Aborto in Europa: magnitudo 1000 ogni 11 secondi

III Domenica di Quaresima, 7 marzo 2010

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Diceva anche questa parabola: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo: Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?’ Ma quello rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finchè gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no lo taglierai’” (Lc 13,1-9).

Il modo del perire di cui parla Gesù (“Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo”), non deve far pensare ai terremoti (perire sotto le macerie), o alla violenza omicida degli attentati (la strage ordinata da Pilato), ma alla sorte che ci aspetta nell’altra vita se non ci convertiamo prima che la morte ci colga all’improvviso. Ma qualunque sarà il modo della nostra morte, essa non ci coglierà impreparati davanti a Dio se il modo della vita sarà stato l’ascolto della sua Parola. Al contrario: chi sceglie di vivere come se Dio non ci fosse, corre il pericolo reale e sempre attuale di vivere eternamente nel tormento infernale della separazione da Dio.

Anni fa fui invitato ad un matrimonio di amici. Il padre della sposa, un cardiopatico grave, mi raccontò a tavola che la sera prima, dopo molti anni di lontananza dalla Chiesa, aveva sentito il bisogno di confessarsi, ma…era sabato sera. Suonò al campanello della sua canonica, ma si sentì rimandare al giorno dopo, data l’ora tarda. La stessa risposta ebbe al campanello successivo, in un’altra parrocchia. Al terzo tentativo, finalmente, con gran sollievo gli fu dato di riconciliarsi con Dio. Quest’uomo morì improvvisamente poche ore dopo.

Confrontando le vittime di Pilato e della torre crollata con “tutti i Galilei” e “tutti gli abitanti di Gerusalemme”, Gesù sottrae gli uni e gli altri al meccanismo della cosidetta “retribuzione”, per il quale, secondo la tradizione di allora, alla colpa seguiva, inesorabilmente, la giusta punizione divina. Perciò il fatto di essere stati risparmiati da repressioni cruente e disgrazie, era ritenuto una conferma della propria “giustizia” davanti a Dio.

In tal modo veniva anestetizzata, negli incolumi, la coscienza di essere anch’essi peccatori e bisognosi di quella divina Misericordia che dona a tutti il tempo e il modo di pentirsi e convertirsi. In questo senso è da intendere anche la parabola del fico sterile.

Gesù non interpreta le tragedie e i cataclismi naturali come castighi del Padre suo, (che fa piovere indifferentemente sui giusti e sugli ingiusti), ma ciò non significa che il Vangelo svuoti di significato spirituale gli eventi tragici della cronaca quotidiana. In realtà essi recano un messaggio vitale. Dio non vuole la morte del peccatore, ma che “si converta e viva”; perciò questi gemiti terribili della creazione, nel disegno misterioso e sapiente della sua volontà, sono scosse di morte al servizio della vera vita, la vita eterna dell’anima. Per chi non rifiuta di ascoltare il sismografo interiore il messaggio è questo: “l’uomo, nella prosperità non comprende, è simile alle bestie che muoiono” (Salmo 49,21).

A differenza delle bestie all’uomo è dato dal Creatore il dono della libertà, l’intelligenza per conoscere la verità, la coscienza per scegliere nel suo cuore il bene e rigettare il male, la volontà per agire di conseguenza. Anestetizzare la coscienza morale vuol dire perciò distruggere la dignità dell’uomo, abbassandolo al rango animale degli istinti e del piacere. Questa è l’opera della cultura della morte, radicata in quelle leggi che autorizzano la soppressione volontaria della vita umana, dal suo primo inizio al suo ultimo istante naturale. Il terremoto e il maremoto sono evento tragici che mietono centinaia e migliaia di vite umane, separando i sopravvissuti dai loro cari, dalle loro case, dalla loro terra. Conseguenza positiva è però quella solidarietà umana che è sempre pronta a scattare in tutto il mondo verso i luoghi del disastro.

Un singolo aborto volontario è un evento che causa una separazione ben più grave ed estesa: la separazione da Dio. L’energia maligna che si sprigiona in Europa ogni 11 secondi (tale è il ritmo mortale degli aborti), non si misura sulla scala dei sismografi fisici, ma su quella dei sismografi dello spirito. Magnitudo infinita che separa dal Dio della vita e fa crollare la società nel baratro dell’autodistruzione.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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