Questa mattina, alle ore 10.00, presso l’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, ha avuto luogo una Conferenza sulla Lettera Enciclica “Fratelli tutti” del Santo Padre Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale. Sono intervenuti l’Em.mo Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato; l’Em.mo Card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, M.C.C.J., Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso; il Giudice Mohamed Mahmoud Abdel Salam, Segretario Generale dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana; la Prof.ssa Anna Rowlands, Docente di Catholic Social Thought & Practice all’Università di Durham, nel Regno Unito; e il Prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Docente di Storia Contemporanea. Ne riportiamo di seguito gli interventi:
Intervento dell’Em.mo Card. Pietro Parolin
1. Anche per l’osservatore meno attento, di fronte a questa Enciclica, una domanda è d’obbligo: quale spazio e considerazione trova la fraternità nelle relazioni internazionali? Chi è attento allo svolgersi dei rapporti a livello mondiale si aspetterebbe una risposta in termini di proclami, normative, statistiche e forse anche di azioni. Se invece ci lasciamo guidare da Papa Francesco nella costatazione di fatti e situazioni, la risposta è un’altra: «La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali» (FT, 179). L’Enciclica non si limita a considerare la fraternità uno strumento o un auspicio, ma delinea una cultura della fraternità da applicare ai rapporti internazionali. Una cultura, certo: l’immagine è quella di un sapere del quale viene sviluppato il metodo e l’obiettivo. Quanto al metodo. La fraternità non è una tendenza o una moda che si sviluppa nel tempo o in un tempo, ma è piuttosto la manifestazione di atti concreti. L’Enciclica ci ricorda l’integrazione tra Paesi, il primato delle regole sulla forza, lo sviluppo e la cooperazione economica e, soprattutto, lo strumento del dialogo visto non come anestetico o per “rattoppi” occasionali, bensì come un’arma che ha un potenziale distruttivo molto superiore a qualsiasi armamento. Infatti, se le armi e con esse la guerra distruggono vite umane, ambiente, speranza, fino a spegnere il futuro di persone e comunità, il dialogo distrugge le barriere del cuore e della mente, apre gli spazi per il perdono, favorisce la riconciliazione. Anzi, è lo strumento di cui necessita la giustizia per potersi affermare e nel suo significato ed effetto più autentico. Quanto l’assenza di dialogo permette ai rapporti internazionali di degenerare o di affidarsi al peso della potenza, ai risultati della contrapposizione e della forza! Il dialogo, invece, soprattutto quando è «perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (FT, 198). Certo, guardando ai fatti internazionali, anche il dialogo fa le sue vittime. Sono coloro che non rispondono alla logica del conflitto a tutti i costi o sono visti come ingenui ed inesperti solo perché hanno il coraggio di superare interessi immediati e parziali delle singole realtà che rischiano di dimenticare la visione d’insieme. Quella visione che avanza e si protrae nel tempo. Il dialogo domanda pazienza e avvicina al martirio, per questo l’Enciclica lo evoca come strumento della fraternità, un mezzo che rende chi dialoga diverso da quelle «persone con funzioni importanti nella società, che non avevano nel cuore l’amore per il bene comune» (FT, 63).
Veniamo adesso all’obiettivo. La storia, ma anche le visioni religiose e diversi percorsi di spiritualità parlano di fraternità e ne delineano la bellezza e gli effetti, ma spesso legandoli ad un cammino lento e difficile, quasi una dimensione ideale dietro cui si veicolano spinte di riforma o processi rivoluzionari. Come pure è una tentazione costante limitare la fraternità ad un livello di maturazione individuale, capace di coinvolgere solo chi condivide il medesimo cammino. L’obiettivo, secondo l’Enciclica, è invece un percorso ascendente determinato da quella sana sussidiarietà che, partendo dalla persona, si allarga ad abbracciare la dimensione familiare, sociale, statale fino alla Comunità internazionale. Ecco perché, ci ricorda Francesco, per fare della fraternità uno strumento per agire nei rapporti internazionali: «è necessario far crescere non solo una spiritualità della fraternità ma nello stesso tempo un’organizzazione mondiale più efficiente, per aiutare a risolvere i problemi impellenti» (FT, 165).
2. Delineata in questo modo, la fraternità con il suo metodo e il suo obiettivo, può concorrere al rinnovamento di principi che presiedono la vita internazionale o essere in grado di fare emergere le necessarie linee per affrontare le nuove sfide e condurre la pluralità di attori che opera a livello mondiale a dare risposte alle esigenze della famiglia umana. Si tratta di attori la cui responsabilità in termini politici e di soluzioni condivise risulta determinante specialmente quando si è di fronte alla realtà della guerra, della fame, del sottosviluppo, della distruzione della casa comune e delle sue conseguenze. Attori consapevoli di come la globalizzazione di fronte ai problemi effettivi e alle soluzioni necessarie, abbia espresso, anche di recente, solo aspetti negativi. Per esprimere questa verità, il Papa utilizza l’esperienza della pandemia «che ha messo in luce le nostre false sicurezze» (FT, 7), richiamando la necessità di un’azione in grado di dare risposte e non solo di analizzare i fatti. Quest’azione è ancora carente e forse rimarrà tale anche di fronte ai traguardi che la ricerca e la scienza raggiungono ogni giorno. È carente perché «è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti» (Ibid.). Quello che si riscontra nel contemporaneo scenario internazionale è l’aperta contraddizione tra il bene comune e l’attitudine a dare priorità all’interesse degli Stati, e addirittura di singoli Stati, nella convinzione che possano esistere “zone senza controllo” o sia valida la logica che quanto non proibito è permesso. Il risultato è che «la moltitudine degli abbandonati resta in balia dell’eventuale buona volontà di alcuni» (FT, 165). L’esatto contrario della fraternità che, invece, introduce all’idea degli interessi generali, quelli capaci di costituire una vera solidarietà e modificare non solo la struttura della Comunità internazionale, ma anche la dinamica della relazione al suo interno. Infatti, accolta la supremazia di tali interessi generali, la sovranità e l’indipendenza di ogni Stato finiscono di essere un assoluto e vanno sottoposte alla «sovranità del diritto sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale» (FT, 173). Questo processo non è automatico ma domanda «coraggio e generosità per stabilire liberamente determinati obiettivi comuni e assicurare l’adempimento in tutto il mondo di alcune norme essenziali» (FT, 174). Nella prospettiva di Francesco la fraternità diventa pertanto il modo per far prevalere gli impegni sottoscritti secondo l’antico adagio pacta sunt servanda, per rispettare effettivamente la volontà legittimamente manifestata, per risolvere le controversie mediante i mezzi offerti dalla diplomazia, dal negoziato, dalle Istituzioni multilaterali e dal più ampio desiderio di realizzare «un bene comune realmente universale e la tutela degli Stati più deboli» (Ibid.).
Non manca, in proposito, il riferimento ad un tema costante dell’insegnamento sociale della Chiesa, quello del “governo” – la governance, come oggi è d’uso dire – della Comunità internazionale, dei suoi membri e delle sue Istituzioni. Papa Francesco, in coerenza con tutti i Suoi Predecessori, sostiene la necessità di una «forma di autorità mondiale regolata dal diritto», ma questo non significa «pensare a un’autorità personale» (FT, 172). All’accentramento di poteri, la fraternità sostituisce una funzionalità collegiale – qui non è estranea la visione “sinodale” applicata al governo della Chiesa, che è propria di Francesco – determinata da «organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale, lo sradicamento della fame e della miseria e la difesa certa dei diritti umani fondamentali» (Ibid.).
3. Operare nella realtà internazionale mediante la cultura della fraternità, domanda di acquisire un metodo e un obiettivo capaci di sostituire quei paradigmi non più in grado di cogliere le sfide e i bisogni che si presentano nel cammino che la Comunità internazionale percorre, certo con fatica e contraddizioni. Non mancano, infatti, marcate preoccupazioni per la volontà di svuotare la ragione e il contenuto del multilateralismo, quanto mai necessario in una società mondiale che vive la frammentazione delle idee e delle decisioni, quale espressione di un post-globale che avanza. Una volontà frutto di un approccio esclusivamente pragmatico, che dimentica non solo principi e regole, ma le molteplici grida di aiuto che ormai appaiono sempre più costanti e complesse e perciò capaci anche di compromettere la stabilità internazionale. Ed ecco le contrapposizioni e gli scontri degenerare in guerre che, per la complessità delle cause che le determinano, sono destinate a protrarsi nel tempo senza immediate e praticabili soluzioni. Invocare la pace serve a poco. Papa Francesco ci dice che «c’è un grande bisogno di negoziare e così sviluppare percorsi concreti per la pace. Tuttavia, i processi effettivi di una pace duratura sono anzitutto trasformazioni artigianali operate dai popoli, in cui ogni persona può essere un fermento efficace con il suo stile di vita quotidiana. Le grandi trasformazioni non si costruiscono alla scrivania o nello studio» (FT, 231) Percorrendo l’Enciclica, ci si sente chiamati alle nostre responsabilità, individuali e collettive, di fronte a nuove tendenze ed esigenze che si affacciano sulla scena internazionale. Proclamarci fratelli e fare dell’amicizia sociale il nostro abito, probabilmente non basta. Come pure definire le relazioni internazionali in termini di pace o sicurezza, di sviluppo o di generico richiamo al rispetto dei diritti fondamentali non è più sufficiente, pur avendo rappresentato negli ultimi decenni la ragion d’essere dell’azione diplomatica, del ruolo degli organismi multilaterali, dell’azione profetica di tante figure, dell’insegnamento di filosofie, e caratterizzato anche la dimensione religiosa.
Il ruolo effettivo della fraternità, permettetemi, è dirompente poiché si lega a concetti nuovi che sostituiscono la pace con gli operatori di pace, lo sviluppo con i cooperanti, il rispetto dei diritti con l’attenzione alle esigenze di ogni prossimo, sia esso persona, popolo o comunità. Ce lo dice molto chiaramente la radice teologica dell’Enciclica che ruota intorno alla categoria dell’amore fraterno che, al di là di ogni appartenenza, anche identitaria, è capace di realizzarsi in concreto in «colui che si è fatto prossimo» (FT, 81). L’immagine del Buon Samaritano è lì come monito e modello. Ai responsabili delle Nazioni, ai diplomatici, a quanti operano per la pace e lo sviluppo la fraternità propone di trasformare la vita internazionale da semplice co-esistenza, quasi necessaria, a dimensione basata su quel comune senso di “umanità” che già oggi ispira e sorregge tante regole e strutture internazionali, favorendo così un’effettiva convivenza. È l’immagine di una realtà in cui le istanze di popoli e persone diventano prevalenti, con un apparato istituzionale capace di garantire non interessi particolari, ma quell’auspicato bene comune mondiale (cf. FT, 257). La fraternità ha, dunque come protagonista la famiglia umana che nelle sue relazioni e nelle sue differenze viaggia verso la piena unità, ma con una visione lontana dall’universalismo o da un’astratta condivisione, come da certe degenerazioni della globalizzazione (cf. FT, 100). Attraverso la cultura della fraternità Papa Francesco chiama ognuno ad amare l’altro popolo, l’altra nazione come la propria. E così a costruire rapporti, regole e istituzioni, abbandonando il miraggio della forza, degli isolamenti, delle visioni chiuse, delle azioni egoistiche e di parte poiché «la mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità» (FT, 105)
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Intervento dell’Em.mo Card. Miguel Ángel Ayuso Guixot, M.C.C.J.
Sono grato per l’opportunità di presentare l’Enciclica Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale, un dono prezioso che il Santo Padre ha voluto fare non soltanto a noi cattolici, ma a tutta l’umanità. Saluto gli illustri oratori che hanno presentato con me questa Enciclica. In special modo il Dottor Mohamed Mahmoud Abdel Salam, Consigliere del Grande Imam di Al-Azhar, amico fraterno con cui condivido il lavoro dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, nato nell’agosto 2019 per dare continuità ed efficacia agli obiettivi contenuti nel Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune. La sua presenza qui è davvero un buon esempio di fratellanza! Desidero ringraziare pubblicamente Papa Francesco, anche a nome del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso che presiedo, per aver dato impulso, sin dagli esordi del suo pontificato, al dialogo interreligioso.
Non nascondo l’emozione che ho avvertito nel leggere le pagine dell’Enciclica, in particolare il capitolo 8: “Le religioni al servizio della fraternità nel mondo”. Collaboro con Papa Francesco fin da quando è stato eletto, cioè da quasi otto anni. Posso attestare quanto lavoro sia stato fatto, anche tra innegabili difficoltà, come nel caso dell’ultima emergenza – solo in ordine di tempo – causata dalla pandemia da COVID-19. Il dialogo interreligioso si colloca veramente al cuore delle riflessioni e delle azioni di Papa Francesco. Si afferma, infatti, nella Fratelli tutti: “Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli” (Ft 274). Il titolo stesso dell’Enciclica esprime un chiaro desiderio di rivolgersi a tutti come fratelli e sorelle. Si tratta di una realtà esistenziale che Papa Francesco, in modo del tutto pacifico, dà per scontato: siamo tutti fratelli, nessuno è escluso! La via del dialogo tra persone di diverse tradizioni religiose non inizia certo oggi, ma fa parte della missione originaria della Chiesa e affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II. Papa Francesco, ravvisando nel rispetto e nell’amicizia due atteggiamenti fondamentali, ha aperto un’ulteriore porta affinché l’ossigeno della fraternità possa entrare in circolo nel dialogo tra persone di diversa tradizione religiosa, tra credenti e non credenti, e con tutte le persone di buona volontà.
Il Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace nel Mondo e la Convivenza Comune, firmato dal Santo Padre e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019, costituisce nel cammino del dialogo interreligioso una pietra miliare che non rappresenta né un punto di partenza né tantomeno un termine di arrivo. Siamo in cammino! Fratelli tutti, con sguardo lungimirante e misericordioso, ci esorta a percorrere un terreno comune, legato ad un’antica verità che può suonare nuova nel mondo che ci circonda, spesso atrofizzato dall’egoismo: la fraternità umana. I credenti di diverse tradizioni religiose possono veramente offrire il proprio contributo alla fraternità universale nelle società in cui vivono. Leggiamo nella Fratelli tutti: “Non è accettabile che nel dibattito pubblico abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati. Dev’esserci uno spazio per la riflessione che procede da uno sfondo religioso che raccoglie secoli di esperienza e di sapienza” (Ft 275). Il credente, infatti, è testimone e portatore di valori che possono contribuire notevolmente alla costruzione di società più sane e giuste.
La rettitudine, la fedeltà, l’amore per il bene comune, la preoccupazione per gli altri, soprattutto per i bisognosi, la benevolenza e la misericordia sono strumenti preziosi che fanno parte del tesoro spirituale delle varie religioni. Vivere la propria identità nel “coraggio dell’alterità” è la soglia che oggi la Chiesa di Papa Francesco ci chiede di varcare. Si tratta di compiere passi concreti insieme ai credenti di altre religioni e alle persone di buona volontà, con la speranza che tutti noi ci sentiamo chiamati ad essere, soprattutto nel nostro tempo, messaggeri di pace e costruttori di comunione. Dio è il Creatore di tutto e di tutti, per cui siamo membri di un’unica famiglia e, come tali, dobbiamo riconoscerci. È questo il criterio fondamentale che la fede ci offre per passare dalla mera tolleranza alla convivenza fraterna. L’invito di mettersi al servizio della fratellanza per il bene di tutta l’umanità, rivolto da Papa Francesco alle diverse religioni, annuncia una nuova era. Il nostro cammino comune si apre ad una nuova luce e ad una nuova creatività che sfidano il cuore stesso di ogni religione, e non soltanto: la fraternità può diventare anche la via di ogni credo religioso. In un mondo disumanizzato, in cui l’indifferenza e l’avidità caratterizzano i rapporti tra le persone, sono necessari una nuova e universale solidarietà ed un nuovo dialogo basato sulla fraternità.
Il dialogo interreligioso svolge una funzione essenziale nella costruzione di una convivenza civile, di una società che includa e non si edifichi sulla cultura dello spreco. La prospettiva e l’obiettivo del dialogo è lavorare, attraverso un’autentica collaborazione tra credenti, per ottenere il bene di tutti, lottando contro le tante ingiustizie che affliggono ancora questo mondo e condannando ogni forma di violenza. Per questo, guardando al futuro, dobbiamo prendere coscienza del fatto che le religioni non si debbono chiudere in sé stesse, ma che come credenti, e rimanendo ben radicati ciascuno nella propria identità, dobbiamo disporci a percorrere la via della fraternità umana, nonostante le nostre differenze, insieme a tutte le persone di buona volontà. Nel mondo ci sono tante religioni e noi, nella prospettiva del dialogo interreligioso, dobbiamo mostrarci in grado di avviare verso tutti – come desidera il Papa – una relazione di rispetto e amicizia mediante cui difendere l’uguaglianza tra esseri umani, inclusi noi credenti, sebbene con visioni differenti, senza rinunciare alla nostra identità, bensì rivendicando una certa sincerità delle intenzioni. Ringrazio ancora Papa Francesco, perché Fratelli tutti ci fa sentire più vicini all’amore di Cristo e della Chiesa, e ci incoraggia a metterci, tutti insieme, al servizio della fraternità in questo mondo. Grazie per la vostra attenzione.
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Intervento del Giudice Mohamed Mahmoud Abdel Salam
Nel nome di Dio, Il Clemente, Il Misericordioso Egregio pubblico, Che la pace di Dio, la Sua misericordia e le Sue benedizioni siano con voi!
Alcune città e alcuni popoli sono riconoscibili grazie a monumenti importanti diventati un emblema. La città di Roma è conosciuta per la cupola di S. Pietro, qui in Vaticano. Londra ha il suo famoso orologio Big Ben, e Parigi la Torre Eiffel che si innalza in cielo. New York è conosciuta per la Statua della Libertà, Il Cairo è nota per le Piramidi e per i minareti dell’Azhar e i campanili delle sue chiese. Poi sono sorti recentemente due “monumenti” del Cristianesimo e dell’Islam, arricchendo questi simboli con un nuovo pilastro di verità, bene, libertà e fratellanza.
Quando viene citata “La Fratellanza Umana”, le menti libere e i cuori consapevoli si rivolgono verso Papa Francesco e verso il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, lo Sceicco di Al-Azhar: questi due personaggi che sono diventati, insieme, un nuovo emblema e un nuovo monumento, non per un paese particolare, o per un determinato popolo. Sono diventati un forte simbolo di una nobile idea, cioè l’idea della “Fratellanza Umana”, e Dio, con la Sua misericordia verso la gente, ha messo questi due illustri simboli al servizio di questi concetti umani supremi.
Signore e signori,
Se la crescita e il rinnovamento sono dettati dalle norme della vita degli esseri esistenti, la vita non può procedere verso il proprio compimento senza il pensiero e senza la creatività. E quanto stiamo vedendo in Vaticano, a cominciare dalla più alta autorità, sta a dimostrare che, tutto sommato, stiamo procedendo nella giusta direzione e che il pensiero creativo e fondante di una visione nuova si sta proiettando verso orizzonti più alti nel tempo e nello spazio. Dopo la firma del “Documento sulla Fratellanza Umana”, Papa Francesco ha proseguito il cammino, e sono nate così le sue riflessioni sulla realtà delle nazioni, riflessioni pubbliche o meno. La richiesta di felicità delle nazioni richiede un impegno dai contorni difficili da delimitare a causa dei vari livelli coinvolti e in conseguenza degli interessi e delle politiche in gioco e dei contrasti tra stati e popoli, tutte problematiche che mettono a dura prova le coscienze e le volontà. Prendendo spunto da questo stato delle cose e grazie al suo intuito limpido, il Papa ha scritto parole chiare e coraggiose, che temono solamente Dio, parlando delle tragedie delle persone deboli, stanche e disperate, e prescrivendo la cura di questo male difficilmente guaribile, che ha colpito a morte la nostra civiltà moderna. Da qui è nata questa Enciclica che celebriamo oggi.
Nonostante avessi accompagnato le diverse tappe del percorso della Fratellanza Umana nell’ultimo decennio tra il Papa e l’Imam, quando ho letto questa Enciclica sulla Fratellanza e l’Amicizia Sociale, ho scorso, tra le sue righe, un gusto raffinato, una sensibilità incisiva ed una capacità di esprimere le tematiche della fratellanza umana in un modo che si rivolge al mondo intero; è un appello alla concordia rivolto ad un mondo in discordia, come pure un messaggio chiaro a favore di un’armonia, individuale e collettiva, con le leggi dell’universo, del mondo e della vita. Si tratta di un’argomentazione fondata su ragionamenti chiari basati sulle verità e attuabili nella vita reale e nel mondo concreto.
Egregio pubblico,
In quanto giovane musulmano studioso della Shari’a (legge) dell’Islam e delle sue scienze, mi trovo – con tanto amore ed entusiasmo – concorde con il Papa, e condivido ogni parola che ha scritto nell’Enciclica. Seguo, con soddisfazione e speranza, tutte le sue proposte avanzate in uno spirito premuroso per la rinascita della fratellanza umana. In questa Enciclica, il Papa mette in guardia, senza mezzi termini, contro le ideologie impregnate di egoismo e della perdita del senso sociale, che operano dietro la maschera di presunti interessi nazionali[1] , ed ammonisce contro i pericoli della globalizzazione e le sue conseguenze, che forse ci hanno reso più vicini, ma che certamente non ci faranno diventare fratelli[2] . Ero estremamente felice mentre leggevo la dura critica del Papa verso quello che possiamo chiamare “la fine della coscienza storica”, con la grave infiltrazione culturale di questa teoria, basata sulla disgregazione dell’eredità culturale, e con la creazione di generazioni che disprezzano il proprio patrimonio e la propria storia con tutta la sua ricchezza culturale[3] . Quanto è grande il Papa quando ammonisce i popoli di fronte a questa forma nuova di colonialismo esperto nel manipolare concetti estremamente importanti e sensibili, come la democrazia, la libertà, la giustizia, e l’unità utilizzandole come mezzo di controllo, dominio ed arroganza, svuotandole dal loro significato, talvolta addirittura per giustificare il loro operato[4] . Quanto è creativo sul versante dei diritti umani quando mette in risalto le nuove forme di ingiustizia e di sfruttamento dell’uomo e di negazione della sua dignità[5] , l’ingiustizia nei confronti della donna[6] , e le condizioni simili alla schiavitù, che tante persone patiscono oggi. Il Papa considera, giustamente, che la persecuzione per motivi religiosi o etnici, e altre violazioni della dignità umana, sono aspetti di una “terza guerra mondiale a pezzi”[7] . Quanto è grande il Papa, quando affronta alla radice la questione degli immigrati e rifugiati, ribadendo che la dignità umana è caduta al confine tra l’Europa e il terzo mondo[8] . Il Papa ha voluto anche sollevare la questione attuale, parlando quindi delle pandemie e altre tragedie della storia[9]chiedendo un ripensamento del nostro stile di vita e dell’organizzazione delle nostre società.
Diversamente dal solito quando preparo un mio intervento scritto, mi sono trovato in sintonia con le parole del Papa. Sono stato conquistato dalla sua franchezza e dalla sua chiarezza nei passaggi che ho citato. Ed è solo una parte esigua di questo pensiero libero, che fa proprie la causa dell’uomo e le sue problematiche, in Oriente come in Occidente. Sono convinto che questa Enciclica, insieme al “Documento sulla Fratellanza Umana”, faranno ripartire il treno della storia che si è fermato nella stazione di questo ordine mondiale, radicato nell’irragionevolezza, con la sua ingiustizia, superbia e violenza coloniale. Spero che questa Enciclica, insieme al “Documento sulla Fratellanza Umana”, possano essere un forte deterrente nei confronti della falsità, con tutte le sue forme ed espressioni, e che possano essere la base, o il fattore più importante, per la nascita di un nuovo ordine mondiale, basato sulla sacralità della dignità e dei diritti umani – come ha detto il Papa – non sul disprezzo, la schiavizzazione e lo sfruttamento dell’uomo.
Mi auguro anche che questa Enciclica possa raggiungere le mani dei politici e dei decisori, affinché si illuminino da essa per uscire da questo stato irragionevole che il mondo vive oggi. Ma possiamo calare queste belle idee e questi concetti nobili nel mondo reale di oggi? Penso che questo sia possibile. Le persone eque si aiutano per il bene e lo sostengono. Per offrire un modesto contributo in questo senso, ho pensato con i colleghi dell’Alto Comitato della Fratellanza Umana di convocare un Forum per 100 giovani da diverse parti del mondo, e organizzare giornate di studio dedicate a questa Enciclica, qui a Roma e ad Abu Dhabi, dove è stato annunciato il “Documento della Fratellanza Umana”, ma anche in Egitto, il Paese di Al-Azhar, dove i partecipanti si dedicheranno alla riflessione e allo studio e al dialogo libero ed approfondito. Così facendo, l’Enciclica giungerà ai giovani, appartenenti a religioni ed etnie diverse, con la speranza che possa costituire un passo nella direzione giusta, verso una fratellanza umana mondiale. Signore e signori! In questa fase decisiva della storia dell’umanità ci troviamo dinnanzi ad un bivio, tra una fratellanza universale nella quale gioisce l’umanità e una miseria acuta che aumenterà la sofferenza e la privazione della gente.
La strada della fratellanza è una strada vecchia e nuova, che si rinnova e si percorre all’ombra dei valori spirituali e morali, ed è governata dall’equilibrio e dall’armonia tra la scienza e la fede, tra questo mondo e la vita a venire. Sosteniamoci dunque a vicenda sulla strada della fratellanza, della conoscenza reciproca e della collaborazione per raggiungere la meta dove s’incontrano i nostri traguardi e i nostri obiettivi, il bene dell’umanità intera. Noi siamo a favore dell’unione delle energie religiose per affrontare la discriminazione, il razzismo, e l’odio. E nel contempo lavoriamo per il consolidamento della propria dottrina, per l’approfondimento dei propri aspetti specifici e per evitare la disunione o il disgregamento. Questo è l’obiettivo di ogni persona fedele alla propria religione.
La fratellanza universale rimane – ieri, oggi e domani – un’assoluta necessità per il mondo intero, ed è imprescindibile per la salvezza. Perché essa darà vita ad una civiltà equilibrata e felice, centrata sull’uomo a prescindere dal colore della pelle, dal sesso, dalla lingua e dalla religione. Infine, rivolgo queste parole a Sua Santità Papa Francesco e al Grande Imam di Al Azhar: I vostri sforzi e la vostra lotta a favore della convivenza umana e della fratellanza mondiale, culminati con il “Documento sulla Fratellanza Umana” che avete proclamato l’anno scorso ad Abu Dhabi – in un evento senza precedenti nella storia moderna – hanno rappresentato una svolta nel mondo arabo e musulmano, e un raggio di luce per il mondo intero. Vediamo ogni giorno giovani che s’incontrano intorno ai principi della fratellanza e della convivenza, e vediamo un’apertura, senza precedenti, nelle relazioni tra i seguaci delle religioni. Vediamo anche molte persone, chiuse mentalmente verso gli appartenenti ad un’altra religione, che cominciano a rivedere il proprio modo di pensare. Vi prometto, insieme ai colleghi dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, di continuare a lavorare con fedeltà per far sì che questo documento diventi una realtà vissuta da tutti, attraverso le iniziative concrete ed ambiziose del Comitato che ottengono sempre il sostegno leale e sincero da parte di sua Altezza Sheikh Mohammad Ben Zayed Al Nahyan, un autentico leader arabo che tiene fede al proprio impegno con Lei per l’attuazione dei principi del “Documento sulla Fratellanza Umana”, affinché possano portare i frutti auspicati a favore di ogni persona sulla faccia della terra qualunque sia la sua religione, il suo sesso, o la sua razza. Grazie Papa Francesco per questa Enciclica forte e coraggiosa.
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[1] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 11. [2] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 12. [3] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 13. [4] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 14. [5] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 22. [6] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 23. [7] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, numero 25. [8] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, dal numero 37 al numero 41. [9] Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, dal numero 32 al numero 36.
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Intervento della Prof.ssa Anna Rowlands
La Lettera enciclica Fratelli tutti parla di amore e di attenzione, quel tipo di attenzione in grado di risanare un mondo ferito e sanguinante. Si tratta di una riflessione sociale sul Buon Samaritano, che riconosce l’amore e l’attenzione come leggi fondamentali e configura per noi un’amicizia sociale creativa. Papa Francesco ci chiede di osservare il mondo al modo del Samaritano, in maniera tale da riuscire a scorgere l’originario ed indispensabile legame tra tutte le cose e le persone, vicine e lontane. Nella semplicità del suo appello, Fratelli tutti si pone come una sconvolgente sfida al nostro stile di vita ecologico, politico, economico e sociale. Ma è, innanzitutto, la proclamazione di una verità ineliminabile e gioiosa, presentata qui come sorgente benefica per un mondo affaticato. Questa lettera non rappresenta una critica fredda e distaccata. Piuttosto, la sua disciplina spirituale indica in modo chiaro un compito umanizzante: essere veramente uomini significa mostrarsi disposti a guardare il mondo nella sua bellezza e nel suo dolore, a prestare un profondo ascolto, attraverso l’incontro con l’altro, alle sofferenze e alle gioie della propria epoca e ad assumerle su di sé, facendosene carico come fossero proprie.
L’idea che ogni creatura abbia origine in Dio Padre e che in Cristo siamo divenuti fratelli e sorelle, legati nella dignità, nella cura e nell’amicizia, costituisce uno dei più antichi insegnamenti sociali della Cristianità. Infatti, gli appellativi che ricorrono in questa lettera e che sono a fondamento della riflessione stessa di Francesco, riecheggiano abbondantemente le Scritture: fratelli, sorelle, prossimi, amici. I primi Cristiani plasmarono la loro concezione del denaro, della comunità e della politica su questa visione. Che un tema così antico venga ora riproposto con tale urgenza è dovuto al timore di Papa Francesco che possa creare una frattura dall’idea che siamo realmente responsabili per gli altri, tutti legati tra noi, tutti aventi diritto ad una equa condivisione di quanto è stato dato a beneficio di tutti. Credere tutto ciò non è una fantasia di cui farsi beffe. Il Papa scrive con dolore riguardo al cinismo e all’impoverimento culturale che limitano la nostra immaginazione sociale. Non è un’assurdità riconoscere l’affinità al di là delle divisioni, il desiderare culture in cui i legami sociali siano rispettati e l’incontro e il dialogo praticati. Fratelli tutti dice esplicitamente come la fratellanza universale e l’amicizia sociale debbano essere esercitate insieme, sebbene non manchi l’incapacità di agire in tal direzione. La globalizzazione proclama valori universali, ma non riesce a praticare incontro e attenzione, specialmente nei confronti della diversità e dei più vulnerabili. La comunicazione digitale specula sul nostro bisogno di contatto, lo distorce, producendo una limitatezza febbrile costruita sui binari dei “like/ dislike”, mercificata da interessi potenti. Il populismo fa appello al desiderio di stabilità, di radicamento e di un lavoro gratificante, ma lascia che l’ostilità distorca questi desideri. Il liberalismo, d’altro canto, concepisce la libertà in termini di individualismo egocentrico e limita le nostre vite intimamente interconnesse. Dimentichiamo cosa consente alle società di perdurare e di rinnovarsi. Sono questi i nostri falsi materialismi.
Questa lettera affonda le sue radici in un preciso incontro interreligioso e mostra senza reticenze il suo carattere religioso e il suo appello. Una verità trascendente non costituisce un fardello, bensì un dono che rende più stabili le radici del nostro comune agire. Può ridurre la preoccupazione che avvertiamo nell’assumerci insieme quei rischi necessari a trasformare il mondo. La fede è la nostra sorgente, è parte di come noi possiamo nominare la realtà e andare oltre la desolante indifferenza della nostra epoca. Per questa ragione, l’enciclica ha ben chiaro il peso della responsabilità che grava sulle comunità religiose. I gruppi religiosi sono coinvolti dalla stessa cultura digitale e di mercato che ci danneggia. In modo non scusabile, i leader religiosi hanno tardato a condannare le pratiche ingiuste, passate e presenti. Anche le religioni hanno bisogno di pentimento e di rinnovamento. Fratelli tutti le esorta a essere modelli di dialogo, mediatrici di pace e portatrici di un messaggio d’amore trascendente ad un mondo affamato, cinico e senza radici.
Richiamando la Dichiarazione di Abu Dhabi, l’enciclica ribadisce l’assoluta dignità della persona umana, sulla quale nessuna preferenza politica, nessuna “legge” di mercato può avere la precedenza. Qui Papa Francesco evidenzia il trattamento riservato ai migranti. Sottolinea i comandamenti biblici che incitano accogliere lo straniero, i benefici che possono derivare dall’incontro tra culture e l’invito a un amore puro e incondizionato. Sviluppa anche il precedente insegnamento sociale sulla destinazione universale dei beni, chiarendo che le nazioni sono proprietarie della loro terra, ricchezza e patrimonio, fintanto che questo permette a tutta l’umanità l’accesso ai mezzi di sopravvivenza e di realizzazione. Una nazione ha dei doveri non soltanto nei confronti dei suoi cittadini, ma nei confronti di tutta l’umanità. Dignità, solidarietà e destinazione universale dei beni materiali sono i tratti distintivi di questo insegnamento. Papa Francesco mette in guardia da forme chiuse di populismo, ma sostiene l’importanza di guardare a noi stesso come ad “un popolo”. Seguendo Sant’Agostino, ci ricorda che il divenire “un popolo” si fonda sulla capacità di incontrare l’altro nel dialogo, faccia a faccia e fianco a fianco. Insieme collaboriamo a quell’amore comune e duraturo del quale desideriamo vivere. Si tratta di un processo dinamico e mai compiuto di costruzione della pace sociale, frutto di una genuina ricerca e scambio di verità. Una cultura è sana soltanto nella misura in cui rimane aperta alle altre. Questo rinnovamento delle culture politiche avviene solo con, non per, i più emarginati. Il ruolo dei movimenti popolari è la chiave di questa partecipazione.
Chiamare Dio con il nome di “Padre” e noi stessi come suoi “figli e amici”, è linguaggio d’amore. Esistono altri modi di chiamare Dio. Ma il messaggio che Papa Francesco desidera che al momento ciascuno recepisca è che siamo resi pienamente umani solo da ciò che ci spinge al di là di noi stessi. Ciò che rende questo possibile è un amore divino aperto a tutti, che genera, unisce, perdura e si rinnova senza fine. Questo amore non può essere cancellato né rimosso, e si pone a fondamento dell’appello che Papa Francesco rivolge a noi, facendo proprie le parole di amorevole attenzione di san Francesco: “Fratelli tutti”…
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Intervento del Prof. Andrea Riccardi
Nota Amin Maalouf, scrittore di fine sensibilità: “Se un tempo eravamo effimeri in un mondo immutabile, oggi siamo esseri smarriti…”.
È lo spaesamento di tanti figli e figlie della globalizzazione. Fratelli tutti traccia una via semplice ed essenziale a noi spaesati: la fraternità. Mi soffermo solo su un aspetto: la lacerazione più grave, che sa di morte: la guerra. In queste pagine la fraternità si misura con la guerra. Non è però qualcosa di troppo fragile di fronte alla guerra, spietata macchina di morte e distruzione? Proprio dal senso d’irrilevanza, è maturata la rassegnazione alla guerra come fatto naturale nella storia. Si pensa sia responsabilità dei grandi paesi o dei politici, non della gente comune. Che possiamo fare? Cresce un fatalismo, camuffato da realismo. Si cede all’opzione per la guerra, credendo a giustificazioni umanitarie, difensive o preventive, oppure manipolati dall’informazione. Troppo abbiamo accettato –governi, istituzioni, singoli- la guerra come compagna assidua del nostro tempo. È divenuto un fatto culturale e politico. Basta pensare all’affievolirsi del movimento per la pace negli ultimi anni.
“La guerra –dice allarmato il Papa- non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante”. È il presente: rischia di essere il futuro. Questa bruciante contemporaneità della guerra è evidente ovunque: dal Mediterraneo all’Africa e altrove. Per molti, sono le “loro guerre”: non ci riguardano. Ci toccano solo se arrivano da noi i rifugiati. Ma i “pezzi” di guerra si saldano tra loro, creando un clima esplosivo, debordando e coinvolgendo chiunque: il fuoco si può estendere. È illusorio, nel mondo globale, pensare di isolare un conflitto. Eppure si vive come se fosse possibile. L’enciclica allarga lo sguardo al mondo alla luce della fraternità: quello che è lontano ci riguarda. Lo sguardo della fraternità non è mai miope. È evangelico e umano, ma anche ben più realista di tante ideologie o politiche autodefinitesi realiste. Il Papa esprime con decisione l’esperienza di umanità della Chiesa: “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato”. Sfigura il volto dell’umanità. Lo dicono due guerre mondiali. Lo gridano i conflitti in corso. Mai la guerra rende il mondo migliore. È la verità della storia! Ma c’è una diffusa “perdita del senso della storia” –dice l’enciclica. Se ne smarrisce la memoria nel presentismo egocentrico o in contrapposizione esacerbate. Nazionalismo, populismo, esaltano il valore del gruppo particolare contro altri. Intanto si sono svuotate quelle grandi parole, che sono veri fari che illuminano l’umanità: fraternità, pace, democrazia, unità… Abbiamo creduto che il mondo avesse imparato da tante guerre e fallimenti. Abbiamo creduto agli entusiasmi di un mondo di pace dopo l’89. Invece si è arretrati rispetto alle conquiste di pace e a forme d’integrazione tra Stati. Si tende a screditare le strutture di dialogo che prevengono i conflitti. Così il mondo diventa incapace di prevenire la guerra e poi lascia protrarsi, incancrenirsi, i conflitti per anni, se non decenni, rivelando l’impotenza della comunità internazionale.
Alla luce della visione “fraterna” del mondo globale, realista e preveggente, proposta dall’enciclica, si coglie come centrale il dramma della guerra –vicina o lontana- con il suo corteo di sofferenze: distruzione dell’ambiente umano e naturale, morte, rifugiati, eredità di dolori e odi, terrorismo, armi di ogni tipo, crudeltà… Le parole del Papa risvegliano dall’assuefazione collettiva alle logiche del conflitto: la guerra –egli scrive- “è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. La guerra non si circoscrive mai, ma diventa madre di tutte le povertà. È una malefica scuola per i giovani e inquina il futuro. Sembra una risorsa ai disperati delle periferie umane. La guerra a pezzi mostra la frammentarietà arrogante del mondo globale, che considera un delirio –dice il Papa- i progetti con grandi obbiettivi di sviluppo per l’umanità. Il mondo globale respinge un progetto di crescita, per la prepotenza degli interessi che lo muovono: così respinge un grande sogno di pace.
L’enciclica mostra che ciascuno è custode della pace. C’è un compito delle istituzioni nell’”architettura di pace” da rivitalizzare. Ma anche noi, gente qualunque, non possiamo essere spettatori. L’artigianato della pace è compito di tutti: si deve osare di più contro la guerra con una rivolta quotidiana e creativa. Se tanti possono fare la guerra, tutti possono lavorare come artigiani di pace. Qui il ruolo delle religioni. Il Papa si rifà al dialogo tra religioni e all’incontro con l’Imam AlTayyeb quando dichiararono: “le religioni non incitano mai alla guerra…”. Se avviene, sono deviazioni e abusi. Leggendo Fratelli tutti, non ho colto solo la denuncia della guerra, ma la speranza di una pace possibile. Mi è tornato alla mente l’invito di Giovanni Paolo II nella luminosa giornata ad Assisi nel 1986 con i leader religiosi: “La pace attende i suoi profeti… i suoi artefici… è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi… passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana”. Gli artigiani di pace sono uomini e donne della fraternità. Papa Francesco propone veri sogni al mondo globale, che ha spento i fari delle grandi parole e dei grandi ideali. Ne ho ricordato uno solo, non il minore, anzi quello da cui dipende tanto: la pace.
Concludo con le parole di un grande italiano, don Luigi Sturzo, nel 1929: “bisogna aver fede che… la guerra, come mezzo giuridico di tutela del diritto, dovrà essere abolita, così come legalmente furono abolite la poligamia, la schiavitù, la servitù della gleba e la vendetta di famiglia”. Anche dopo i tempi del cielo grigio della pandemia, questa enciclica apre un orizzonte di speranza: divenire sorelle e fratelli tutti. Sorge un sogno per cui vivere e lottare anche a mani nude.