Conferenza Stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre Francesco al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del 25mo di fondazione e della prossima Assemblea Generale su “Roboetica. Persone, macchine e salute” - Foto © ZENIT (Deborah Castellano Lubov)

Conferenza Stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre Francesco al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita

In occasione del 25mo di fondazione e della prossima Assemblea Generale su “Roboetica. Persone, macchine e salute” – Intervento di S.E. Mons. Vincenzo Paglia, di Mons. Renzo Pegoraro, del Prof. Padre Paolo Benanti, T.O.R. e della Prof.ssa Laura Palazzani

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Alle ore 11.00 di questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, si tiene una Conferenza Stampa per la presentazione della Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, S.E. Mons. Vincenzo Paglia, in occasione del 25.mo anniversario dell’istituzione della Pontificia Accademia avvenuta l’11 febbraio 1994; e della prossima Assemblea Generale che si svolgerà dal 25 al 27 febbraio 2019 in Vaticano, presso l’Aula Nuova del Sinodo, sul tema “Roboetica. Persone, macchine e salute”.
Intervengono alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; Mons. Renzo Pegoraro, Cancelliere della medesima Pontificia Accademia; il Prof. Padre Paolo Benanti, T.O.R., Docente di Teologia Morale ed Etica delle Tecnologie nella Pontificia Università Gregoriana, Accademico della Pontificia Accademia per la Vita; la Prof.ssa Laura Palazzani, Docente di Biogiuridica e Filosofia del Diritto nella Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA), Accademico della Pontificia Accademia per la Vita. Ne riportiamo di seguito gli interventi:
Intervento di S.E. Mons. Vincenzo Paglia
L’11 febbraio 2019 ricorre il 25° anniversario della fondazione della Pontificia Accademia per la Vita. Per questa occasione Papa Francesco ha voluto inviare una lettera non semplicemente celebrativa all’Accademia per ringraziare tutti i membri per il lavoro che hanno svolto negli anni passati e per incoraggiarla ad affrontare con rinnovato impegno il compito che indirizza il suo futuro. Il titolo della lettera (Humana communitas) indica esattamente il punto focale di questo impegno.
Mentre siamo nel mezzo delle questioni relative alla custodia del creato, si affaccia all’umanità una nuova e ben più profonda problematica relativa alla famiglia umana. Insomma, l’attenzione sul creato come “casa comune” è entrata tra le frontiere che decidono il futuro del pianeta. Oggi, si fa sempre più urgente, anche per gli straordinari progressi della tecnica, una rinnovata attenzione a chi abita quella casa, ossia alla famiglia umana nella sua interezza. Ed è qui che il Papa vuole richiamare l’attenzione anche dell’Accademia per la Vita, sino a invitare ad un allargamento semantico. La “vita” non è un concetto universale astratto: è l’uomo nella sua storia, è l’intera famiglia umana nella trama dei suoi legami.
Il Papa rileva l’indebolimento dei legami che costituiscono la fraternità: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”. È una sfida che riguarda l’intero pianeta. L’indebolimento della fraternità – lo si voglia o no – contamina tutte le scienze dell’uomo e della vita.
Nella Lettera appare chiaramente l’attenzione del papa al grido che si leva dalla sofferenza dei popoli, perché tutti ce ne accorgiamo. Non si attarda però solo sul momento della diagnosi. Egli si interroga anche sulla missione della Chiesa. E si chiede se come credenti abbiamo dato un contributo adeguato alla costruzione di un umanesimo che non sia solo confinato nel contesto ecclesiale, ma capace di ispirare, motivare e attuare nel mondo una convivenza civile più fraterna. Cosa ci dice il paradosso clamoroso di una tecnoscienza che con i suoi strumenti potrebbe consentire che l’intera umanità viva in condizioni molto migliori, mentre invece alimenta disuguaglianze e, più profondamente, “la malinconia di una vita che non trova destinazione all’altezza della sua qualità spirituale” (n. 3)?
La Lettera non si limita a riflessioni solo sul piano generale. Entra anche nel vivo degli argomenti. Ne accenno solo a qualcuno. C’è il tema della bioetica globale. I processi della globalizzazione collegano sempre più strettamente le questioni che riguardano la vita e la salute alle condizioni sociali e ambientali. Quindi mettono in gioco la pratica della giustizia. Data la pluralità di culture e di saperi scientifici che interagiscono sempre più strettamente nel nostro mondo, occorre elaborare criteri operativi universalmente condivisibili che siano incisivi sulla determinazione delle politiche nazionali e internazionali. I diritti umani sono per molti aspetti il terreno su cui avviene questo confronto e occorre quindi favorire una loro corretta interpretazione, che, come ci diceva papa Benedetto XVI trovi un giusto equilibrio con i doveri.
Ci sono poi da aggiungere le cosiddette Tecnologie emergenti e convergenti, ossia le nanotecnologie, le biotecnologie, le tecnologie dell’informazione e le scienze cognitive. Esse dilatano in modo straordinario la nostra capacità di intervento sulla materia vivente, aprendo nuovi spazi alla nostra responsabilità. Questo vale per le terapie, ma anche per le ipotesi di potenziamento degli organismi viventi. Quello di cui è importante rendersi conto è che non si tratta solo di rendere più efficienti singole funzioni dell’organismo o di trasferirle su supporti artificiali; più profondamente è in gioco un nuovo rapporto con il mondo. Nuovi dispositivi informatici si annidano con crescente pervasività in vari ambiti di realtà, incluso il nostro corpo, che si trova sempre più esposto alle dinamiche della amministrazione secondo criteri della tecnoscienza (tecnocrazia). È una delle forme di quella che si suole chiamare biopolitica. Occorre quindi partecipare alla discussione e favorire una più ampia partecipazione possibile di tutti i soggetti coinvolti, in modo che lo sviluppo e l’impiego di queste straordinarie risorse sia orientato alla promozione della dignità della persona e al bene più universale. Insomma dobbiamo essere avvertiti nell’evitare sia il rischio del riduzionismo dell’umano, sia l’altro ancor più pericoloso di sostituzione dell’umano.
L’utopia tecnocratica, per questa via, prepara la strada ad un potenziamento funzionale del quale ci immaginiamo padroni, mentre ne diventiamo schiavi. Il Papa esorta, quindi, l’Accademia ad entrare nei territori della tecnica e a percorrerli con audacia e creatività e con attento discernimento. Il che significa non avere risposte prefabbricate perché dedotte da una teoria astratta precostituita, ma mettersi anzitutto in attento ascolto dei fenomeni nella loro complessità e impegnarsi in un serio lavoro di interpretazione per comprendere in che modo i nuovi ritrovati della scienza e della tecnica incidono sulla nostra umanità. Ed elaborare quindi criteri di valutazione che ci consentano di promuovere la dignità di ogni persona e di tutte le popolazioni che abitano il pianeta. È un lavoro che mette in gioco la coscienza morale, intesa non tanto come una funzione applicativa delle norme, ma come cuore della persona globalmente intesa, in cui non va separata la dimensione etica da quella spirituale.
La fede nella risurrezione incoraggia tutti, anche i non credenti, a non cedere sulla profondità dei nostri affetti e dei nostri legami, respingendo soluzioni di compromesso. La nostra vita comune – incantata e vulnerabile com’è – deve essere tema di alleanza per il riscatto per l’umano, non merce di scambio per il post-umano. La data in cui la lettera del Papa è stata siglata è la festa dell’Epifania. Essa porta in sé un simbolo che ci può ispirare. Il vangelo cerca l’alleanza dei popoli, non la chiusura della comunità. I Magi sono il simbolo della condivisione dell’umano e della convergenza della sua sapienza intorno al Figlio eternamente generato di Dio, che si fa uomo e destinazione dell’uomo, per sempre. Essi sono in qualche modo accademici e ambasciatori dell’umano: scrutano i segni del cielo e della vita, si sottraggono alla complicità di Erode e sono lieti di donare le loro ricchezze al Bambino di Betlemme, Signore del cielo e della vita.
Intervento di Mons. Renzo Pegoraro
La Pontificia Accademia per la Vita è stata istituita da S. Giovanni Paolo II in data 11 febbraio 1994, con il Motu proprio “Vitae Mysterium”, dietro suggerimento del grande genetista Jérôme Lejeune. Di fronte al progresso della scienza della tecnologia in ambito bio-medico, con straordinarie possibilità di intervento sulla vita umana in ogni fase del suo sviluppo, è emersa la necessità di studiare, informare, e formare per approfondire i valori e i principi etici che garantiscano il bene integrale della persona umana e la tutela della vita.
Alla luce della Rivelazione cristiana e dell’esperienza umana, della ragione e della tradizione morale, l’Accademia ha studiato ed offerto le sue riflessioni su temi come: le nuove frontiere della genetica, l’embrione umano, e le tecnologie riproduttive, la qualità della vita, ed etica della salute, l’invecchiamento e la disabilità, accompagnamento del morente e cure palliative, biotecnologie animali e vegetali. Ma sempre nuove prospettive si aprono e stimolano la ricerca e le varie attività dell’Accademia. Questo ha portato anche ad un aggiornamento dello Statuto (18 ottobre 2016), che ha impresso ulteriore impulso all’Accademia, con un approccio sempre più interdisciplinare, e con dialogo e collaborazione con diverse tradizioni religiose, ampliando gli orizzonti geografici e culturali per affrontare le questioni etiche che interpellano la vita umana. Riprendendo le indicazioni di papa Francesco, l’attuale Statuto (Art. 1, § 3) ricorda che: «L’Accademia ha un compito di natura prevalentemente scientifica, per la promozione e difesa della vita umana. In particolare studia i vari aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo». E da qui i recenti studi: il ruolo e l’impatto della tecnologia sulla vita umana e la salute, la bioetica globale, in particolare nell’area materno-infantile; le questioni legate alla robotica e all’intelligenza artificiale; le neuroscienze; l’ingegneria genetica. Sono attivi dei gruppi di lavoro operanti su questi temi, per offrire dei reports di valore scientifico ed etico, importanti per la Chiesa e l’intera società civile, giuridica, politica.
Attualmente l’Accademia è costituita da 151 membri: 45 ordinari, 88 corrispondenti, 14 della categoria Giovani Accademici e 4 onorari. Tra tutti loro vi sono medici, scienziati (un premio Nobel per la medicina), teologi, docenti e ricercatori nelle scienze fisiche, biologiche, naturali e scienze umane. Sono rappresentati tutti i cinque Continenti. Infine la Pontificia Accademia ha un sito internet (www.academyforlife.va), ed è attiva sui social con un profilo Twitter, un canale YouTube, e Instagram.
Intervento del Prof. Padre Paolo Benanti, T.O.R.
Intelligenze artificiali, robot e sfide etiche
L’avvento della ricerca digitale, dove tutto viene trasformato in dati numerici porta alla capacità di studiare il mondo secondo nuovi paradigmi gnoseologici. Quello che appare come esito di questa nuova rivoluzione è il dominio dell’informazione, un labirinto concettuale la cui definizione più diffusa è basata sull’altrettanto problematica categoria di dati. L’evoluzione tecnologica dell’informazione e del mondo compreso come una serie di dati si concretizza nelle intelligenze artificiali (AI) e nei robot: siamo in grado di costruire macchine che possono prendere decisioni autonome e coesistere con l’uomo. Si pensi alle macchine a guida autonoma che Uber, il noto servizio di trasporto automobilistico privato, già utilizza in alcune città come Pittsburgh, o a sistemi di radio chirurgia come il Cyberknife o i robot destinati al lavoro affianco all’uomo nei processi produttivi in fabbrica.
Le AI, queste nuove tecnologie, sono pervasive. Stanno insinuandosi in ogni ambito della nostra esistenza. Tanto nei sistemi di produzione, incarnandosi in robot, quanto nei sistemi di gestione sostituendo i server egli analisti. Ma anche nella vita quotidiana i sistemi di Ai sono sempre più pervasivi. Nello sviluppo delle intelligenze artificiali (AI) la divulgazione dei successi ottenuti da queste macchine è sempre stata presentata secondo un modello competitivo rispetto all’uomo. Queste comparse mediatiche delle AI potrebbero farci pensare che questi sono sistemi che competono con l’uomo e che tra Homo sapiens e questa nuova machina sapiens/macchina autonoma si sia instaurata una rivalità di natura evolutiva che vedrà un solo vincitore e condannerà lo sconfitto a una inesorabile estinzione. In realtà queste macchine non sono mai state costruite per competere con l’uomo ma per realizzare una nuova simbiosi tra l’uomo e i suoi artefatti: (homo+machina) sapiens.
Esistono sfide estremamente delicate nella società contemporanea in cui la variabile più importante non è l’intelligenza ma il poco tempo a disposizione per decidere e le macchine cognitive trovano qui grande interesse applicativo. Si aprono a questo livello tutta una serie di problematiche etiche su come validare la cognizione della macchina alla luce proprio della velocità della risposta che si cerca di implementare e ottenere. Tuttavia il pericolo maggiore non viene dalle AI in se stesse ma dal non conoscere queste tecnologie e dal lasciare decidere sul loro impiego a una classe dirigente assolutamente non preparata a gestire il tema. Se l’orizzonte di esistenza delle persone nel prossimo futuro – in realtà già del nostro presente – è quello di una cooperazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale e tra agenti umani e agenti robotici autonomi diviene urgente cercare di capire in che maniera questa realtà mista, composta da agenti autonomi umani e agenti autonomi robotici, possa coesistere. Il cuore della questione sulla gestione e lo sviluppo delle intelligenze artificiali è un ampio spazio di discernimento etico che deve tener conto dell’effetto potenzialmente dirompente di queste tecnologie legato al loro potenziale di innovazione tecnologica.
Intervento della Prof.ssa Laura Palazzani
La robotica ha fatto straordinari progressi: i robots da oggetti meccanici e statici, passivi, ripetitivi ed esecutivi, stanno oggi divenendo enti ‘autonomi’, in grado di muoversi ed interagire con l’ambiente, con capacità di apprendimento e adeguazione all’ambiente, di percezione, analisi, ragionamento, decisione, espressione. Molteplici gli ambiti di applicazione sociale: civile (uso domestico, ludico, medico-sanitario, educativo, ambientale) e militare. L’accelerazione degli sviluppi recenti della robotica e dell’intelligenza artificiale, nel contesto delle c.d. tecnologie emergenti e convergenti, solleva complessi quesiti etici che esigono una riflessione interdisciplinare auspicabilmente, almeno su alcuni punti fondamentali, condivisa a livello internazionale in vista di una regolamentazione e una ‘governance’ delle nuove tecnologie.
Molti gli organismi internazionali (generalmente consultivi in vista di una regolazione) che hanno approvato pareri e documenti sull’argomento. In particolare la World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology (COMEST) dell’Unesco ha emanato un parere su Robotics ethics nel 2017 (https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000253952); l’European Group on Ethics in Science and New Technologies (EGE) presso la Commissione europea ha pubblicato uno Statement on artificial intelligence, robotics and ‘autonomous systems’ (https://ec.europa.eu/research/ege/pdf/ege_ai_statement_2018.pdf) e un parere su Future of work, future of society nel 2018; il Comitato Nazionale per la Bioetica e Comitato per la Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della vita, ha approvato un documento su Roboetica nel 2017.
I temi centrali oggetto di discussione nel contesto internazionale con riferimento a robotica e intelligenza artificiale sono: la tutela della integrità fisica e della dignità dell’uomo con l’applicazione del principio di beneficenza, non maleficenza, proporzionalità (con il bilanciamento rischi/benefici, minimizzazione dei danni per l’uomo nella progettazione, sperimentazione e uso dei robots); i limiti della c.d. “autonomia” dei robots e IA (robots come agenti morali e statuto morale dei robots); il problema della interazione uomo/macchina (per evitare la sostituzione e valorizzare la capacità umane insostituibili; evitare la dipendenza tecnologica e psicologica dalle machine); il ripensamento della responsabilità (introduzione della nozione di responsabilità ‘condivisa’ tra costruttore, progettista, disegnatore, venditore, utente); la giustizia (evitare il ‘robotic devide’, garantendo equo accesso alle opportunità aperte dalla tecnologia); informazione e formazione dei cittadini, con la promozione democratica di un dibattito pubblico; governance condivisa e trasparente delle nuove tecnologie.
Il convegno intende, nel contesto della discussione internazionale, identificare la specificità del pensiero cattolico sull’argomento con particolare attenzione al concetto di persona ‘elettronica’ e al valore e ai limiti della autonomia e della responsabilità dell’uomo nell’era della artificializzazione del corpo e della intelligenza.

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ZENIT Staff

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