Fra ecumenismo e preghiera: l’esperienza dei frati minori della Basilica del Santo Sepolcro

Intervista a fra Wladyslaw Brzezinski OFM, Presidente del Santo Sepolcro a Gerusalemme

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GERUSALEMME, venerdì, 15 aprile 2006 (ZENIT.org).- Segnali di forte ecumenismo provengono oggi dal Luogo più sacro per i cristiani. E’ questa l’esperienza raccontata dal frate francescano di origini polacche, Wladyslaw Brzezinski, Presidente del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

In questa intervista a ZENIT, fra Brzezinski racconta in particolare la vita della piccola comunità dei frati minori ospitata all’interno della Basilica del Santo Sepolcro – detta oggi della Resurrezione – nei giorni del Triduo pasquale.

La vostra è una vita un po’ nascosta, come quella a cui anelava Charles de Foucauld, un altro grande devoto della Terra Santa.

Brzezinski: Sì, infatti spesso i pellegrini si chiedono cosa facciamo qui. In realtà siamo tutt’uno con la Basilica. Una comunità che vive proprio qui dentro. Il nostro servizio è innanzitutto la preghiera. Ma in questo santissimo luogo dove è la Tomba del Signore e il luogo della sua crocifissione, anche la sola presenza è preghiera. Siamo a servizio dei pellegrini in tutto, principalmente per la liturgia. La nostra qui è la preghiera di una piccola comunità francescana, in rappresentanza di tutta la Chiesa cattolica. Ma possiamo dire che la vicinanza al Santo Sepolcro crea una comunità che si allarga ai greci, agli armeni e ai copti.

Qual è l’esperienza della orazione notturna?

Brzezinski: Quando la sera si chiude la Basilica, sperimentiamo la forza della preghiera nella solitudine. Fino alle 11 di notte è il nostro turno di orazione personale nell’edicola del Santo Sepolcro. E’ il momento più bello. E allora anche le pietre parlano. Qui il Signore per te è morto, qui per te è risorto. Lui ci parla personalmente, non è questione di abitudine. E’ un dialogo che si prolunga nel sonno, quando senti il tintinnio delle campanelle delle liturgie dei greci o degli armeni.

Ma non vi sentite separati dal mondo?

Brzezinski: No, questa è la nostra vita, che ci permette di presentare al Signore migliaia di intenzioni che ci vengono richieste durante il giorno dai pellegrini o che ci giungono dai benefattori. Preghiamo per tutta la Chiesa, per il Custode, per il Patriarca. Le persone sentono che attraverso questo servizio orante siamo molto vicini a loro.

Siete voi a scegliere di venire qui?

Brzezinski: Prima tutti i frati che venivano in Terra Santa per servizio dovevano stare qui per un anno, ma poi la situazione è cambiata per molti motivi. Qui la vita non è facile, ci sono orari molto particolari, e bisogna anche essere forti psichicamente perché si dorme poco. Alle quattro e mezza di notte iniziano le nostre liturgie nell’edicola dell’Anastasis. Di fatto per dormire ci sono solo due ore. Ma spesso è difficile addormentarsi, più che altro ci si riposa da svegli, prima che suoni di nuovo la campanella. Quando poi ci sono feste o solennità la liturgia è più lunga perché cantiamo accompagnati dall’organo. Si sta molto al chiuso; in Basilica è quasi buio, e anche in convento, nelle nostre stanze e nel corridoio entra poca luce, perché sopra ci sono tre moschee. Il convento è stato costruito 60 anni fa e prima la vita per i frati era più dura. Siamo di servizio 5 settimane consecutive, intervallate da una di riposo. E poi si ricomincia da capo. Non è una vita adatta a tutti. C’è una chiamata particolare per stare qui. Noi comunque lo sentiamo come un privilegio, a servizio degli altri.

Come potete resistere?

Brzezinski: Mi ricordo che quando venni qui la prima volta come pellegrino rimasi negativamente colpito da questo luogo. Andai in convento, e dissi al mio confratello che serviva in Basilica: “Come può vivere qua, lei è santo oppure è pazzo! Ci sono tantissimi luoghi in Terra Santa più belli, che sembrano più adatti alla meditazione, come il lago di Tiberiade o il Tabor. Perché ha scelto di venire qui?”. Poi ho capito. Oggi respingiamo da noi l’esperienza del calvario e la realtà della tomba. Perché devi servire, soffrire per gli altri? Tutta la cultura intorno a noi ci dice che questa è una pazzia. Eppure il Signore ha sofferto proprio in questo luogo per noi, perché ci ha amato immensamente. Ho capito ed ho chiesto di venire qui anch’io. Sono due anni e mezzo che servo in Basilica. P. Gabriele, italiano, è qui da sette anni, P. John, ghanese, da nove anni; P. Angelo, dal Giappone, è qui da 10. E’ sorprendente. Per quanto mi riguarda posso dire che senza la preghiera, senza la vita comunitaria, so che non potrei resistere per più di due mesi.

Ci sono altre comunità che vivono all’interno della Basilica?

Brzezinski: I greci hanno il loro patriarcato collegato alla Basilica, ma distante: qui loro, come gli armeni e i copti, hanno piccole stanze in galleria, per riposare. Gli etiopi non hanno questa possibilità, sono fuori dallo status quo. Solo noi, i latini, abitiamo qui; qui abbiamo il nostro convento, dentro la Basilica; inoltre siamo la comunità più estesa, perché siamo in dieci.

Anche la chiusura della Basilica avviene secondo un preciso rito?

Brzezinski: Sì, devono essere presenti i rappresentanti delle tre comunità, cioè dei greci, dei latini e degli armeni — i copti e gli etiopi non rientrano nello status quo, cioè negli accordi che regolano la presenza nella Basilica — e se mancasse un rappresentante non si potrebbe chiudere. Le chiavi della basilica sono in mano ad una famiglia musulmana dal 1180. Non sono padroni della Basilica, ma si ritengono un poco tali solo per questo, e così quando arrivano personalità importanti sono sempre presenti.

Come sono i rapporti con le altre comunità cristiane?

Brzezinski: E’ una storia lunga che ha avuto momenti difficili. Ma da quando è cambiato il Patriarca greco, cioè con il nuovo Patriarca, Theophilos III, i nostri rapporti sono molto migliorati. Ci incontriamo, parliamo insieme di tanti problemi. Spesso li invitiamo da noi a prendere un caffè o per un piccolo rinfresco. Abbiamo capito che insieme siamo come un candelabro, una luce a cui tutti guardano, e questo è molto importante.

Quindi dovete anche comportarvi con una certa diplomazia…

Brzezinski: Dobbiamo soprattutto rispettare gli orari stabiliti. Questo orario è fissato dallo status quo e sottoscritto dalle tre comunità e cioè la latina, la greca e la armena. Dobbiamo rispettarlo. Lo status quo è molto preciso, regola tutti gli orari nei minimi dettagli: anche nel caso che la Pasqua capiti per tutte e tre le comunità lo stesso giorno. I regolamenti sono una cosa buona, solo richiedono il rispetto. Questo è stato fissato nel 1756, sotto il dominio dei Turchi, e firmato.

Una situazione non sempre facile…

Brzezinski: Si deve capire la loro mentalità: se non sei presente nel tempo prestabilito, significa che non ti serve, non ti interessa e quindi non ti spetta più. Ma detto questo, si deve anche riconoscere che oggi la situazione è molto migliorata, anche se a volte, purtroppo, le spiegazioni delle guide restano legate a storie di vecchi scontri.

Un esempio di miglioramento?

Brzezinski: Era abituale, durante la processione quotidiana sul Calvario, il segno di gentilezza di inchinare la testa verso il greco che sta al Calvario, per ringraziare. Ma adesso vado a stringergli la mano. E’ un segno di comunione più forte che aiuta anche i pellegrini.

Allora si può dire che l’ecumenismo inizia in questi luoghi e con questi piccoli gesti?

Brzezinski: Penso che se un pellegrino partecipa alla veglia notturna sperimenta una comunione nuova. A volte ho sentito qualcuno raccontare: “Quel sacerdote greco è stato veramente gentile con me. Mi ha dato da bere, la benedizione, l’olio santo”. L’ecumenismo è, alla fine, riconoscersi fratelli,
e questi gesti sono una testimonianza di rapporti buoni e sinceri. In questo clima spesso ci scambiamo l’abbraccio di pace. C’è una vita spirituale intensa quando si chiude il portone. La veglia poi è una cosa speciale. Perché qui la liturgia è una cosa unica, in questo luogo è sempre così, è il frutto di una tradizione millenaria.

Dunque una liturgia che dura 24 ore su 24…

Brzezinski: Proprio così, infatti anche quando siamo in parlatorio sentiamo i pellegrini cantare. In refettorio c’è una piccola finestra che si affaccia sulla cappella del Santissimo Sacramento… se vado in sala tv, che si trova accanto alla Basilica, sento tutto. E se apro la porta della galleria arriva il profumo di incenso. Per esprimermi con un’immagine, siamo come un nido sul muro della Basilica, sull’edicola del S. Sepolcro.

Durante la Quaresima, oltre alle celebrazioni liturgiche diurne, anche la liturgia notturna nel Santo Sepolcro è più ricca?

Brzezinski: Sì, ad esempio ogni sabato di Quaresima in Basilica si svolge una veglia che riunisce la Comunità francescana di San Salvatore insieme a religiosi, fedeli e pellegrini. I francescani con a capo il padre Custode portano l’Evangelario processionalmente nella Cappella dell’Apparizione di Gesù Risorto alla Madre. Qui si svolge la veglia quaresimale durante la quale si cantano le salmodie dell’ufficio e delle lodi.

Qual è la particolarità di questa liturgia notturna

Brzezinski: Il culmine della veglia domenicale è parte tipica della liturgia gerosolimitana: è la Memoria Resurrectionis. Al canto del “Benedictus” l’assemblea lascia in processione la Cappella e con ceri accesi — simboli della luce di Cristo Risorto — compie un giro intorno al “Sepolcro glorioso” del Signore, mentre il padre Custode porta l’Evangelario e i diaconi lo incensano copiosamente. Durante il canto del “Benedictus” si ripete l’antifona: “Un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Alleluia. Alleluia”. Il canto di questa antifona pasquale anche durante il tempo di Quaresima è in continuità con quanto testimonia la pellegrina Egeria.

Dunque un rituale molto antico?

Brzezinski: Sì, si può dire che i francescani qui rivivono ciò che Egeria scriveva della comunità cristiana di Gerusalemme ormai sedici secoli fa. La liturgia è stata rinnovata in seguito alla riforma del Concilio Vaticano II, tenendo presenti le antiche fonti liturgiche della Chiesa di Gerusalemme. Per questo i vari momenti della liturgia antica testimoniati dai primi resoconti dei pellegrini furono recuperati.

La Memoria Resurrectionis è voluta perché, secondo l’espressione di Egeria, tutto sia “adatto al giorno e al luogo” (aptus diei et loco), cioè la liturgia e la preghiera facciano sempre presente l’evento della salvezza che nei santuari di Terra Santa è custodito.

La solenne liturgia della veglia quaresimale, seguendo fedelmente le testimonianze antiche, ha così un forte carattere pasquale?

Brzezinski: Sì infatti a Gerusalemme, nella Basilica della Risurrezione, è sempre Pasqua del Signore. Quando la processione arriva davanti all’edicola, il padre Custode con l’Evangelario entra all’interno, dove si compie l’incensazione della Tomba vuota e del Vangelo collocato su di essa. L’assemblea attende fuori, ai due lati, l’uscita gloriosa del Vangelo dall’Edicola. Questo rito solenne rappresenta simbolicamente la Resurrezione di Cristo. Sulle note dell’organo e proseguendo il cantico biblico del Benedictus “visitabit nos oriens ex alto” la processione ritorna alla Cappella dell’Apparizione dove viene proclamato il Vangelo della Risurrezione. La Veglia si conclude con l’incensazione del Vangelo, e la benedizione fatta innalzandolo sull’assemblea. Nel luogo dell’avvenimento storico della Resurrezione si fa sempre memoria della Pasqua. A Gerusalemme il Sepolcro vuoto è segno del compimento del mistero pasquale. Oltre alla Tomba vuota, lo proclama il Vangelo e continua a farlo presente in ogni tempo anche la liturgia e l’orazione della comunità del Santo Sepolcro: il Signore è veramente risorto.

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ZENIT Staff

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