Nell’attuale panorama culturale può apparire davvero coraggioso il nuovo romanzo di Rosa Elisa Giangoia Febe. Dal tempo all’eterno, in quanto ripropone come tema centrale della narrazione la scelta della fede cristiana nella fiduciosa speranza della salvezza eterna.
Il racconto si apre con un rapido immaginare come potrebbe presentarsi Gesù se ritornasse nella realtà di oggi e se e come sarebbe accolto nell’attuale diffusa indifferenza nei confronti della fede cristiana. Questo porta la scrittrice a ritornare con la fantasia a quello che sarà stato l’atteggiamento di chi, nel mondo pagano, all’origine della predicazione del Vangelo si è venuto a trovare di fronte a questa nuova e sconcertante rivelazione e ha deciso di accettarla e seguirla, dando inizio a quell’interrotta catena di trasmissione della fede che è così potuta arrivare fino a noi affidandocela per le generazioni future.
Ad esemplificare la situazione culturale e personale di chi è vissuto in quel tempo l’autrice prende un personaggio di cui storicamente sappiamo solo che è esistita e che da pagana è diventata cristiana, avendo avuto l’occasione d’incontrare Paolo di Tarso e, personalmente, la disponibilità del cuore (o forse bisognerebbe dire la grazia) di ascoltare le sue parole e accettare la buona novella della fede in Gesù. Questa persona è Febe di cui abbiamo una sola nota storica, nel paragrafo conclusivo della Lettera ai Romani di San Paolo da cui si può arguire che fosse una donna di Cencre, borgo marinaro vicino a Corinto, tra le prime persone della Grecia a convertirsi alla fede in Gesù, attiva nella primitiva locale comunità cristiana, a cui Paolo avrebbe affidato proprio questa sua lettera, fondamentale per la teologia cristiana, per farla arrivare a Roma e consegnarla ai fedeli che là vivevano.
Sulla base di questi pochi cenni storicamente sicuri la Giangoia, grazie anche alla sua solida formazione classica che le permette una buona conoscenza del periodo storico, tratteggia sullo sfondo la società del tempo, contraddistinta da diffusa immoralità e percorsa da inquietudini esistenziali, e costruisce un’immaginaria biografia della donna: la descrive di buona condizione sociale, triste nella solitudine della vedovanza e per un figlio lontano per affari ormai da troppo tempo, di discreta cultura, con quell’autonomia personale che la società greca del tempo poteva consentirle, di animo buono e generoso, profondamente insoddisfatta nei confronti dei culti della tradizione religiosa greca, nonché delle pratiche misteriche a cui si era accostata, riconosciute incapaci di soddisfare il suo disagio nei confronti dei limiti ontologici dell’esistenza umana. Solo l’incontro casuale con Paolo di Tarso, intento a predicare a Corinto, può dare una svolta decisiva alla vita di questa donna. Le parole dell’apostolo cambiano completamente l’esistenza di Febe: per lei si apre un mondo nuovo, in cui il suo vivere quotidiano si può spalancare sulla prospettiva dell’eternità, grazie alla morte e alla resurrezione di Gesù. Di conseguenza accoglie con entusiasmo il comandamento della carità e dell’amore, del tutto nuovo per la mentalità pagana, impegnandosi nell’assistenza a chi ha bisogno di soccorso e di cura e dedicando le sue giornate alla preghiera e alle attività della comunità cristiana di Corinto che sta crescendo e consolidandosi.
Dopo molte attese e speranze ha finalmente la gioia di riabbracciare suo figlio, tornato dopo un lungo soggiorno in Kerala, dove (e qui la Giangoia si avvale della sua conoscenza anche dei testi cristiani apocrifi), grazie alla predicazione dell’apostolo Tommaso, è potuto anche lui venire a conoscenza della buona novella di Gesù e diventarne seguace.
Così, quando Paolo, dopo diversi anni, tornerà nella città dell’istmo e troverà Febe perseverante nella fede e nell’impegno e le affiderà il delicato compito di portare la sua lettera alla comunità cristiana a Roma, lei, con il sostegno del figlio, potrà accettare, disponibile ad iniziare una nuova vita nella più grande e affollata città del tempo.
La Giangoia ricostruisce anche gli anni romani di Febe con la sua fantasia saldamente sostenuta dalle conoscenze storiche che la portano a introdurre, attraverso l’incontro della donna, desiderosa di imparare la lingua latina, con un oscuro maestro di scuola, una questione culturale di grande rilievo, quella della perdita delle opere di Aristotele nell’età imperiale e quindi di un’eclisse dell’attenzione nei confronti della metafisica per diversi secoli.
Febe morirà a Roma e il suo culto si perpetuerà nel tempo, facendo di lei una di quelle sante delle origini del cristianesimo di cui quasi nulla sappiamo, ma che la tradizione ha sempre venerato come anelli imprescindibili nella trasmissione della fede e la cui vita può essere, come in questo caso, ricostruita attraverso l’espediente letterario dell’invenzione di una verità storica, immaginando quello che avrebbe potuto essere stato e riempiendo la sua personalità di tutti gli interrogativi, le ansie, i dubbi e poi le consolazioni e le speranze che si saranno agitate nel suo cuore.
La sua, di fronte alla scelta della fede, appare una decisione sicura, motivata e consapevole, che può diventare per i lettori di oggi occasione per soffermarsi a riflettere con serietà e impegno sulla propria vita e sull’adesione al cristianesimo.
*Rosa Elisa Giangoia: Insegnante, saggista, poetessa e fondatrice dell’associazione culturale Il Gatto Certosino.