sergio Mora

Buenos Aires, Argentina Estudios de periodismo en el Istituto Superiore di Comunicazione de Roma y examen superior de italiano para extranjeros en el Instituto Dante Alighieri de Roma. Periodista profesional de la Associazione Stampa Estera en Italia, y publicista de la Orden de periodistas de Italia. Fue corresponsal adjunto del diario español El País de 2000 a 2004, colaborador de los programas en español de la BBC y de Radio Vaticano. Fue director del mensual Expreso Latino, realizó 41 programas en Sky con Babel TV. Actualmente además de ser redactor de ZENIT colabora con diversos medios latinoamericanos.

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