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La libertà e il diritto



Magnifico Rettore, Spettabili Autorità Accademiche, Cari Colleghi, Signore e Signori!

È un onore particolare e una gioia profonda per me di poter ricevere l’alta onorificenza del dottorato honoris causa dell’Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublino. Questa università cattolica era, per lunghi decenni, un simbolo per gli intellettuali credenti di tutto il mondo comunista, un luogo, dove malgrado ogni difficoltà, si poteva continuare in forma istituzionale tra fede e scienze, dialogo di importanza vitale per la cultura umana e per la missione della Chiesa. Sono grato a questa comunità accademica anche per la fraterna collaborazione con la quale essa aiutava lo sviluppo della nostra nuova università cattolica ungherese, fondata appena quindici anni fa. La collaborazione tra intellettuali credenti in tutta la nostra regione rimane attuale ed importante anche oggi, quando il nostro continente deve affrontare – oltre a quelle economiche e giuridiche – nuove sfide culturali e morali. Una delle questioni più delicate della nostra cultura occidentale che devono cercare di risolvere in modo convincente i giuristi di oggi, sia nella Chiesa che nella società civile, è il problema del senso della libertà.

Turbolenza intorno alla nozione di libertà

L’uomo di oggi sembra soffrire, a proposito della libertà, da una enorme tentazione, al quale ha fatto cenno, alcuni anni fa, persino l’attuale Sommo Pontefice Benedetto XVI. Come se l’uomo fosse stato condotto nella città santa e, posto sul pinnacolo del tempio – come una volta Gesù Cristo – e come se Qualcuno gli dicesse: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù” [1]. Che cosa servono i vincoli che ti limitano la libertà, che ti servono i condizionamenti umani, sociali, religiosi, perché rispettare la libertà degli altri? Tu sei come Dio: assoluto nella tua libertà: gettati giù! Se pensiamo che questa visione sia un mero gioco di fantasia, guardiamo un po’ la TV: vediamo gente che si getta giù da ponti altissimi fidandosi di un solo cordone: un piccolo ostacolo ancora, una piccola mancanza per arrivare alla piena ed assoluta libertà. Libertà di disporre sulla propria vita e anche sulla propria morte? Anche sulla morte altrui?

Nella storia della tentazione di Gesù il demonio comincia le sue proposte con le parole “Se tu sei Figlio di Dio”. Come nella prima tentazione nel Paradiso, egli vuol far credere all’uomo che Dio lo inganna. “Se avrai mangiato di questi frutti, i tuoi occhi saranno aperti” [2]. Anche qui suggerisce: Dio ti chiama suo figlio, ma egli ti inganna per questa qualità che ti dà. Se credi seriamente, dai una prova della tua potenza! Ma Gesù respinge la tentazione. Il suo potere divino è di altra natura, come osserva San Giovanni Crisostomo [3]. La sua potenza serve per proteggere altri dalla caduta. La sua potenza è per altri. Azzardare è piuttosto l’abitudine del Malvagio: è lui che fa cadere masse di esseri terrestri nell’abisso [4].

Sin dall’epoca dell’illuminismo la libertà è presente nel pensiero occidentale come uno dei valori principali. All’inizio, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, anche i pensatori più affezionati dell’idea della libertà, con poche eccezioni, sembravano avere una nozione di libertà abbastanza chiara e persino condivisa da larghi ceti della società. Nei primi documenti che elencavano i diritti umani incontriamo tutta una serie di libertà che competono a tutte le persone umane. Prima di tutto veniva dichiarato che ogni essere umano nasce libero. Anche se a prima vista questa frase sembra apodittica, nel contesto risulta chiaro che gli autori volevano affermare l’uguale condizione giuridico-naturale di tutti, e che questa condizione non era compatibile alla schiavitù. Libertà nel contesto indica quindi quell’insieme di diritti e doveri che erano propri degli uomini liberi nella società. Tutta una ricchezza di contenuti positivi!

Le altre libertà poi erano delle espressioni composte: libertà di pensiero, di parola, di religione, di stampa, di associarsi ecc. La libertà aveva sempre un oggetto. La stessa logica si riscontra anche nelle costituzioni del diciottesimo, diciannovesimo e persino del ventesimo secolo. Le libertà trovano il loro posto tra i diritti umani, i diritti fondamentali. E tutto ciò veniva dedotto da quello che è l’essere umano, se vogliamo: dalla natura umana. Non è per caso che persino Benedetto Croce collegava ai valori cristiani anche lo stesso “ideale liberale” [5].

Ma man mano è cominciata una certa confusione. Come era necessario dichiarare le libertà della persona umana anche nei documenti giuridici, così si riteneva sicuro che tutto ciò non scaturisce soltanto dalla volontà del legislatore umano, ma dalla natura, dal “diritto naturale”, dalla fisionomia dell’essere umano, dai suoi bisogni e dalle sue doti. Proprio per questo poteva suonare così rivoluzionario il pensiero delle libertà: esse non sono state delle concessioni di qualche grazia da parte di un sovrano feudale assolutistico, ma competevano a tutti per forza della stessa natura umana. Si è presupposta quindi la natura e la natura umana come un dato di fatto.

Sin dal secolo XIX, ma dal secolo XX in modo massiccio si è diffusa un’altra idea di libertà. Si è cominciato assolutizzare la libertà, mentre quasi tutti gli altri concetti sono stati sempre più relativizzati. La libertà stessa però si riduceva man mano a una libertà dell’individuo che poteva rivendicare i suoi diritti di fronte alle istituzioni. Nelle discussioni sui diritti che devono essere garantiti nell’Unione Europea abbiamo visto che non è stato sempre facile a far riconoscere i diritti collettivi per esempio di minoranze o di gruppi etnici e religiosi come tali. E soprattutto, i diritti e le libertà vengono sempre di più riconosciuti di fronte alla società od alle istituzioni e non nel loro contesto. Per cui il pubblico nei paesi ex-comunisti li trova spesso come irreali, inefficaci o distruttivi. Non soltanto i nostalgici del socialismo reale, ma anche diversi altri si lamentano in questi paesi dello sfascio dell’ordine pubblico, della destabilizzazione della società, della straordinaria crescita della criminalità e di tanti altri fenomeni attribuiti al cosiddetto influsso dell’Occidente o della globalizzazione.

Il sogno della libertà totale di Rousseau, le mitologie di libertà che stavano dietro i radicalismi politici dei secoli XIX e XX, che si sono dimostrate però contraddittorie fino al punto di generare le dittature più violente che hanno fatto prevalere l’aspetto comunitario e collettivo su ogni rispetto dell’individuo, e tante altre correnti cariche di ideologie astratte hanno lasciato le loro tracce profonde nel pensiero comune dei nostri tempi. Di questa percezione di libertà ha potuto osservare giustamente il Weiler: “la stessa oggettività è considerata un vincolo alla libertà. Una strana libertà, vuota di contenuto” [6].

Questa nozione negativa di libertà si basa però su una visione inesatta dell’uomo, la quale non risponde alla realtà. Come sapevano anche i greci, l’uomo è un essere sociale (zoon politikon), un essere nato per esistere per qualcuno, da qualcuno e con qualcuno, come ha esposto splendidamente il Santo Padre Benedetto XVI, allora Cardinale Ratzinger, identificando anche la causa più profonda, considerata teologicamente di questa specialità che si esprime anche nel carattere particolare della nostra libertà: siamo creati all’immagine di Dio uno e trino, della Santissima Trinità quindi, la quale è “per sua essenza totalmente ‘essere-per’ (Padre), ‘essere-da’ (Figlio) ed ‘essere-con’ (Spirito Santo)” [7]. La nostra libertà quindi, aspetto specifico dell’immagine di Dio, deve essere e funzionare in armonia con la libertà degli altri e dell’intera comunità organica.

I valori come oggetti della libertà

La libertà ha, per sua stessa natura, oggetti concreti. E questi oggetti non sono semplicemente dei desideri o delle opinioni, ma sono delle cose preziose e ragionevoli. In questo punto però siamo arrivati ad un altro concetto tanto richiesto e tanto discusso come quello dei valori. I valori non sono cose astratte, separate dal resto della realtà, ma esprimono sempre una relazione. La stessa cosa vale anche per la ragionevolezza, per il senso delle cose. Il valore di tanti prodotti e servizi viene misurato con una somma di denaro. Anche se in modo superficiale, ma già questo fatto indica una relazione. Una cosa, una prestazione ha un valore e un senso, perché è in relazione con qualcos’altro. Il senso e il valore di certi fatti, di certe azioni umane viene indicato spesso con riferimento alla famiglia, alla nazione, alla comunità più larga, a tutta l’umanità, alla storia dell’umanità. Ma se al di fuori dell’universo non esiste un’altra realtà, da dove proviene il senso ed il valore dell’universo? Il valore e il senso della realtà di tutto il mondo proviene dalla sua relazione con Dio, che è e rimane sempre l’Altro. Così la fonte del valore della realtà che deve servire come punto di riferimento per la libertà umana, è Dio stesso, la volontà del Creatore che si rispecchia nell’insieme e in tutti i dettagli della creazione. Così una bella tradizione hasidica ritiene che ogni uomo che ricerca fino in fondo qualsiasi realtà, fosse anche così piccola come una goccia d’acqua, incontra Dio stesso se ricerca con onestà.

Nel contesto della società la realizzazione della libertà deve avvenire con responsabilità. L’uomo è un essere che risponde alla realtà – in questo si realizza la sua vera libertà. Ma se la realtà, anche nella società umana, veramente esiste, e se non siamo costretti a seguire solo i nostri desideri e le nostre opinioni soggettive, allora la libertà serve per seguire quello che richiede il vero bene nostro che non può essere incompatibile con il bene comune, ma anzi queste due realtà sono in correlazione. Il concetto di bene comune sembra anch’esso un po’ meno di moda. Ma senza di questo la società diventa puro gioco di forze e di interessi di gruppi senza speranza, senza futuro, senza senso. Per molti in Europa centro-orientale è comunque una consolazione, ricercata a volte disperatamente, che malgrado tutte le apparenze attuali è necessario che esista un buon senso comune, che vi siano beni comuni riconoscibili per tutti, che sia possibile un denominatore comune, in base alla realtà oggettiva dell’uomo.

Ma perché è necessario che la società protegga anche con delle sanzioni quello che è buono all’uomo? Perché l’uomo è prezioso! Perché questo fatto dà senso e valore anche alla società! Ma l’uomo non riceve il senso e il valore della propria vita semplicemente dalla società. Questo sarebbe un circulus vitiosus! L’uomo è una realtà che è degna di rispetto incondizionato da parte degli altri uomini. Questo è il vero fondamento di tutte le libertà individuali. Tale fatto viene espresso mediante la nozione della dignità dell’uomo. Questa dignità, da parte sua discende – secondo la ferma tradizione giudeo-cristiana – dal nostro essere creato ad immagine di Dio. Ecco un elemento di identità anche della nostra cultura europea ossia occidentale, che ha una validità universale. All’epoca del comunismo, in alcuni posti di lavoro o a volte persino al muro esterno delle fabbriche stava scritto con grandi caratteri rossi: “Da noi il valore supremo è l’uomo”. Sappiamo che la prassi insegnava poi una cosa ben diversa. Anzi si citava di solito questa frase, come anche tanti altri slogan, con un po’ di amara ironia. Certo, se Dio non esiste, la preziosità assoluta dell’uomo si spiega difficilmente. Una cosa che era profondamente vera, ma suonava dolorosamente infondata ed irreale nel contesto fino al punto di causare una noia incomparabile.

Il diritto

Se parliamo di valori da proteggere persino mediante sanzioni, arriviamo al mondo del diritto. Ma il concetto di diritto ha la stessa sorte tormentata che aveva quello di libertà. Anche la nozione di diritto è diventata incerta e poco comprensibile. Quasi una croce per la filosofia del diritto. Fino a circa un secolo e mezzo fa le definizioni del diritto hanno contenuto un forte elemento oggettivo. I romani, lo stesso Celso, nel suo brano citato nel Digesto, lo hanno definito come arte del bene e dell’equità (ars boni et aequi) [8]. Anche il pensiero cristiano ha messo in rilievo l’importanza dell’elemento oggettivo indispensabile per la stessa nozione del diritto. San Tommaso d’Aquino nella sua famosa definizione sulla legge scrive: che essa è una ordinatio rationis in bonum commune ab eo qui curam communitatis habet promulgata [9]. Cioè l’essere indirizzato al bene comune è un elemento della definizione della legge. Così anche nel diritto canonico, fino ad oggi, esiste, anzi prevale nella nozione della legge questo elemento oggettivo. Se tale elemento viene meno, la legge canonica perde la sua forza vincolante [10]. Se con il cambiamento delle circostanze il suo contenuto diventa completamente irrazionale, ingiusto, dannoso, immorale od impossibile, e ciò non soltanto in un caso singolo, ma in modo generale e durevole, la legge può cessare di esistere. Non si tratta certamente della legge divina, ma di quella puramente umana. Questo cambiamento deve essere tuttavia inequivoco e palese. Non possiamo considerare come estinte le norme oggettive di diritto per un giudizio puramente soggettivo. Se una tale legge cessa per motivi interni, questo fatto sollecita generalmente il legislatore di introdurre una modifica anche formale, o il fatto stesso conduce almeno alla creazione di una consuetudine contra legem. L’ingiustizia, l’irrazionalità, il carattere dannoso od immorale della legge deve essere giudicato in base alla fede cattolica, perché la giustezza, la ragionevolezza, l’utilità ecc. della norma canonica si basa su dei fatti di fede, e può essere giudicato così solo da punto di vista della fede. Il bene comune per il diritto canonico è il bene della Chiesa, o – come dice lo stesso Codice di diritto canonico – la salvezza delle anime (can. 1752). Nel diritto della Chiesa quindi si osserva una certa „elasticità” sotto l’aspetto formale, che è allo stesso tempo strumento e manifestazione di una maggiore stabilità sotto l’aspetto del contenuto delle norme. Se il contenuto delle norme è ben fondato nella fede, anche l’obbligazione morale della loro osservanza è più chiara e meno forte la necessità della coercibilità esterna e fisica.

Nel diritto secolare invece, anche se il contenuto delle norme dovrebbe essere di importanza centrale pure qui, le definizioni della legge diventano sempre più formali nel corso del XIX e XX secolo: esse precisano le formalità della promulgazione, l’organo emittente ecc., ma parlano sempre meno del contenuto della norma. Il diritto, infatti, deve trasmettere la realtà dell’uomo, non soltanto la volontà del legislatore. L’inizio del formalismo può essere, quando la verità del contenuto viene sostituita, e non soltanto integrata in modo strumentale, dal consenso della maggioranza. Maggioranza della società o maggioranza di pochi eletti? Per alcuni, in questi casi si tratta del consenso di coloro “che sono capaci ad argomentare”. Questo potrebbe degenerarsi facilmente in una pretesa elitaria di una dittatura intellettuale [11]. O pensiamo alla semplice maggioranza numerica? I consensi sono fragili e ci sono sempre dei gruppi partitici che possono imporsi come gli unici rappresentanti del progresso e della responsabilità. L’opinione della maggioranza, inoltre, è sempre esposta a delle manipolazioni. Soprattutto nei nostri giorni, quando viviamo in un periodo di rapida trasformazione culturale. La comunicazione verbale e l’argomentazion e logica sembrano cedere il loro posto, almeno in molti settori della vita, alla comunicazione attraverso immagini ed effetti audio-visuali che hanno una forza enorme nel campo affettivo-emozionale, ma poca precisione sotto aspetto intellettuale del loro contenuto. Anzi, certi politici parlano di una disintegrazione dei presupposti culturali della democrazia occidentale. Un referendum, una elezione presuppone, infatti, che vi siano delle opzioni, delle proposte ben articolate, che vi siano dei politici che cercano di convincere gli elettori della giustezza, dell’utilità, della ragionevolezza dei loro programmi. Così ragionando logicamente, l’elettore può formarsi una convinzione e scegliere con responsabilità. Ma nella realtà sembrano ormai esserci altri fattori e non tanto la logica per influenzare il voto della maggioranza. Gli stessi politici sono ormai generalmente consapevoli di questo fatto. Quando si tratta di una questione di grande importanza, è una tentazione per i governi e per le maggioranze parlamentari considerare soltanto la maggioranza nel parlamento e non tenere conto dell’opinione della maggioranza reale della società – almeno fino alle prossime elezioni. Sì che questa maggioranza risulta spesso instabile, ma da tale maggioranza proviene la legittimazione dei parlamenti e dei governi. Eppure, per esempio nella questione dell’accettazione del trattato costituzionale dell’Unione Europea, alcuni parlamenti l’hanno votato positivamente e rapidamente, con grande maggioranza, mentre sondaggi di opinione dimostravano che la popolazione del paese era molto meno entusiasta per questa Costituzione. È un caso simile quello dei diritti umani o fondamentali che in un paese moderno e democratico devono essere garantiti. Se il paese (si) aderisce ai patti internazionali che li garantiscono, la legislazione interna deve seguire questi principi, indipendentemente dall’opinione pubblica del paese. In quest’ultimo caso c’è da una parte una legittimazione internazionale che può servire come argomento quantitativo o formale, ma dall’altra parte è ancora presupposto anche un valore intrinseco di questi diritti. Si osserva però un graduale svuotamento degli stessi diritti umani mediante nuove formulazioni od interpretazioni accettate ormai solo in base ad una maggioranza qualificata, prescindendo spesso dalla realtà delle cose regolamentate in queste leggi.

Allo stesso tempo si cerca di garantire le libertà sempre più minuziosamente nelle leggi. Non avendo più una base oggettiva, sembra necessario garantire tutto con un formalismo eccessivo. Ma se le leggi esprimono soltanto i desideri e le opinioni secondo le relazioni di forze in un determinato momento, corrono il rischio di non poter veramente regolare nemmeno la vita della società. Esse diventano irrazionali o almeno incomprensibili. Certo che la vita è diventata complicatissima anch’essa. Ma lo sforzo disperato di proteggere le leggi contro gli abusi in modo fortemente burocratico è anche un segno dell’alienazione del diritto dalla realtà della stessa società. Può essere anche un segno della mancanza di qualsiasi consenso morale stabile che risponda alla realtà dell’uomo e della società. Insomma, il diritto è minacciato di essere inefficace senza l’appoggio del consenso morale della società. Ma se il diritto è arbitrario, è poco probabile trovare tale consenso. Il diritto positivo deve rispecchiare la vera struttura della società e i suoi veri scopi. Ma non basta riconoscere la validità pratica di questa tesi fondamentale dell’istituzionalismo giuridico. La struttura istituzionale e il funzionamento reale di una società dipende – diciamolo una volta chiaramente – dalla natura delle cose e dell’uomo. Se l’uomo legislatore vuol essere libero da tutto, deve procedere come un tiranno, non prendendo in considerazione gli altri, ma nemmeno la realtà delle cose. Come l’uomo non è l’ultima norma di sè stesso, così neanche il diritto creato dal legislatore umano è l’ultima istanza. Il diritto è, infatti, norma normata. Esso deve seguire le strutture e le pretese della verità e della realtà. Altrimenti non può servire alla consolidazione della vita umana, e non può neanche garantire la libertà. Così siamo arrivati alla classica definizione del diritto che è stata formulata da Dante Alighieri e che sembra oggi più attuale che mai: Il diritto è, infatti, una relazione reale e personale di un uomo all’altro, l’osservanza inviolata della quale conserva, l’inosservanza invece distrugge la società umana [12].

Il contenuto del diritto quindi è essenziale. Diritto e libertà rimarrebbero sempre contrapposte, se gli elementi di correzione alla libertà del singolo fossero da cercare a partire dall’esterno. Questo sarebbe la famosa heteronomia che è sicuramente inaccettabile per i sostenitori della libertà. Ma diritto e libertà non sono contrapposti, perché la realtà rettamente compresa del singolo porta in se stessa il rimando alla totalità, all’altro [13]. Esiste in ogni uomo la verità comune dell’unica essenza umana che fu designata tradizionalmente come natura umana [14].

Come individuare il bene comune oggettivo?

Rimane tuttavia una questione pratica: Come possiamo individuare il bene comune oggettivo? Consenso e maggioranza sono criteri soltanto formali, ma praticamente utilissimi. Non costituiscono l’ultimo criterio ma un mezzo difficilmente superabile per trovare il bene comune. Per ogni individuo è inoltre indispensabile seguire la propria coscienza. Ma nemmeno la coscienza può essere l’ultima norma superiore di ogni agire umano. Essa è soltanto la regola immediata del nostro comportamento. Ma la coscienza dev’essere ben informata! Solo così, in verità e realtà può servire come regola di vita. Per questo dice classicamente il cardinale John Henry Newman che “la coscienza ha dei diritti, perché ha dei doveri” [15]. Bisogna assumere quindi il compito umile di lavorare ogni giorno per conoscere meglio la verità. Così troviamo il vero motivo e la vera giustificazione, per cui dev’essere riconosciuta completamente la libertà di coscienza: perché dobbiamo essere liberi per la ricerca della verità. L’esistenza della verità è quindi il vero fondamento di ogni libertà. Come non possiamo mai conoscere tutta la verità di tutte le cose, così non è neanche possibile costruire un diritto perfetto, uno Stato perfetto in questa terra. Tale umiltà può proteggerci da ogni utopia tanto irreale quanto pericolosa.

Ma non basta conoscere i fatti, se non capiamo il loro senso e il loro valore. Sarebbe l’ingenuità tipica per ogni intellettualismo etico di pensare che la realtà riconosciuta si trasforma automaticamente in decisioni ed azioni umane. È proprio qui lo spazio per la nostra libertà! Bisogna conoscere la realtà, bisogna ricercare il senso e il valore dei singoli elementi di questa realtà e bisogna prendere delle decisioni responsabili di fronte a questa realtà. Bisogna sentire la chiamata normativa di Dio stesso attraverso tutte queste situazioni.

Nella letteratura delle prime generazioni cristiane è quasi prevalente il tema del rapporto tra legge e libertà. La Didascalia, scritto pseudoapostolico tipico della prima metà del III secolo, dichiara con gioia – seguendo San Paolo - che siamo stati liberati dai vincoli della Legge, ma che la legge semplice del Decalogo vale anche per i cristiani [16]. Il Creatore ci ha provvisti di capacità per riconoscere la verità nella misura in cui è sufficiente per noi, ed ha rinforzato questo suo dono mediante la Rivelazione. Questa è la base dell’ottimismo cristiano anche per quanto riguarda la società, la libertà e il diritto.

Gesù respinge la tentazione di gettarsi giù dal pinnacolo del tempio. “Non tenterai il Signore Dio tuo”. E, come dicono i padri della Chiesa, il demonio ha citato solo una frase staccata dal contesto del Salmo 90 (91), perché non osava continuare la citazione. Il Salmo, infatt i, continua così: “Su leoni ed aspidi camminerai, calpesterai leoncelli e draghi” (v. 13). “Poiché mi ama, lo salverò; lo esalterò perché conosce il mio nome. Quando mi chiamerà, gli darò risposta; con lui sarò nella sventura, lo libererò (salverò) e lo renderò glorioso. Di lunga vita lo sazierò; gli farò godere la mia salvezza” (vv. 14-15) che è la vera e piena libertà. Se la libertà umana ritrova la sua vera vocazione, cioè invece di sfidare Dio rispondere liberamente all’amore e alla chiamata del Creatore, allora l’uomo troverà quella protezione e sicurezza nella sua storia che può portare solo l’armonia con Dio e con il mondo da lui creato. Allora anche il futuro dell’umanità non sembrerà un destino senza senso e direzione, ma una storia di salvezza che è l’unica vera liberazione.

Grazie per l’attenzione!


[1] Mt 4,6.
[2] Gen 3,5.
[3] In Matth., Homil. 11, II.
[4] Cf. Mt 8,32.
[5] B. CROCE, Liberismo e liberalismo, Milano 1957, 33-34.
[6] J. H. H. WEILER, Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo (Biblioteca Universale Rizzoli), Milano 2003, 185.
[7] J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo (Cantagalli), Siena 2003, 263-264.
[8] Dig. 1.1.1.pr.
[9] S.Th. I-II q.90 a.4.
[10] J. M. PIÑERO CARRION, La ley de la Iglesia. Instituciones Canónicas , I-II, Madrid 1985-1986, I, 132; H. HEIMERL – H. PREE, Kirchenrecht. Allgemeine Normen und Eherecht , Wien - New York 1983, 47. Cf. G. MAY – A. EGLER, Einführung in die kirchenrechtliche Methode , Regensburg 1986, 161; J. LISTL, Die Rechtsnormen, in Handbuch des katholischen Kirchenrechts , hrsg. J. LISTL – H. MÜLLER – H. SCHMITZ, Regensburg 1983, 87; E. CORECCO, "Ordinatio rationis" oder "ordinatio fidei"? Anmerkungen zur Definition des kanonistischen Gesetzes , in IKZ Communio 6 (1977) 481-495.
[11] Cf. RATZINGER 269.
[12] Monarchia 2,5,1.
[13] RATZINGER 270.
[14] Ivi.
[15] Certain Difficulties, felt by Anglicans in Catholic Teaching , Westminster, Md. 1969, II, 250.
[16] Didascalia III, 30-33: TIDNER, E. (ed.), Didascaliae Apostolorum, Canonum ecclesiasticorum, Traditionis apostolicae versiones latinae (Texte und Untersuchungen 75), Berlin 1963, 6.