Ritiro Spirituale per le Autorità Civili ed Ecclesiastiche del Sud Sudan - Foto © Servizio Fotografico - Vatican Media / Dicastero per la Comunicazione

"Non mi stancherò mai di ripetere che la pace è possibile!"

Ritiro Spirituale per le Autorità Civili ed Ecclesiastiche del Sud Sudan – Discorso del Santo Padre

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Alle ore 17 di questo pomeriggio, presso la Domus Sanctae Marthae in Vaticano, ha avuto luogo il momento conclusivo del Ritiro Spirituale con la partecipazione delle Autorità Civili ed Ecclesiastiche del Sud Sudan, che ha avuto inizio ieri, organizzato di comune accordo tra la Segreteria di Stato e l’Ufficio dell’Arcivescovo di Canterbury Sua Grazia Justin Welby. Dopo il discorso, il Santo Padre ha baciato i piedi al Presidente e ai Vice Presidenti designati del Sud Sudan, un segno straordinario per invocare l’impegno dei leader sud sudanesi per la pace. Successivamente, è stata consegnata ai partecipanti una Bibbia firmata dal Santo Padre Francesco, da Sua Grazia Justin Welby e dal Rev.do John Chalmers, già Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, con il messaggio: “Ricerca ciò che unisce. Supera ciò che divide”. Quindi ai Leader del Sud Sudan, che hanno preso il comune impegno per la pace, è stata impartita la benedizione. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha pronunciato a conclusione del Ritiro:
Discorso del Santo Padre
Saluto iniziale
1. Rivolgo il mio saluto cordiale a ciascuno di voi qui presenti, al Signor Presidente della Repubblica, alla Signora e ai Signori Vicepresidenti della futura Presidenza della Repubblica, che ai sensi del Revitalised Agreement on the Resolution of Conflict in South Sudan assumeranno alti incarichi di responsabilità nazionali il 12 maggio prossimo. Saluto fraternamente i membri del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, i quali spiritualmente accompagnano il cammino del gregge affidato loro nelle rispettive comunità. Vi ringrazio per la buona volontà e il cuore aperto con cui avete accolto il mio invito a partecipare a questo ritiro in Vaticano. Un saluto del tutto particolare vorrei indirizzare all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, ideatore di questa iniziativa – è un fratello che va sempre avanti nella riconciliazione –, come pure al già Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, Rev. John Chalmers. Insieme a voi rendo lode a Dio, con cuore riconoscente ed esultante, perché ci ha reso possibile vivere insieme questi due giorni di grazia alla sua santa presenza per invocare e ricevere la sua pace.
Desidero indirizzarmi a voi tutti con le parole del Signore risorto: «Pace a voi!» (Gv 20,19). Questo saluto, al tempo stesso incoraggiante e consolante, Gesù lo ha rivolto nel cenacolo ai suoi discepoli, impauriti e desolati, apparendo ad essi dopo la sua risurrezione. È quanto mai importante per noi ricordare che proprio “pace” è stata la prima parola che la voce del Signore ha pronunciato, il primo dono offerto agli Apostoli dopo la sua dolorosa passione e dopo aver vinto la morte. Anch’io rivolgo lo stesso saluto a voi, che siete venuti da un contesto di grande tribolazione per voi e per il vostro popolo, un popolo molto provato per le conseguenze dei conflitti. Che tali parole risuonino nel cenacolo di questa Casa come quelle del Maestro, in modo che tutti e ciascuno possano ricevere nuova forza per portare avanti il desiderato progresso della vostra giovane Nazione e, come il fuoco della Pentecoste per la giovane comunità dei cristiani, si possa accendere una nuova luce di speranza per tutto il popolo sud sudanese. È pertanto con tutto questo nel mio cuore che vi dico: «Pace a voi!».
La pace è il primo dono che il Signore ci ha portato ed è il primo compito che i capi delle Nazioni devono perseguire: essa è la condizione fondamentale per il rispetto dei diritti di ogni uomo nonché per lo sviluppo integrale dell’intero popolo. Gesù Cristo, che Dio Padre ha inviato nel mondo quale Principe della Pace, ci ha dato il modello da seguire. Egli, passando attraverso il sacrificio e l’obbedienza, ha donato la sua pace al mondo. Per questo, già nel momento della sua nascita il coro degli angeli ha intonato il canto celeste: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14).
Che gioia se tutti i membri del popolo sud sudanese potessero elevare a una sola voce il canto che riecheggia quello angelico: «O Dio, noi ti preghiamo e ti glorifichiamo per la tua grazia in favore del Sud Sudan, Terra di grande abbondanza; sostienici uniti e in armonia» (Prima strofa dell’Inno nazionale del Sud Sudan). E come desidererei che le voci di tutta la famiglia umana potessero associarsi a questo coro celeste per proclamare gloria a Dio e promuovere la pace tra gli uomini! Sguardo di Dio
2. Siamo ben consapevoli che la natura di questo nostro incontro è del tutto particolare e in un certo senso unica, perché qui non si tratta di un consueto e comune incontro bilaterale o diplomatico tra il Papa e i Capi di Stato e nemmeno di una iniziativa ecumenica tra i rappresentanti delle diverse comunità cristiane: si tratta, infatti, di un ritiro spirituale. Già la parola “ritiro” indica un allontanamento volontario da un ambiente o un’attività verso un luogo appartato. E l’aggettivo “spirituale” suggerisce che questo nuovo spazio di esperienza è caratterizzato dal raccoglimento interiore, dalla preghiera fiduciosa, dalla riflessione ponderata e dagli incontri riconcilianti, per poter portare buoni frutti per sé stessi e, di conseguenza, per le comunità alle quali apparteniamo. Lo scopo di questo ritiro è quello di stare insieme davanti a Dio e discernere la sua volontà; è riflettere sulla propria vita e sulla comune missione che ci affida; è rendersi consapevoli dell’enorme corresponsabilità per il presente e per il futuro del popolo sud sudanese; è impegnarsi, rinvigoriti e riconciliati, per la costruzione della vostra Nazione.
Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo che a noi, leader politici e religiosi, Dio ha affidato il compito di essere guide del suo popolo: ci ha affidato molto, e proprio per questo richiederà da noi molto di più! Ci domanderà conto del nostro servizio e della nostra amministrazione, del nostro impegno in favore della pace e del bene compiuto per i membri delle nostre comunità, in particolare i più bisognosi ed emarginati, in altre parole ci chiederà conto della nostra vita ma anche della vita degli altri (cfr Lc 12,48).
Il gemito dei poveri che hanno fame e sete di giustizia ci obbliga in coscienza e ci impegna nel nostro servizio. Essi sono piccoli agli occhi del mondo ma sono preziosi agli occhi di Dio. Quando uso questa espressione “gli occhi di Dio”, penso allo sguardo del Signore Gesù. Ogni ritiro spirituale, come pure il quotidiano esame di coscienza, devono farci sentire con tutto il nostro essere, con tutta la nostra storia, con tutte le nostre virtù ed anche i nostri vizi, di essere di fronte allo sguardo del Signore, l’Unico in grado di vedere in noi la verità e di condurci pienamente ad essa. La Parola di Dio ci dona un bell’esempio di come l’incontro con lo sguardo di Gesù può segnare i momenti più importanti della vita di un suo discepolo. Si tratta dei tre sguardi del Signore sull’apostolo Pietro, che qui vorrei ricordare.
Il primo sguardo di Gesù su Pietro è stato quando suo fratello Andrea lo aveva portato da Lui, indicandoglielo come Messia: Gesù fissa il suo sguardo su Simone e gli dice che d’ora in poi si chiamerà Pietro (cfr Gv 1,41-42). Successivamente gli annuncerà che su questa “pietra” edificherà la sua Chiesa, mostrandogli così di contare su di lui per realizzare il piano di salvezza per il suo popolo. Il primo sguardo, dunque, è lo sguardo dell’elezione che ha suscitato l’entusiasmo per una missione speciale.
Il secondo sguardo avviene nella tarda notte del giovedì santo. Pietro ha rinnegato il suo Signore per la terza volta. Gesù, portato via a forza dalle guardie, fissa di nuovo lo sguardo su di lui, suscitando questa volta in lui un doloroso ma salutare pentimento. L’apostolo scappò via e «pianse amaramente» (Mt 26,75) per aver tradito la vocazione, la fiducia e l’amicizia del Maestro. Il secondo sguardo di Gesù, dunque, ha toccato il cuore di Pietro e ha provocato la sua conversione.
Infine, dopo la risurrezione, sulla riva del lago di Tiberiade, Gesù ha fissato ancora il suo sguardo su Pietro, chiedendogli di dichiarare il suo amore per tre volte e affidandogli di nuovo la missione di pastore del suo gregge, indicandogli anche come questa sua missione sarebbe culminata nel sacrificio della vita (cfr Gv 21,15-19). In un certo senso, possiamo dire che tutti noi siamo stati chiamati alla vita di fede, siamo stati eletti da Dio, ma anche dal popolo, per servirlo fedelmente, e in questo servizio forse abbiamo commesso errori, alcuni più piccoli, altri più grandi. Il Signore Gesù, però, sempre perdona gli sbagli di chi si pente e sempre rinnova la sua fiducia, chiedendo a noi in particolare la totale dedizione alla causa del suo popolo.
Cari fratelli e sorelle, lo sguardo di Gesù si posa anche adesso, qui ed ora, su ciascuno di noi. È molto importante incrociarlo con i nostri occhi interiori, domandandoci: Qual è oggi lo sguardo di Gesù su di me? A che cosa mi chiama? Che cosa il Signore mi vuole perdonare e che cosa nel mio atteggiamento chiede di cambiare? Qual è la mia missione e il compito che Dio mi affida per il bene del suo popolo? Il popolo infatti è suo, non appartiene a noi, anzi, noi stessi siamo membri del popolo, solo che abbiamo una responsabilità e una missione particolare: quella di servirlo. Siamo certi, cari fratelli, che tutti noi siamo sotto lo sguardo di Gesù: Lui ci guarda con amore, ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione. Lui ci mostra grande fiducia, scegliendoci per essere suoi collaboratori nella costruzione di un mondo più giusto. Siamo sicuri che il suo sguardo ci conosce a fondo, ci ama e ci trasforma, ci riconcilia e ci unisce. Il suo sguardo benevolo e misericordioso ci incoraggia a rinunciare alla strada che porta al peccato e alla morte e ci sostiene nel proseguire il cammino della pace e del bene.
Ecco un esercizio che ci fa bene e che si può fare sempre anche a casa: pensare che lo sguardo di Gesù è su di me, su di noi e che sarà proprio questo sguardo pieno d’amore ad accoglierci nell’ultimo giorno della nostra vita terrena. E poi, lo sguardo del popolo
3. Lo sguardo di Dio è in particolar modo posto su di voi ed è uno sguardo che vi offre la pace. Però, anche un altro sguardo è posto su di voi: lo sguardo del nostro popolo, ed è uno sguardo che esprime il desiderio ardente di giustizia, di riconciliazione e di pace. In questo momento desidero assicurare la mia vicinanza spirituale a tutti i vostri connazionali, in particolare ai rifugiati e ai malati, rimasti nel Paese con grandi aspettative e con il fiato sospeso, in attesa dell’esito di questo giorno storico. Sono certo che essi, con grande speranza ed intensa preghiera nei loro cuori, hanno accompagnato questo incontro. E come Noè ha atteso che la colomba gli portasse il rametto d’ulivo per mostrare la fine del diluvio e l’inizio di una nuova era di pace tra Dio e gli uomini (cfr Gen 8,11), così il vostro popolo attende il vostro ritorno in Patria, la riconciliazione di tutti i suoi membri e una nuova era di pace e prosperità per tutti.
I miei pensieri vanno innanzitutto alle persone che hanno perso i loro cari e le loro case, alle famiglie che si sono separate e mai più ritrovate, a tutti i bambini e agli anziani, alle donne e agli uomini che soffrono terribilmente a causa dei conflitti e delle violenze che hanno seminato morte, fame, dolore e pianto. Questo grido dei poveri e dei bisognosi lo abbiamo sentito fortemente, esso penetra i cieli fino al cuore di Dio Padre che vuole dar loro giustizia e donare loro la pace. A queste anime sofferenti penso spesso e imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre, che possano tornare nelle loro case e vivere in serenità. Supplico Dio onnipotente che la pace venga nella vostra terra, e mi rivolgo anche agli uomini di buona volontà affinché la pace venga nel vostro popolo.
Cari fratelli e sorelle, la pace è possibile. Non mi stancherò mai di ripetere che la pace è possibile! Ma questo grande dono di Dio è allo stesso tempo anche un forte impegno degli uomini responsabili verso il popolo. Noi cristiani crediamo e sappiamo che la pace è possibile perché Cristo è risorto e ha vinto il male con il bene, ha assicurato ai suoi discepoli la vittoria della pace su quei complici della guerra che sono la superbia, l’avarizia, la brama di potere, l’interesse egoistico, la menzogna e l’ipocrisia (cfr Omelia nella celebrazione per la pace in Sud Sudan e nella Repubblica Democratica del Congo, 23 novembre 2017).
Auspico per tutti noi che sappiamo accogliere l’altissima vocazione di essere artigiani di pace, in uno spirito di fraternità e solidarietà con ogni membro del nostro popolo, uno spirito nobile, retto, fermo e coraggioso nella ricerca della pace, tramite il dialogo, il negoziato e il perdono. Vi esorto pertanto a cercare ciò che vi unisce, a partire dall’appartenenza allo stesso popolo, e superare tutto ciò che vi divide. La gente è stanca ed esausta ormai per le guerre passate: per favore, ricordatevi che con la guerra si perde tutto! La vostra gente oggi brama un futuro migliore, che passa attraverso la riconciliazione e la pace. Con grande fiducia ho appreso, nel settembre scorso, che i più alti rappresentanti politici del Sud Sudan avevano stipulato un accordo di pace. Perciò, oggi mi congratulo con i firmatari di tale documento, sia con voi qui presenti sia con quelli assenti, senza escludere nessuno; in primo luogo con il Presidente della Repubblica e i capi dei partiti politici, per la scelta della via del dialogo, per la disponibilità al compromesso, per la determinazione di raggiungere la pace, per la prontezza di riconciliarsi e per la volontà di attuare quanto concluso. Auspico di cuore che definitivamente cessino le ostilità, che l’armistizio sia rispettato – per favore, che l’armistizio sia rispettato! –, che le divisioni politiche ed etniche siano superate e che la pace sia duratura, per il bene comune di tutti i cittadini che sognano di cominciare a costruire la Nazione.
È assai prezioso il comune impegno dei fratelli cristiani, dentro le varie iniziative ecumeniche in seno al Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, in favore della riconciliazione e della pace, dei poveri e degli emarginati, a beneficio del progresso dell’intero popolo sud sudanese. Ricordo con gioia e con gratitudine il recente incontro con la Conferenza Episcopale del Sudan e del Sud Sudan in Vaticano, in occasione della visita ad limina Apostolorum. Sono stato colpito dal loro ottimismo, fondato sulla fede viva e manifestato nel loro impegno instancabile, nonché dalle loro preoccupazioni in mezzo alle numerose difficoltà politiche e sociali. A tutti i cristiani del Sud Sudan che, aiutando i più bisognosi, fasciano le ferite del corpo di Gesù, auguro l’abbondanza delle grazie celesti e assicuro il mio ricordo permanente nella preghiera. Possano essere operatori di pace nel popolo sud sudanese, con la preghiera e la testimonianza, con la guida spirituale e l’assistenza umana di ogni suo membro, leader inclusi.
In conclusione, rinnovo a tutti voi, Autorità civili ed ecclesiastiche del Sud Sudan, la mia gratitudine e il mio apprezzamento per la partecipazione a questo ritiro; e a tutto il caro popolo sud sudanese formulo fervidi voti di pace e di prosperità. Che l’abbondanza della grazia e della benedizione di Dio Misericordioso raggiunga il cuore di ogni uomo e di ogni donna in Sud Sudan e porti frutti di pace duratura e rigogliosa, nella stessa maniera come le acque del fiume Nilo, che attraversano il vostro Paese, fanno crescere e fiorire la vita. Infine, confermo il mio desiderio e la mia speranza di potermi recare prossimamente, con la grazia di Dio, nella vostra amata Nazione, insieme ai miei cari fratelli qui presenti, l’Arcivescovo di Canterbury e già Moderatore della Chiesa Presbiteriana.
Preghiera finale
4. Infine, vorrei concludere questa meditazione con una preghiera, rispondendo all’invito dell’apostolo San Paolo: «Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1 Tm 2,1-2).
Padre santo, Dio di infinita bontà, Tu ci chiami a rinnovarci nel tuo Spirito e manifesti la tua onnipotenza soprattutto nella grazia del perdono. Riconosciamo il tuo amore di Padre quando pieghi la durezza dell’uomo e in un mondo lacerato da lotte e discordie lo rendi disponibile alla riconciliazione. Molte volte gli uomini hanno infranto la tua alleanza e Tu, invece di abbandonarli, hai stretto con loro un vincolo nuovo per mezzo di Gesù, tuo Figlio e nostro redentore: un vincolo così saldo che nulla potrà mai spezzarlo.
Ti preghiamo di agire, con la forza dello Spirito, nell’intimo dei cuori, perché i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia. Per tuo dono, o Padre, la ricerca sincera della pace estingua le contese, l’amore vinca l’odio e la vendetta sia disarmata dal perdono, perché affidandoci unicamente alla tua misericordia ritroviamo la via del ritorno a Te, e aprendoci all’azione dello Spirito Santo viviamo in Cristo la vita nuova, nella lode perenne del tuo nome e nel servizio dei fratelli. Amen (cfr Prefazi delle Preghiere Eucaristiche per la Riconciliazione I e II).
Cari fratelli e sorelle, la pace sia con noi e con noi rimanga sempre! E a voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace, chiedo, come fratello: rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore. Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi due, sì. Anche queste avvengano dentro l’ufficio, ma davanti al popolo, con le mani unite. Così, da semplici cittadini diventerete Padri della Nazione. Permettetemi di chiederlo con il cuore, con i miei sentimenti più profondi.

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ZENIT Staff

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