Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: L’offerta del Figlio al Padre e l’incontro con i fratelli

Presentazione del Signore al Tempio – L’Ipapante – 2 febbraio 2020

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Rito Romano

Ml 3,1-4; Sal 23; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

Gesù offerto a Suo Padre

 

Rito Ambrosiano

Ml 3,1-4a; Sal 23; Rm 15,8-12; Lc 2,22-40

Il Signore nel suo Tempio santo

 

1) Incontro di Gesù con il Padre e con i fratelli.

Quaranta giorni sono già passati dal Natale, giorno in cui Cristo è entrato nel modo e la liturgia ci chiede di celebrare la presentazione di Gesù al Tempio. La celebrazione di questo fatto è detta “Festa dell’incontro”: perché celebra l’incontro tra il Dio bambino, che porta novità, e l’umanità in attesa, che è rappresentata dagli anziani Simeone e Anna nel Tempio. Questo bambino divino entra umilmente in Casa sua et è accolto da Simeone e da Anna. I sacerdoti del Tempio non lo accolgono perché non sanno riconoscere Dio in un povero Bambino.

Quali sono le disposizioni che permettono questo riconoscimento? L’umiltà di Simeone e la pietà di Anna. Invochiamo lo Spirito Santo perché anche noi possiamo riconoscere il Redentore del mondo e accettare che questo Bambino sia la salvezza nostra e del mondo intero.

Nella sua debolezza, umiltà e povertà il bambino Gesù giudica e condanna il mondo, che non è povero, che è orgoglioso, che crede nella forza. Salva invece  Simeone e Anna, due vecchi poveri e deboli a causa del corpo infiacchito dagli anni. Questi due sono salvi. Dio non ha bisogno di grandi manifestazioni, di grandi avvenimenti per mostrare la sua gloria; la sua presenza ci giudica. Se siamo simili a Lui, lo vediamo e lo riconosciamo. Se invece siamo pieni di orgoglio non abbiamo nulla in comune con Lui, siamo esclusi dalla sua luce. Con la presentazione al Tempio (ma non solo lì) Dio si fa presente, ma si fa riconoscere soltanto dalle anime umili, che non hanno peso nel mondo, che gli uomini dimenticano e non sanno che cosa possono contare, ma solo loro riconoscono il Cristo. Dio è un Infante, che non sa né parlare né camminare, o è un uomo che pende da una Croce. La rivelazione suprema di Dio è il supremo abbassamento (Se vogliamo usare il termine evangelico è la kénosis)

Contempliamo questo abbassamento guardando Maria e Giuseppe che vanno al Tempio di Gerusalemme, per offrire Gesù al Signore “come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio che apre il grembo sarà chiamato santo per il Signore e per dare in sacrificio, secondo quanto è detto nella legge del Signore, una coppia di tortore o due pulcini di colomba” (Lc 2, 24-25). Così ci viene ridetta la povertà dei genitori, che non hanno la possibilità di offrire l’agnello. Tuttavia con il cuore pieno di commozione essi offrono tutto quello che hanno: due uccelli piccoli, innocenti e puri. Non sanno ancora che hanno tra le braccia Colui, che Giovanni il Battista indicherà come “Agnello di Dio”.

L’offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua totale offerta sulla croce.
Questo atto di obbedienza a un rito legale, al compimento del quale né Gesù né Maria erano tenuti, costituisce anche una lezione di umiltà, ulteriore a quella che ci è stata data a Natale, quando abbiamo contemplato il Figlio di Dio e la sua Madre nella commovente, povera e umile cornice del presepio.

Dio si manifesta nella debolezza, nella povertà, nell’innocenza dell’infanzia e nella purezza, e solamente i puri di cuore vedono Dio. Quelli cioè che hanno gli occhi tersi, puliti perché hanno cambiato la mente. Chi è pentito e purificato, la persona pia che ha rinunciato al modo di vedere e di pensare umano può “vedere” Dio, che si manifesta nella vita degli uomini, e capire quello che Dio compie.

Fra questi puri di cuore ci sono Simeone[2] e Anna[3] figlia di Fanuele, della tribù di Aser.

Il cuore e gli occhi puri permettono a Simeone di riconoscere in quel bambino, portato da un’umile coppia, il Messia promesso, l’unto del Signore annunciato dai profeti e atteso da secoli. Il vecchio Simeone, uomo giusto e pio, che aspetta la consolazione di Israele (cfr. Lc 2,25) e che, mosso dallo Spirito Santo, si reca in tempio, accoglie tra le braccia il bambino e con animo commosso benedice Dio, perché è arrivata la salvezza per lui, per il suo popolo e per tutte le genti. Con i suoi occhi e col suo cuore purificati dall’attesa, il vecchio profeta riconosce in quel bambino il Salvatore. Ma profetizza anche che quella luce tanto attesa e invocata sarà per molti segno di contraddizione e non di risurrezione, perché non riusciranno ad accogliere la luce della sua parola che svela i pensieri di ogni cuore umano.

L’altra umile persona che accoglie Dio che visita il suo Tempio è Anna. Per grazia di Dio questa donna ha la felicità, la fortuna di vedere il volto di Dio nel bambino Gesù. Credo sia legittimo guardare a questa donna come rappresentante di tutta l’umanità, il cui destino è vedere il Volto di Dio e riflettere in sé tale Volto. Questa vedova rappresenta tutta l’umanità che è vedova perché non ha lo sposo, la sua “altra parte”. L’altra parte dell’uomo è Dio. Questa donna ha la grazia di vederlo faccia a faccia e di gioire per la presenza dello sposo, come lo sposo gioisce della presenza della sposa. Anna finalmente celebra Dio, mentre prima digiunava con suppliche, digiuni notte e giorno nel tempio, e celebra Dio parlando del Bambino, che è la liberazione di tutti. Dunque questa donna rappresenta le nozze finali della Gerusalemme celeste, quando l’umanità si incontrerà con lo Sposo. Sostanzialmente siamo tutti “vedove” in attesa delle nozze, dell’incontro con Dio-Amore.

Si tratta di incontro umile e non appariscente come quello del neonato Figlio di Dio portato nella Casa di Suo Padre. Infatti, non dobbiamo pensare alla Presentazione al Tempio come ad un avvenimento grandioso con una grande processione. Non dobbiamo immaginare l’ammirazione del Sommo Sacerdote che accoglie Gesù abocca aperta, con e magari i leviti e gli altri sacerdoti tutti intorno. Non è avvenuto nulla di tutto questo, nessuno si è accorto di nulla, fuorché il vecchio Simeone, che ha cantato a Dio il suo canto di ringraziamento perché aveva visto la salvezza, e questa vedova di 84 anni. Ecco a chi è apparso il Signore, a chi si è rivelato, ed ecco coloro che sono i primi messaggeri in Israele dell’avvenimento divino. Guardate che è una cosa molto importante questa. In generale gli evangelisti vedono in Giovanni Battista colui che annuncia, anzi indica il Salvatore del mondo: «Ecco l’agnello di Dio». Ma prima di san Giovanni Battista ci furono Simeone e Anna la profetessa. Se saremo umili e ricchi di pietà potremo fare altrettanto: indicare Cristo con gioia per una vita compiuta, piena di anni e di grazia.

 

 

 

            2) Due persone portano il Bambino per offrirlo.

Abbiamo presentato due persone che hanno accolto il Figlio di Dio che “visitava” casa sua, e che hanno saputo riconoscerlo in un piccolo bambino portato da due povere e umili persone: Giuseppe e Maria, che offrivano il “loro” Figlio a Dio. Ora volgiamo lo sguardo a San Giuseppe e, soprattutto, a Maria che è la Madre vergine offerente: “La Chiesa ha intuito nel cuore della Vergine che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore, una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito” (S. Giovanni Paolo II, Marialis Cultus, n. 20). È questa dimensione oblativa che dobbiamo cogliere come messaggio della festa di oggi, per sviluppare in noi quella che potremmo chiamare la spiritualità dell’offerta, che spinge ciascuno di noi a vivere la vita nel dono totale di sé a Dio come il Tutto della propria vita.

Infatti, portato nel Tempio da Maria accompagnata dal suo sposo Giuseppe, Gesù è offerto. Come ricorda il Vangelo, la Madonna è stata certamente mossa a fare questo dall’antica prescrizione mosaica, in forza della quale ogni primogenito apparteneva al Signore. Ma nell’offerta di Cristo, quella prescrizione non solamente è osservata; essa è perfettamente adempiuta. In forza della sua partecipazione alla nostra umanità, il Verbo di Dio è divenuto “il primogenito di molti fratelli” ed offre se stesso per la loro salvezza. “Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7).    Immergiamoci oggi nella contemplazione di quest’atto di volontà con cui Gesù Cristo, presentato al tempio, fa della sua vita e della sua umanità un “sacrificio a Dio gradito”.

Oggi, infine, celebriamo i divini misteri soprattutto perché vogliamo ringraziare il Padre per un dono particolare, frutto prezioso dell’offerta di Cristo: la vita consacrata. Nel dono che Cristo ha fatto di se stesso sulla croce sta la radice del fatto che ci siano uomini e donne che seguono Cristo, amandolo con cuore indiviso, pienamente liberati mediante la pratica dei consigli evangelici.

Guardando alle Vergini Consacrate noi siamo profondamente assicurati che Cristo è morto e risorto per noi: queste donne lo dicono non tanto con le parole quanto con la loro esistenza consacrata. Qual è infatti il “nucleo essenziale” della decisione esistenziale di queste persone? E’ l’aver deciso di appartenere esclusivamente e totalmente alla persona di Cristo: la loro vita è una vita consacrata e lo è per sempre. Qualifica questa della loro esistenza che esprime la radicalità del loro essere state afferrate da Cristo e del loro lasciarsi afferrare, senza porre alcuna resistenza. Queste persone consacrate vogliono riposare solamente in Cristo e Lui totalmente aderire (cfr RCV, n 24), seguendo il loro modello per eccellenza Maria che ha detto: “Ecco l’ancella del Signore, avvenga in me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Radicate in tale appartenenza radicale, completa a Cristo, queste persone consacrate diventano l’espressione perfetta di ogni vita cristiana, la quale consiste nel conformarsi pienamente al Signore Gesù. L’augurio da fare loro è che siano fedeli alla loro vocazione, perché in essa tutti i fedeli, gli sposi ed i pastori della Chiesa vedono svelata la profonda natura della vita cristiana come tale.

In ogni caso, secondo me oggi si celebra soprattutto la festa del primo incontro di Gesù con il Padre, a cui viene offerto, e subito riscattato, come ogni primogenito. Chiediamoci se siamo davvero pronti a offrire, assieme a Lui, il meglio di noi stessi a Dio, nostro Padre, per poi, “ridonati a noi stessi”, passare nel mondo come benedizione, che illumina il cammino degli uomini in cerca di Dio dà pace e gioia. “Gioia che non consiste nell’avere tante cose, ma nel sentirsi amati dal Signore, nel farsi dono per gli altri e nel volersi bene” (Benedetto XVI, Angelus del 13.12.2009). Benedizione da chiedere a Dio e condividere con i fratelli come fece Papa Francesco nel momento del primo incontro con la Chiesa e il mondo appena dopo la sua elezione a Vescovo di Roma.

 

 

 

Lettura Patristica

San Sofronio, vescovo

Discorso 3, sull’«Hypapante» 6, 7

PG 87, 3, 3291-3293

 

“Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi e tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che é la vera luce.

La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.

La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1, 9) é venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.

Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, é la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene”.(Disc. 3, sull’«Hypapante» 6, 7; PG 87, 3, 3291-3293).

 

 

 

[1] La Festa della Presentazione del Signore, dai Cristiani d’Oriente è chiamata Ipapánte, cioè Incontro, perché 40 giorni dopo il suo Natale, Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele. Con il titolo di “incontro” (hypapànte) la Chiesa bizantina in questa festa vuol soprattutto sottolineare l’incontro di Gesù con l’anziano Simeone, cioè l’Uomo nuovo con l’uomo vecchio, è la festa dell’incontro di Dio, per mezzo dell’incarnazione del Figlio, con l’umanità, con ogni uomo. Questo incontro ha luogo nel Tempio, cioè nella vita ecclesiale di ogni cristiano, di ognuno di noi. In Simeone ed Anna, è rappresentata l’attesa di tutto il popolo d’Israele, che in questo incontro finalmente trova il suo compimento.

E’ chiamata pure Festa delle luci (cfr Lc 2,30-32) ed ebbe origine nell’Oriente Cristiano. Nel secolo VI si estese all’Occidente con sviluppi originali: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con la solenne benedizione e processione delle candele popolarmente nota come la ‘candelora’.  Questo rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti” (Id.).

La festività odierna era fino alla riforma del calendario liturgico chiamata festa della Purificazione della SS. Vergine Maria, in ricordo del momento della storia della santa Famiglia, narrato al capitolo 2 del Vangelo di Luca, in cui Maria, in osservanza della Legge, si recò al Tempio di Gerusalemme, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, per offrire il suo primogenito e compiere il rito legale della sua purificazione. La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione il titolo di “Presentazione del Signore”, che aveva in origine.

[2] Simeone vuol dire “Dio ha ascoltato”, cioè la sua attesa viene compiuta.

[3] Anna vuol dire “grazia di Dio”, Fanuele vuol dire “volto di Dio”, Aser vuol dire “felicità, fortuna”.

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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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