Rito Romano
Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Rito Ambrosiano
V Domenica di Quaresima di Lazzaro
Dt 6,4a;26,5-11; Sal 104; Rm 1,18-23a; Gv 11,1-53
- Amare è perdonare e perdonare è amare.
Grazie al Vangelo di Domenica scorsa, abbiamo contemplato l’abbraccio del Padre misericordioso, che, col suo amore, stringe a sé e riabilita il figlio prodigo che era andato lontano da casa, e aveva sciupato, non solo l’eredità pretesa in anticipo, ma anche la sua dignità d’uomo.
Oggi, contempliamo Gesù che scrive per terra, chinando lo sguardo per non ferire la donna adultera neppure con lo sguardo.
Forse ha scritto sulla polvere i peccati di un’umanità fragile, certamente con il suo gesto ha scritto la legge del perdono sul cuore di una donna assetata di vita, il cui peccato la condannava alla lapidazione.
Se non sbaglio ci sono due momenti in cui nella Bibbia si parla del dito di Dio che scrive. Uno quando sul Monte Sinai questo “dito” scrive i comandamenti sulle tavole di pietra perché li dia agli Ebrei. L’altro è quando sul Monte Sion il dito di Cristo scrive sul pavimento dell’atrio del Tempio.
Come è bello, come è profondo questo gesto di Gesù. Sembra il gesto di un bambino, o di un innamorato sulla sabbia del mare.
Che cosa scrisse Gesù? Nessuno può dirlo con certezza. Tuttavia è possibile dire che Gesù per scrivere si è abbassato ed ha toccato la terra, si è messo a livello della donna. In questo gesto, profondamente semplice, c’è una profonda teologia: Dio nella carne del Figlio è venuto a toccare la nostra terra. Tutto è terreno davanti a Gesù, ma Lui tocca la terra per riportarla nell’orbita del cielo.
Con la mente e il cuore immaginiamoci di essere presenti alla scena descritta nel Vangelo della liturgia romana di oggi. Vediamo Gesù nel tempio al mattino e la gente che va da lui. Lui si siede (il testo greco usa kathizo: gesto del maestro che si siede in cattedra per insegnare) ed ecco che arrivano alcuni scribi e farisei con una donna, gliela buttano ai suoi piedi e gli chiedono “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. I farisei e gli scribi vogliono che le pietre della lapidazione “rimbalzino” dall’adultera a Cristo, che non risponde immediatamente alla domanda che Gli è posta come trappola mortale.
In effetti, se avesse contestato la legge mosaica, per salvare la sua reputazione di uomo buono, mansueto come un agnello (la passione è vicina), avrebbero lapidato anche Lui come anti-Dio.
Se avesse confermato la condanna, avrebbe messo delle pietre tombali sul suo messaggio di misericordia.
Inoltre, se da una parte Gesù non poteva legittimare il peccato, dall’altra –credo- che detestasse l’accanimento degli spietati, l’impudenza dei peccatori che volevano ergersi a giudici dei peccati degli altri.
Cristo non cade nel tranello e risolve il dilemma tra giustizia e condono: Lui perdona. Lui non rinnega la Legge, svela il volto di tenerezza e di misericordia di un Dio che ama il suo popolo perché a sua volta impari ad essere misericordioso. Così fa risplendere ancor di più la vera e lieta notizia del Vangelo che è misericordia, cioè giustizia che ricrea.
Per insegnare la misericordia, Gesù scrive sulla terra, come per indicare che le parole degli accusatori hanno per lui l’inconsistenza della polvere, mentre incide il suo perdono sul cuore dell’adultera e oggi sul nostro cuore che è diventato di carne grazie al dolore del peccato. E, Lui, il solo senza peccato, dice “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”, per dire che chi vuole l’applicazione della legge, deve prima applicarla a se stesso, per ricordare che pure gli accusatori erano peccatori. Quando la donna fu portata da Gesù, Lui chinò gli occhi per non ferire l’adultera neppure con lo sguardo. Dopo averla perdonata, volse i Suoi occhi verso di lei e questa adultera capi che Cristo che Lui vedeva in lei una grandezza ed una dignità che il peccato non può distruggere, e l’interpellò con titolo che usava per Sua madre, Maria: “Donna”, alle nozze di Cana e sulla Croce, segno supremo della misericordia di Dio.
2) Una questione di sguardo.
Per imparare questa misericordia, dobbiamo guardare a Cristo con gli occhi pieni di riconoscenza come certamente fece questa donna peccatrice salvata dallo stupefacente perdono assoluzione del Redentore: “Donna, non ti condanno”. In questo modo anche a ciascuno di noi Gesù dirà: “Va’ in pace e non peccare più”. Gli occhi puri di Cristo e quelli imploranti dell’adultera si sono incrociati. Cristo ha visto in lei la bellezza originaria della sua anima, anche se offuscata dal peccato. La donna, i cui occhi dell’anima erano stati resi puri dal perdono, ha visto il cielo, di cui gli occhi del Salvatore sono le finestre.
Alla luce di questo incontro facciamo nostra la preghiera d’inizio della Messa di oggi, con la quale il Sacerdote prega così: “Signore che rinnovi in Cristo tutte le cose” compresa la nostra miseria, fa’ fiorire “nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia”.
La luce degli occhi di Cristo si rifletterà nei nostri e noi avremmo sguardi puri e grati, come è chiesto alla Vergini consacrate, la cui presenza fa alzare lo sguardo, richiama alla realtà più vera verso la quale tutti siamo incamminati. Le Vergini consacrate si donano a Dio e ci ricordano che è importante avere uno sguardo contemplativo. Con loro e con tutta la Chiesa preghiamo perché anche per noi con gli occhi alzati siamo riempiti di luce e di riconoscenza, che si fa donazione di amore, servizio di amore (RCV n 24, verso la fine della preghiera di consacrazione).
3) L’amore risuscita.
Se il Vangelo scelto dalla liturgia romana di oggi ci fa celebrare l’amore che perdona, quello scelto dalla liturgia ambrosiana ci insegna l’amore che fa risuscitare, proponendoci l’episodio della risurrezione di Lazzaro.
Gesù e Lazzaro si volevano fraternamente bene. Il Messia andava spesso a casa di quest’uomo e delle sue due sorelle, Marta e Maria, e con loro consumava dei pasti, in vera amicizia. Stranamente – dal nostro punto di vista – quando dicono a Gesù che Lazzaro si era ammalato, Lui aspetta un paio di giorni prima di andare a casa dell’amico e quando arriva questi è morto. Le due sorelle del morto rimproverano Gesù, ripetendo una dopo l’altra: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Cristo, più che per il rimprovero, resta addolorato per la poca fede di persone che gli sono care e, piangendo chiede: “Dove l’avete messo?”. Insieme andarono al sepolcro e Gesù, fatta togliere la pietra tombale, richiamò alla vita l’amico.
Per quel che sappiamo dai Vangeli e se non vado errato, tre solamente sono i morti risuscitati da Cristo: il figlio della vedova di Naim, la figlia di Giairo e Lazzaro. E non compie questi tre miracoli non tanto per manifestare la sua potenza e impressionare la gente. Mi pare che Gesù sia mosso unicamente dal dolore straziante di chi amava quei morti: per consolare una madre, un padre e due sorelle. Un’altra osservazione, secondo me, importante: in tutte e tre i casi Gesù parla del morto non come se fosse morto ma soltanto addormentato. Del figlio della vedova, non ha tempo di parlare perché la decisione è troppo immediate. Ma anche a lui dice, come a un ragazzo pigro che resta a letto passata l’ora: “Ragazzo, dico a te: levati!”. Quando gli dicono che la bambina di Giairo è morta è morta, risponde: “Non è morta, ma dorme”. Quando gli confermano la morte di Lazzaro, insiste: “Non è morto, ma dorme”. La Morte per Lui non è che un Sonno. Un sonno più profondo del sonno comune e giornaliero, ma così profondo che soltanto un Amore sovrumano lo rompe. Amore interpellato dall’amore dei sopravvissuti. Amore di uno che piange quando vede il pianto di quelli che ama. Chiamando i morti “dormienti”, ci insegna che la morte con lui non ha più l’ultima parola sulla vita, perché il “sonno” non blocca definitivamente la vita. Ci insegna pure che il Suo Amore unito all’amore di chi soffre è più forte della morte e ridesta i “dormenti”.
La consolante affermazione di San Giovanni della Croce: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” potrebbe essere completata così: “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore e ridestati dall’Amore nel giorno senza fine”. Dunque, con la preghiera, il digiuno e l’elemosina apriamo sempre più gli occhi del cuore per riconoscere quanto può l’Amore, che è Provvidenza per noi e per il mondo intero. Preghiamo più spesso la Madonna e prepariamoci a vivere con lei la Pasqua di Risurrezione di suo Figlio, fratello nostro, Lui che è solo Amore.
4) Le vergini consacrate e l’episodio dell’adultera.
L’insegnamento che per le vergini consacrate viene dal fatto dell’adultera ce lo rende chiaro Sant’Agostino d’Ippona. Questo grande Santo, al termine del suo commento all’episodio dell’adultera, e conclude che le anime, che non hanno commesso i peccati, devono ringraziare il Signore perché, se non li hanno commessi, ciò è avvenuto per un dono della grazia divina. È il celebre testo del II secondo libro delle C, in cui Sant’Agostino scrive chiaramente e: Dio ci rimette anche i peccati che non abbiamo commesso. Rileggere in proposito il De sacra virginitate al n. 4l e 42, perché Agostino in questi capitoli ne discute ampiamente. Egli vuole trovare la ragione per cui le vergini consacrate, stabilendo un paragone tra la loro condotta, irreprensibile sul piano della vita spirituale e cristiana, e la condotta di quelli la cui vita morale non è altrettanto irreprensibile, abbiano un motivo di orgoglio che faccia loro dire: Noi non siamo come loro. Agostino non vuole la simulazione dell’umiltà e dice: La simulazione dell’umiltà è la più grande superbia. Simulazione dell’umiltà vuol dire umiltà a parole, umiltà con occhi bassi e nulla più; spesso è o diventa in realtà maggiore superbia. Le vergini consacrate devono umilmente imitare l’adultera ne dans sa douleur et nel suo abbandono totale a Cristo che da il suo perdono a una donna che ha avuto piena confidenza nella sua immensa misericordia.
Lettura patristica
S. Agostino d’Ippona (354 – 430)
OMELIA 33
La donna adultera.
Il Signore ha condannato il peccato, non l’uomo. Bisogna tenerne conto per non separare, nel Signore, la verità dalla bontà. Il Signore è buono e retto. Amalo perché è buono, temilo perché è retto.
- La vostra Carità ricorda che nel precedente discorso, prendendo spunto dal brano evangelico, vi abbiamo parlato dello Spirito Santo. Il Signore aveva invitato i credenti in lui a bere lo Spirito Santo, parlando in mezzo a coloro che avevano intenzione di prenderlo e volevano ucciderlo, ma non ci riuscivano perché egli ancora non voleva. Appena ebbe detto queste cose, nacque tra la folla un forte dissenso intorno a lui. Alcuni sostenevano che egli era il Cristo, mentre altri facevano osservare che il Cristo non poteva venire dalla Galilea. Coloro poi che erano stati mandati ad arrestarlo, ritornarono con le mani pulite e pieni di ammirazione per lui. Resero, anzi, testimonianza alla sua divina dottrina, quando alla domanda di quelli che li avevano mandati: Perché non lo avete condotto?, essi risposero: Nessun uomo ha mai parlato come parla costui. Egli infatti aveva parlato così perché era Dio e uomo. Tuttavia i farisei, rifiutando la testimonianza delle guardie, replicarono: Anche voi siete stati sedotti? Vediamo infatti che vi siete deliziati dei suoi discorsi. C’è forse alcuno dei capi o dei farisei che gli abbia creduto? Ma questa gentaglia, che non conosce la legge, è maledetta! (Gv 7, 45-49). Quelli che non conoscevano la legge, credevano in colui che aveva dato la legge; egli invece veniva disprezzato da quelli che insegnavano la legge, affinché si adempisse ciò che il Signore stesso aveva detto: Io sono venuto perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9, 39). Ciechi infatti son diventati i dottori farisei, mentre sono stati illuminati i popoli che non conoscevano la legge, ma che hanno creduto nell’autore della legge.
- Tuttavia uno dei farisei, Nicodemo – quello che si era recato da Gesù di notte, e che probabilmente non era incredulo ma soltanto timido, e perciò si era avvicinato alla luce di notte, perché voleva essere illuminato pur avendo paura di essere riconosciuto -, rispose ai Giudei: La nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa? Perversi com’erano, volevano condannarlo prima di conoscerlo. Nicodemo infatti sapeva, o almeno era persuaso, che se essi avessero avuto soltanto la pazienza di ascoltarlo, probabilmente avrebbero fatto come quelli che, mandati per arrestarlo, avevano preferito credere in lui. Gli risposero, seguendo i pregiudizi del loro animo: Saresti anche tu galileo? Cioè, anche tu sei stato sedotto dal Galileo? Il Signore infatti era chiamato Galileo, perché i suoi genitori erano di Nazaret. Ho detto genitori riferendomi a Maria, non al padre: Gesù ha cercato in terra solo una madre, poiché aveva già in cielo il Padre. La sua nascita infatti fu mirabile in ambedue i sensi: divina senza madre e umana senza padre. E cosa dissero quei sedicenti dottori della legge a Nicodemo? Studia le Scritture, e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea. Ma il Signore dei profeti era sorto proprio dalla Galilea. E ciascuno – nota l’evangelista – tornò a casa sua (Gv 7, 50-53).
- Gesù, poi, se ne andò al monte degli Ulivi, al monte dei frutti, al monte dell’olio, al monte dell’unzione. Poteva trovare, il Cristo, per insegnare, luogo più adatto del monte degli Ulivi? Il nome Cristo infatti viene dalla parola greca chrisma, che tradotto significa “unzione”. Egli infatti ci ha unti per fare di noi dei lottatori contro il diavolo. All’alba, però, era di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, seduto, insegnava ad essi (Gv 8, 1-2). E nessuno poteva prenderlo perché non era ancora giunta l’ora della sua passione.
- Osservate ora fino a che punto i suoi nemici misero alla prova la mansuetudine del Signore. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidarle queste tali. Tu che cosa dici? Questo dicevano per metterlo alla prova, onde avere di che accusarlo (Gv 8, 3-6). Accusarlo di che? Forse che avevano sorpreso pure lui in qualche delitto, oppure si poteva dire che quella donna aveva avuto a che fare con lui? In che senso allora essi volevano metterlo alla prova, per avere di che accusarlo? Abbiamo modo di ammirare, o fratelli, la straordinaria mansuetudine del Signore. Anche i suoi avversari fecero esperienza della sua grande mitezza, della sua mirabile mansuetudine, secondo quanto di lui era stato predetto: Cingiti la spada al fianco, potentissimo; e maestoso t’avanza, cavalca, per la causa della verità e della mansuetudine e della giustizia (Sal 44, 4-5). Egli ci ha apportato la verità come dottore, la mansuetudine come liberatore, la giustizia come giudice. Per questo il profeta aveva predetto che il suo regno sarebbe stato totalmente sotto l’influsso dello Spirito Santo. Quando parlava, trionfava la verità; quando non reagiva agli attacchi dei nemici, risaltava la mansuetudine. E siccome i suoi nemici, per invidia e per rabbia, non riuscivano a perdonargli né la verità né la mansuetudine, inscenarono uno scandalo per la terza cosa, cioè per la giustizia. Che cosa fecero? Siccome la legge ordinava che gli adulteri fossero lapidati, e ovviamente la legge non poteva ordinare una cosa ingiusta, chiunque sostenesse una cosa diversa da ciò che la legge ordinava, si doveva considerare ingiusto. Si dissero dunque: Egli si è considerato amico della verità e passa per mansueto; dobbiamo imbastirgli uno scandalo sulla giustizia; presentiamogli una donna sorpresa in adulterio, ricordiamogli cosa stabilisce in simili casi la legge. Se egli ordinerà che venga lapidata, non darà prova di mansuetudine; se deciderà che venga rilasciata, non salverà la giustizia. Ma per non smentire la fama di mansuetudine che si è creata in mezzo al popolo, certamente – essi pensavano – dirà che dobbiamo lasciarla andare. Così noi avremo di che accusarlo, e, dichiarandolo colpevole di aver violato la legge, potremo dirgli: sei nemico della legge, devi rispondere di fronte a Mosè, anzi, di fronte a colui che per mezzo di Mosè ci ha dato la legge; sei reo di morte e devi essere lapidato anche tu assieme a quella. Con tali parole e proposito, s’infiammava l’invidia, ardeva il desiderio di accusarlo, si eccitava la voglia di condannarlo. Ma tutto questo contro chi? Era la perversità che tramava contro la rettitudine, la falsità contro la verità, il cuore corrotto contro il cuore retto, la stoltezza contro la sapienza. Ma come gli avrebbero potuto preparare dei lacci in cui non sarebbero essi stessi caduti per primi? Il Signore, infatti, risponde in modo tale da salvare la giustizia senza smentire la mansuetudine. Non cade nella trappola che gli è stata tesa, ci cadono invece quegli stessi che l’hanno tesa: gli è che non credevano in colui che li avrebbe potuti liberare da ogni laccio.
- Cosa rispose dunque il Signore Gesù? Cosa rispose la verità? Cosa rispose la sapienza? Cosa rispose la stessa giustizia contro la quale era diretta la calunnia? Non disse: Non sia lapidata! Si sarebbe messo contro la legge. Ma si guarda bene anche dal dire: Sia lapidata! Egli era venuto, non a perdere ciò che aveva trovato, ma a cercare ciò che era perduto (cf. Lc 19, 10). Cosa rispose dunque? Guardate che risposta piena di giustizia, e insieme piena di mansuetudine e di verità! Chi di voi è senza peccato – dice – scagli per primo una pietra contro di lei (Gv 8, 7). O risposta della Sapienza! Come li costrinse a rientrare subito in se stessi! Essi stavano fuori intenti a calunniare gli altri, invece di scrutare profondamente se stessi. Si interessavano dell’adultera, e intanto perdevano di vista se stessi. Prevaricatori della legge, esigevano l’osservanza della legge ricorrendo alla calunnia, non sinceramente, come fa chi condanna l’adulterio con l’esempio della castità. Avete sentito, o Giudei, avete sentito, farisei e voi, dottori della legge, avete sentito tutti la risposta del custode della legge, ma non avete ancora capito che egli è il legislatore. Che altro vuol farvi capire, scrivendo in terra col dito? La legge, infatti, fu scritta col dito di Dio, e fu scritta sulla pietra per significare la durezza dei loro cuori (cf. Es 31, 18). Ed ora il Signore scriveva in terra, perché cercava il frutto. Avete dunque sentito il verdetto? Ebbene, si applichi la legge, si lapidi l’adultera! E’ giusto, però, che la legge della lapidazione venga eseguita da chi dev’essere a sua volta colpito? Ciascuno di voi esamini se stesso, rientri in se stesso, si presenti al tribunale della sua anima, si costituisca davanti alla propria coscienza, costringa se stesso alla confessione. Egli sa chi è, poiché nessun uomo conosce le cose proprie dell’uomo, fuorché lo spirito dell’uomo che è in lui (cf 1 Cor 2, 11). Ciascuno, rivolgendo in sé lo sguardo, si scopre peccatore. Proprio così. Quindi, o voi lasciate andare questa donna, o insieme con lei subite la pena della legge. Se dicesse: Non lapidate l’adultera! verrebbe accusato come ingiusto; se dicesse: Lapidatela! non si mostrerebbe mansueto. Ascoltiamo la sentenza di colui che è mansueto ed è giusto: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei. Questa è la voce della giustizia: Si punisca la peccatrice, ma non ad opera dei peccatori; si adempia la legge, ma non ad opera dei prevaricatori della legge. Decisamente, questa è la voce della giustizia. E quelli, colpiti da essa come da una freccia poderosa, guardandosi e trovandosi colpevoli, uno dopo l’altro, tutti si ritirarono (Gv 8, 9). Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia. E il Signore, dopo averli colpiti con la freccia della giustizia, non si fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo da essi, si rimise a scrivere in terra col dito (Gv 8, 8).
- Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati. Gesù levò gli occhi verso di lei. Abbiamo sentito la voce della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine. Credo che più degli altri fosse rimasta colpita e atterrita da quelle parole che aveva sentito dal Signore: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei. Quelli, badando ai fatti loro e con la loro stessa partenza confessandosi rei, avevano abbandonato la donna col suo grande peccato a colui che era senza peccato. E poiché essa aveva sentito quelle parole: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei, si aspettava di essere colpita da colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari di lei con la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese: Nessuno ti ha condannato? Ella rispose: Nessuno, Signore. Ed egli: Neppure io ti condanno, neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun peccato. Neppure io ti condanno. Come, Signore? Tu favorisci dunque il peccato? Assolutamente no. Ascoltate ciò che segue: Va’ e d’ora innanzi non peccare più (Gv 8, 10-11). Il Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l’uomo. Poiché se egli fosse fautore del peccato, direbbe: neppure io ti condanno; va’, vivi come ti pare, sulla mia assoluzione potrai sempre contare; qualunque sia il tuo peccato, io ti libererò da ogni pena della geenna e dalle torture dell’inferno. Ma non disse così.
- Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e temano la verità. Infatti dolce e retto è il Signore (Sal 24, 8). Se lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In quanto è mansueto dice: Ho taciuto; ma in quanto è giusto aggiunge: Forse che sempre tacerò? (Is 42, 14 sec. LXX). Il Signore è misericordioso e benigno. Certamente. Aggiungi: longanime, e ancora: molto misericordioso, ma tieni conto anche di ciò che è detto alla fine del testo scritturale, cioè verace (Sal 85, 15). Allora infatti giudicherà quanti l’avranno disprezzato, egli che adesso sopporta i peccatori. Forse che disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza, della sua longanimità, non comprendendo che questa bontà di Dio ti spinge solo al pentimento? Con la tua ostinatezza e con il tuo cuore impenitente accumuli sul tuo capo l’ira per il giorno dell’ira, quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere (Rm 2, 4-6). Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti; ma tu fai assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi sii buono. Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia. Tu invece rimandi sempre e ti riprometti moltissimo dalla misericordia di Dio, come se colui che ti ha promesso il perdono in cambio del pentimento, ti avesse anche promesso una vita molto lunga. Che ne sai cosa ti porterà il domani? Giustamente dici in cuor tuo: quando mi correggerò, Dio mi perdonerà tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il perdono a chi si corregge e si converte; è vero, puoi citarmi una profezia secondo cui Dio ha promesso il perdono a chi si corregge; non puoi, però, citarmi una profezia secondo cui Dio ti ha promesso una vita lunga.
- Gli uomini corrono due pericoli contrari, ai quali corrispondono due opposti sentimenti: quello della speranza e quello della disperazione. Chi è che s’inganna sperando? chi dice: Dio è buono e misericordioso, perciò posso fare ciò che mi pare e piace, posso lasciare le briglie sciolte alle mie cupidigie, posso soddisfare tutti i miei desideri; e questo perché? perché Dio è misericordioso, buono e mansueto. Costoro sono in pericolo per abuso di speranza. Per disperazione, invece, sono in pericolo quelli che essendo caduti in gravi peccati, pensano che non potranno più essere perdonati anche se pentiti, e, considerandosi ormai destinati alla dannazione, dicono tra sé: ormai siamo dannati, perché non facciamo quel che ci pare? E’ la psicologia dei gladiatori destinati alla morte. Ecco perché i disperati sono pericolosi: non hanno più niente da perdere, e perciò debbono essere vigilati. La disperazione li uccide, così come la presunzione uccide gli altri. L’animo fluttua tra la presunzione e la disperazione. Devi temere di essere ucciso dalla presunzione: devi temere, cioè, che contando unicamente sulla misericordia di Dio, tu non abbia ad incorrere nella condanna; altrettanto devi temere che non ti uccida la disperazione; che temendo, cioè, di non poter ottenere il perdono delle gravi colpe commesse, non ti penti e così incorri nel giudizio della Sapienza che dice: anch’io, a mia volta, godrò della vostra sventura (Prv 1, 26). Come si comporta il Signore con quelli che sono minacciati dall’uno o dall’altro male? A quanti rischiano di cadere nella falsa speranza dice: Non tardare a convertirti al Signore, né differire di giorno in giorno; perché d’un tratto scoppia la collera di lui, e nel giorno del castigo tu sei spacciato (Sir 5, 8-9). A quanti sono tentati di cadere nella disperazione cosa dice? In qualunque momento l’iniquo si convertirà, dimenticherò tutte le sue iniquità (cf. Ez 18, 21-22 27). A coloro dunque che sono in pericolo per disperazione, egli offre il porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla falsa speranza e si illudono con i rinvii, rende incerto il giorno della morte. Tu non sai quale sarà l’ultimo giorno; sei un ingrato; perché non utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti? E’ in questo senso che il Signore dice alla donna: Neppure io ti condanno: non preoccuparti del passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso.***
Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.