Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Thailandia e Giappone (19-26 novembre 2019) – Santa Messa nello Stadio del Baseball di Nagasaki (24/11/2019) - Foto © Vatican Media

“Oggi qui vogliamo rinnovare la nostra fede e il nostro impegno”

Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Thailandia e Giappone (19-26 novembre 2019) – Santa Messa nello Stadio del Baseball di Nagasaki

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Alle 13.20 (5.20 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha lasciato l’Arcivescovado e si è trasferito in auto allo Stadio del Baseball di Nagasaki per la Santa Messa. Prima di lasciare l’Arcivescovado il Papa ha salutato 16 persone impiegate della Curia. Quindi sono state affidate a Papa Francesco circa 30.000 preghiere di intercessione scritte nei giorni precedenti alla Sua visita da 12 mila famiglie della Diocesi di Nagasaki. Ciascuna preghiera consegnata al Santo Padre è stata scritta su un piccolo pezzo di carta colorato, poi piegato a forma di gru. Al Suo arrivo allo Stadio, dopo aver effettuato il cambio di vettura, il Papa ha compiuto alcuni giri in papamobile tra i fedeli.

Alle ore 14.00 (6.00 ora di Roma), il Santo Padre Francesco ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo alla presenza di circa 35.000 fedeli. Accanto all’altare era presente la statua lignea della Madonna dell’antica cattedrale di Urakami, a Nagasaki, distrutta dall’esplosione della bomba atomica, i cui resti sono stati ritrovati recentemente e portati ora nella nuova cattedrale. Dopo la proclamazione del Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia. Al termine, prima della benedizione finale, l’Arcivescovo di Nagasaki, S.E. Mons. Joseph Mitsuaki Takami, P.S.S., ha rivolto a Papa Francesco il suo saluto.

Quindi il Santo Padre si è trasferito in auto all’Aeroporto di Nagasaki da dove, alle ore 16.34 (8.34 ora di Roma), dopo aver salutato 15 persone dell’Arcidiocesi, è partito a bordo di un A321 della All Nippon Airways alla volta di Hiroshima. Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica:

Omelia del Santo Padre

«Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno» (Lc 23,42).
Nell’ultima domenica dell’anno liturgico, uniamo le nostre voci a quella del malfattore che, crocifisso con Gesù, lo riconobbe e lo proclamò re. Lì, nel momento meno trionfante e glorioso, in mezzo alle grida di scherno e di umiliazione, quel delinquente è stato capace di alzare la voce e fare la sua professione di fede. Queste sono le ultime parole che Gesù ascolta e, a loro volta, sono le ultime parole che Lui pronuncia prima di consegnarsi al Padre: «In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). Il tortuoso passato del ladro sembra, per un istante, assumere un nuovo significato: accompagnare da vicino il supplizio del Signore; e questo istante non fa altro che confermare la vita del Signore: offrire sempre e dovunque la salvezza. Il Calvario, luogo di smarrimento e di ingiustizia, dove l’impotenza e l’incomprensione sono accompagnate dalla mormorazione sussurrata e indifferente dei beffardi di turno davanti alla morte dell’innocente, si trasforma, grazie all’atteggiamento del buon ladrone, in una parola di speranza per tutta l’umanità. Le burle e le grida di “salva te stesso” di fronte all’innocente sofferente non saranno l’ultima parola; anzi, susciteranno la voce di quelli che si lasciano toccare il cuore e scelgono la compassione come vero modo per costruire la storia.

Oggi qui vogliamo rinnovare la nostra fede e il nostro impegno. Conosciamo bene la storia dei nostri fallimenti, peccati e limiti, come il buon ladrone, ma non vogliamo che sia questo a determinare o definire il nostro presente e futuro. Sappiamo che non di rado possiamo cadere nel clima pigro che fa dire con facilità e indifferenza “salva te stesso”, e perdere la memoria di ciò che significa sopportare la sofferenza di tanti innocenti. Queste terre hanno sperimentato, come poche altre, la capacità distruttiva a cui può giungere l’essere umano. Perciò, come il buon ladrone, vogliamo vivere l’istante in cui poter alzare le nostre voci e professare la nostra fede a difesa e a servizio del Signore, l’Innocente sofferente. Vogliamo accompagnare il suo supplizio, sostenere la sua solitudine e il suo abbandono, e ascoltare, ancora una volta, che la salvezza è la parola che il Padre vuole offrire a tutti: «Oggi sarai con me nel paradiso».

Salvezza e certezza che hanno testimoniato coraggiosamente con la vita San Paolo Miki e si suoi compagni, come pure le migliaia di martiri che segnano la vostra eredità spirituale. Sulle loro orme vogliamo camminare, sui loro passi vogliamo andare per professare con coraggio che l’amore dato, sacrificato e celebrato da Cristo sulla croce è in grado di vincere ogni tipo di odio, egoismo, oltraggio o cattiva evasione; è in grado di vincere ogni pessimismo indolente o benessere narcotizzante, che finisce per paralizzare ogni buona azione e scelta. Ce lo ricordava il Concilio Vaticano II: sono lontani dalla verità coloro che, sapendo che non abbiamo qui una città permanente ma siamo protesi a quella futura, pensano che per questo possiamo trascurare i nostri doveri terreni, senza accorgersi che, proprio per la fede stessa che professiamo, siamo tenuti a compierli così da attestare e manifestare la nobiltà della vocazione alla quale siamo stati chiamati (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 43).

La nostra fede è nel Dio dei viventi. Cristo è vivo e agisce in mezzo a noi, guidandoci tutti alla pienezza della vita. È vivo e ci vuole vivi. Cristo è la nostra speranza (cfr Esort. ap. postsin. Christus vivit, 1). Lo imploriamo ogni giorno: venga il tuo Regno, Signore. E così facendo vogliamo anche che la nostra vita e le nostre azioni diventino una lode. Se la nostra missione come discepoli missionari è di essere testimoni e araldi di ciò che verrà, essa non ci permette di rassegnarci davanti al male e ai mali, ma ci spinge a essere lievito del suo Regno dovunque siamo: in famiglia, al lavoro, nella società; ci spinge ad essere una piccola apertura in cui lo Spirito continua a soffiare speranza tra i popoli. Il Regno dei cieli è la nostra meta comune, una meta che non può essere solo per il domani, ma la imploriamo e iniziamo a viverla oggi, accanto all’indifferenza che circonda e fa tacere tante volte i nostri malati e disabili, anziani e abbandonati, rifugiati e lavoratori stranieri: tutti loro sono sacramento vivo di Cristo, nostro Re (cfr Mt 25,31-46); perché «se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi» (S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 49).

Quel giorno, sul Calvario, molte voci tacevano, tante altre deridevano; solo quella del ladrone seppe alzarsi e difendere l’innocente sofferente: una coraggiosa professione di fede. Spetta ad ognuno di noi la decisione di tacere, di deridere o di profetizzare. Cari fratelli, Nagasaki porta nella propria anima una ferita difficile da guarire, segno della sofferenza inspiegabile di tanti innocenti; vittime colpite dalle guerre di ieri ma che ancora oggi soffrono per questa terza guerra mondiale a pezzi. Alziamo qui le nostre voci, in una preghiera comune per tutti coloro che oggi stanno patendo nella loro carne questo peccato che grida in cielo, e perché siano sempre di più quelli che, come il buon ladrone, sono capaci di non tacere né deridere, ma di profetizzare con la propria voce un regno di verità e di giustizia, di santità e di grazia, di amore e di pace[1].
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[1] Cfr Messale Romano, Prefazio della Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’universo.

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ZENIT Staff

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