Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Romania (31 maggio – 2 giugno 2019) – Santa Messa nel Santuario di Şumuleu Ciuc - Foto © Servizio Fotografico - Vatican Media

"Pellegrinare significa sentirsi chiamati e spinti a camminare insieme"

Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Romania (31 maggio – 2 giugno 2019) – Santa Messa nel Santuario di Şumuleu Ciuc

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Questa mattina, il Santo Padre Francesco lasciata la Nunziatura Apostolica e si è trasferito in auto all’Aeroporto Internazionale di Bucarest. Al Suo arrivo è stato accolto dal Sindaco della Città, dal Presidente della Regione e dal Prefetto.
Quindi alle ore 7.40 (6.40 ora di Roma), a bordo di un B737 della TAROM, il Santo Padre è partito alla volta di Târgu Mureș. L’aereo papale è atterrato all’Aeroporto di Târgu Mureș alle 8.20 (7.20 ora di Roma). All’arrivo il Papa è stato accolto dal Sindaco di Târgu Mureș, Sig. Dorin Florea; dal Presidente del Consiglio provinciale di Mureș, Sig. Péter Ferenc e dal Prefetto del Consiglio di Mureș, Sig. Mircea Duşa. Subito dopo, a causa delle condizioni atmosferiche, il Santo Padre si è trasferito in auto al Santuario di Şumuleu Ciuc, dove sarà accolto dall’Arcivescovo di Alba Iulia, Mons. György Mklós Jakubinyi e da autorità locali.
Alle ore 11.30 (10.30 ora di Roma) il Santo Padre presiede la Santa Messa votiva di Maria Madre della Chiesa nel corso della quale pronuncia l’omelia. Al termine della Celebrazione, il Papa dona una rosa d’oro alla Vergine. Quindi, dopo il saluto dell’Arcivescovo di Alba Iulia, S.E. Mons. György Miklós Jakubinyi, e la benedizione finale, Papa Francesco si trasferisce in auto alla Casa Arcidiocesana Jakab Antal Ház dove pranza, accolto dal Direttore e da alcuni collaboratori della Casa. Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre pronuncia nel corso della Santa Messa:
Omelia del Santo Padre
Con gioia e riconoscenza a Dio mi trovo oggi con voi, cari fratelli e sorelle, in questo caro Santuario mariano, ricco di storia e di fede, dove come figli veniamo ad incontrare la nostra Madre e a riconoscerci come fratelli. I santuari, luoghi quasi “sacramentali” di una Chiesa ospedale da campo, custodiscono la memoria del popolo fedele che in mezzo alle sue tribolazioni non si stanca di cercare la fonte d’acqua viva dove rinfrescare la speranza. Sono luoghi di festa e di celebrazione, di lacrime e di suppliche. Veniamo ai piedi della Madre, senza molte parole, a lasciarci guardare da lei e perché con il suo sguardo ci porti a Colui che è «la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6).
Non lo facciamo in un modo qualsiasi, siamo pellegrini. Qui, ogni anno, il sabato di Pentecoste, voi vi recate in pellegrinaggio per onorare il voto dei vostri antenati e per fortificare la fede in Dio e la devozione alla Madonna, raffigurata nella monumentale statua lignea. Questo pellegrinaggio annuale appartiene all’eredità della Transilvania, ma onora insieme le tradizioni religiose rumena e ungherese; vi partecipano anche fedeli di altre confessioni ed è un simbolo di dialogo, unità e fraternità; un appello a recuperare le testimonianze di fede divenuta vita e di vita fattasi speranza. Pellegrinare è sapere che veniamo come popolo alla nostra casa. È sapere che abbiamo coscienza di essere popolo. Un popolo la cui ricchezza sono i suoi mille volti, mille culture, lingue e tradizioni; il santo Popolo fedele di Dio che con Maria va pellegrino cantando la misericordia del Signore. Se a Cana di Galilea Maria ha interceduto presso Gesù affinché compisse il primo miracolo, in ogni santuario veglia e intercede, non solo davanti a suo Figlio, ma anche davanti a ciascuno di noi, perché non ci lasciamo rubare la fraternità dalle voci e dalle ferite che alimentano la divisione e la frammentazione. Le complesse e tristi vicende del passato non vanno dimenticate o negate, ma non possono nemmeno costituire un ostacolo o un argomento per impedire una agognata convivenza fraterna.
Pellegrinare significa sentirsi chiamati e spinti a camminare insieme chiedendo al Signore la grazia di trasformare vecchi e attuali rancori e diffidenze in nuove opportunità per la comunione; significa disancorarsi dalle nostre sicurezze e comodità nella ricerca di una nuova terra che il Signore vuole donarci. Pellegrinare è la sfida a scoprire e trasmettere lo spirito del vivere insieme, di non aver timore di mescolarsi, di incontrarci e aiutarci. Pellegrinare significa partecipare a quella marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, carovana sempre solidale per costruire la storia (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 87). Pellegrinare è guardare non tanto quello che avrebbe potuto essere (e non è stato), ma piuttosto tutto ciò che ci aspetta e non possiamo più rimandare. Significa credere al Signore che viene e che è in mezzo a noi promuovendo e stimolando la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità e di giustizia (cfr ibid., 71). Pellegrinare è l’impegno a lottare perché quelli che ieri erano rimasti indietro diventino i protagonisti del domani, e i protagonisti di oggi non siano lasciati indietro domani. E questo, fratelli e sorelle, richiede il lavoro artigianale di tessere insieme il futuro. Ecco perché siamo qui per dire insieme: Madre, insegnaci ad imbastire il futuro!
Pellegrinare a questo santuario ci fa volgere lo sguardo a Maria e al mistero della elezione di Dio. Lei, una ragazza di Nazaret, piccola località della Galilea, nella periferia dell’impero romano e anche nella periferia di Israele, con il suo “sì” è stata capace di dare il via alla rivoluzione della tenerezza (cfr ibid., 88). Il mistero della elezione da parte di Dio, che pone i suoi occhi sul debole per confondere i forti, ci spinge e incoraggia anche noi a dire “sì”, come lei, come Maria, per percorrere i sentieri della riconciliazione. Fratelli e sorelle, non dimentichiamo: chi rischia, il Signore non lo delude! Camminiamo, e camminiamo insieme, rischiamo, lasciando che sia il Vangelo il lievito capace di impregnare tutto e di donare ai nostri popoli la gioia della salvezza, nell’unità e nella fratellanza.

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ZENIT Staff

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