Questa mattina [23 novembre 2019], al Suo arrivo alla Nunziatura Apostolica di Tokyo, il Santo Padre Francesco ha incontrato i Vescovi della Conferenza Episcopale del Giappone nel refettorio della Rappresentanza Pontificia. Introdotto dal breve saluto di benvenuto di S.E. Mons. Joseph Mitsuaki Takami, P.S.S., Arcivescovo di Nagasaki e Presidente della Conferenza Episcopale Giapponese, il Papa ha pronunciato il Suo discorso e ha risposto alle domande di alcuni Vescovi. Al termine, dopo aver salutato individualmente i Vescovi presenti, Papa Francesco ha posato per una foto di gruppo. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato nel corso dell’incontro con i Vescovi:
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli!
Prima di tutto, voglio scusarmi e chiedere perdono perché sono entrato senza salutare nessuno: che maleducati che siamo, noi argentini! Scusatemi per questo.
Sono molto contento di essere tra di voi. I giapponesi hanno fama di essere metodici e lavoratori e la prova è questa: il Papa scende dall’aereo e lo fanno lavorare subito! Grazie tante.
Sono contento per il dono di visitare il Giappone e per l’accoglienza che mi avete riservato. Ringrazio in particolare l’Arcivescovo Takami per le sue parole a nome dell’intera comunità cattolica in questo Paese. Trovandomi qui con voi, in questo primo incontro ufficiale, voglio salutare tutte e ciascuna delle vostre comunità, laici, catechisti, sacerdoti, religiosi, persone consacrate, seminaristi. E desidero anche estendere l’abbraccio e le mie preghiere a tutti i giapponesi in questo periodo caratterizzato dall’intronizzazione del nuovo Imperatore e dall’inizio dell’era Reiwa.
Non so se lo sapete, ma fin da giovane ho provato simpatia e affetto per queste terre. Sono passati molti anni da quell’impulso missionario, la cui realizzazione si è fatta attendere. Oggi il Signore mi offre l’opportunità di essere tra voi come pellegrino missionario sulle orme di grandi testimoni della fede. Si compiono 470 anni dall’arrivo di San Francesco Saverio in Giappone, che segnò l’inizio della diffusione del Cristianesimo in questa terra. In sua memoria, voglio unirmi a voi per ringraziare il Signore per tutti coloro che, nel corso dei secoli, si sono dedicati a seminare il Vangelo e a servire il popolo giapponese con grande unzione e amore; questa loro dedizione ha dato un volto molto particolare alla Chiesa giapponese. Penso ai martiri San Paolo Miki e ai suoi compagni e al Beato Justo Takayama Ukon, che in mezzo a tante prove ha dato testimonianza fino alla morte. Questa offerta di sé per mantenere viva la fede attraverso la persecuzione ha aiutato la piccola comunità cristiana a crescere, a consolidarsi e a portare frutto. Pensiamo anche ai “cristiani nascosti” della regione di Nagasaki, che hanno conservato la fede per generazioni grazie al battesimo, alla preghiera e alla catechesi. Autentiche Chiese domestiche che risplendevano in questa terra, forse senza saperlo, come specchi della Famiglia di Nazaret.
La via del Signore ci mostra come la vostra presenza si gioca nella vita quotidiana del popolo fedele, che cerca il modo di continuare a rendere presente la memoria di Lui; una presenza silenziosa, una memoria viva che ricorda che dove due o più sono riuniti nel suo nome, Lui sarà lì, con la forza e la tenerezza del suo Spirito (cfr Mt 18,20). Il DNA delle vostre comunità è segnato da questa testimonianza, antidoto contro ogni disperazione, che ci indica la strada alla quale orientarsi. Voi siete una Chiesa viva, che si è conservata pronunciando il Nome del Signore e contemplando come Lui vi guidava in mezzo alla persecuzione.
La semina fiduciosa, la testimonianza dei martiri e l’attesa paziente dei frutti che il Signore dona a suo tempo, hanno caratterizzato la modalità apostolica con cui avete saputo accompagnare la cultura giapponese. Di conseguenza, avete plasmato nel corso degli anni un volto ecclesiale generalmente molto apprezzato dalla società giapponese, grazie ai vostri molteplici contributi al bene comune. Questo importante capitolo della storia del Paese e della Chiesa universale è stato ora riconosciuto con la designazione delle chiese e dei villaggi di Nagasaki e Amakusa come luoghi del Patrimonio Culturale Mondiale; ma, soprattutto, come memoria viva dell’anima delle vostre comunità, speranza feconda di ogni evangelizzazione.
Questo viaggio apostolico è contrassegnato dal motto “Proteggere ogni vita”, che può ben simboleggiare il nostro ministero episcopale. Il vescovo è colui che il Signore ha chiamato in mezzo al suo popolo, per restituirlo come pastore capace di proteggere ogni vita, e questo determina in una certa misura lo scenario a cui dobbiamo puntare.
La missione in queste terre è stata caratterizzata da una forte ricerca di inculturazione e dialogo, che ha permesso il formarsi di nuove modalità indipendenti da quelle sviluppate in Europa. Sappiamo che, fin dall’inizio, sono stati utilizzati scritti, teatro, musica e ogni genere di strumenti, per la gran parte in lingua giapponese. Questo fatto dimostra l’amore che i primi missionari sentivano per queste terre. Proteggere ogni vita significa, in primo luogo, avere uno sguardo contemplativo capace di amare la vita di tutto il popolo a voi affidato, per riconoscere in esso prima di tutto un dono del Signore. «Perché solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato» (Discorso nella Veglia con i giovani, Panama, 26 gennaio 2019). Principio di incarnazione, che può aiutarci a porci davanti ad ogni vita come a un dono gratuito, al di sopra di altre considerazioni, valide ma secondarie. Proteggere ogni vita e annunciare il Vangelo non sono due cose separate né contrapposte: si richiamano e si esigono a vicenda. Entrambe significano stare attenti e vigilanti rispetto a tutto ciò che oggi può impedire, in queste terre, lo sviluppo integrale delle persone affidate alla luce del Vangelo di Gesù.
Sappiamo che in Giappone la Chiesa è piccola e i cattolici sono una minoranza, ma questo non deve sminuire il vostro impegno per una evangelizzazione che, nella vostra situazione particolare, la parola più forte e più chiara che possa offrire è quella di una testimonianza umile, quotidiana e di dialogo con le altre tradizioni religiose. L’ospitalità e la cura che dimostrate ai numerosi lavoratori stranieri, che rappresentano più della metà dei cattolici del Giappone, non solo servono come testimonianza del Vangelo in seno alla società giapponese, ma attestano anche l’universalità della Chiesa, dimostrando che la nostra unione con Cristo è più forte di qualsiasi altro legame o identità ed è in grado di raggiungere tutte le realtà.
Una Chiesa martiriale può parlare con maggiore libertà, specialmente nell’affrontare questioni urgenti di pace e giustizia nel nostro mondo. Domani visiterò Nagasaki e Hiroshima, dove pregherò per le vittime del catastrofico bombardamento di queste due città e mi farò eco dei vostri appelli profetici al disarmo nucleare. Desidero incontrare coloro che ancora patiscono le ferite di quel tragico episodio della storia umana; come pure le vittime del “triplice disastro”. La loro prolungata sofferenza è un eloquente avvertimento al nostro dovere umano e cristiano di aiutare quanti soffrono nel corpo e nello spirito e di offrire a tutti il messaggio evangelico di speranza, guarigione e riconciliazione. Ricordiamo che il male non fa preferenze di persone e non si informa sulle appartenenze; semplicemente irrompe con la sua forza distruttiva, come è accaduto anche di recente con il devastante tifone che ha causato tante vittime e danni materiali. Affidiamo alla misericordia del Signore coloro che sono morti, i loro familiari e tutti coloro che hanno perso la casa e i beni materiali. Non abbiamo paura di portare avanti sempre, qui e in tutto il mondo, una missione capace di alzare la voce e difendere ogni vita come dono prezioso del Signore.
Vi incoraggio, dunque, nei vostri sforzi per garantire che la comunità cattolica in Giappone offra una testimonianza chiara del Vangelo in mezzo a tutta la società. L’apprezzato apostolato educativo della Chiesa rappresenta una grande risorsa per l’evangelizzazione e dimostra l’impegno con le più ampie correnti intellettuali e culturali; la qualità del suo contributo dipenderà naturalmente dalla promozione della sua identità e della sua missione.
Siamo consapevoli del fatto che vi sono diversi flagelli che minacciano la vita di alcune persone delle vostre comunità, che sono segnate, per vari motivi, dalla solitudine, dalla disperazione e dall’isolamento. L’aumento del numero di suicidi nelle vostre città, così come il bullismo (ijime) e varie forme di auto-esigenza, stanno creando nuovi tipi di alienazione e disorientamento spirituale. Quanto tutto ciò colpisce soprattutto i giovani! Vi invito a prestare particolare attenzione a loro e ai loro bisogni, a cercare di creare spazi in cui la cultura dell’efficienza, della prestazione e del successo possa aprirsi alla cultura di un amore gratuito e altruista, capace di offrire a tutti, e non solo a quelli “arrivati”, possibilità di una vita felice e riuscita. Con il loro entusiasmo, le loro idee e le loro energie, oltre che con una buona formazione e un buon accompagnamento, i vostri giovani possono essere una fonte importante di speranza per i loro coetanei e dare una testimonianza viva di carità cristiana. Una ricerca creativa, inculturata e ingegnosa del kerigma può avere un forte riflesso in tante vite assetate di compassione.
So che la messe è molta e gli operai sono pochi. Vi incoraggio a cercare, sviluppare e far crescere una missione capace di coinvolgere le famiglie e promuovere una formazione in grado di raggiungere le persone là dove si trovano, tenendo sempre conto della realtà: il punto di partenza per ogni apostolato nasce dal luogo in cui le persone si trovano, con le loro abitudini e occupazioni, non nei luoghi artificiali. Lì, dobbiamo raggiungere l’anima delle città, dei luoghi di lavoro, delle università per accompagnare con il Vangelo della compassione e della misericordia i fedeli che ci sono stati affidati.
Grazie ancora per l’opportunità che mi offrite di visitare le vostre Chiese particolari e di celebrare insieme con esse. Pietro vuole confermarvi nella fede, ma Pietro viene anche a toccare con mano e a lasciarsi rinnovare sulle orme di tanti martiri testimoni della fede; pregate perché il Signore mi conceda questa grazia.
Chiedo al Signore di benedire voi e, in voi, di benedire le vostre comunità. Grazie.