Rito romano
Is 40,1-5.9-11; Sal 103; Tt 2,11-14; 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22.
Rito ambrosiano
Is 55, 4-7; Sal 29 (28), 1-3a. 3c-4. 3b. 9c-10; Ef 2, 13-22; Lc 3, 15-16.21-22
1) Ancora un’epifania.
Il giorno di Natale e il 6 gennaio, abbiamo accolto la manifestazione (=epifania) di Gesù ai pastori e ai saggi Re Magi, che erano andati da Lui, Lo avevano riconosciuto e adorato, mettendosi in ginocchio e offrendo doni.
I pastori – penso – Gli portarono in omaggio bianchi doni: latte, formaggio, lana e, perché no, un agnello per onorare il bianco Splendore di Dio. Doni poveri? Un dono è sempre di grande valore, se donato con gioia e amore. L’amore non si misura da quanto diamo, ma da quanto amore mettiamo nel dono.
Anche i Magi seguirono questa “legge del dono” (Madre Teresa di Calcutta) e mostrarono il loro amore rispettoso offrendo dell’oro al bambino Gesù onorato quale vero Re dei Re, Gli presentarono dell’incenso, perché in Lui riconobbero il vero Dio. Infine, riconoscendo in Gesù Cristo il vero Uomo Gli donarono la mirra, strano regalo per un bambino perché la mirra si usava per i morti: drammatica profezia del destino di un neonato venuto al mondo per donare la sua vita, totalmente. Dio è nato per donarsi a noi. Con un bambino, con questo Bambino ci è donata l’Eternità, la cui porta è aperta dalla Croce.
Oggi, la liturgia ci propone di celebrare il modo con cui Dio stesso vive la “legge del dono”, convalidando con la sua divina testimonianza quella dei pastori e dei Magi. Così ci è concesso di assistere ad un’altra epifania (=manifestazione) di Gesù, Pace inviata, donata e presente, mentre per secoli era stata promessa, differita, profetizzata. Dio manifesta la sua pace nell’umanità di Gesù, ricolma di grazia e di misericordia.
La manifestazione celebrata oggi ci spinge a contemplare e fare nostre almeno tre cose:
- l’umiltà di Cristo, Uomo-Dio, che va da un uomo a farsi battezzare, in segno di penitenza e conversione. Lui è l’Agnello innocente, che umilmente porta il peccato del mondo. Con l’incarnazione il Figlio di Dio, che è infinita potenza, che è la grandezza assoluta, diviene umile impotenza: è un bambino. Ma nel Battesimo Gesù scende ancora più in basso: si costituisce quasi peccatore, Egli entra nell’acqua presentandosi come peccatore pubblico, come penitente. Egli ci ama d’amore infinito e non esita a scendere nel fondo più abissale della nostra povertà, della nostra umiliazione, del nostro peccato.
- La solidarietà di Cristo, che pur essendo senza nessun peccato si mette in fila con i suoi fratelli uomini peccatori per condividere la loro sofferenza e portare il loro male. Lui prende su di sé anche il castigo di ogni peccato per far vivere l’uomo della Sua vita, della Sua santità. Nulla mostra maggiormente la misericordia divina che l’aver Egli assunto la nostra stessa miseria. E questa misericordia non è una debolezza, ma una passione d’amore che ricrea.
- La testimonianza di Dio Padre, che apre il cielo del Suo Cuore e manda il Suo Spirito dolce, soave come una colomba e dice: “Questo è il mio Figlio, l’Amato, ascoltatelo”. Ora gli uomini non hanno scuse per non credere: Dio si fa udire e la Sua testimonianza è davvero credibile. I Vangeli ci narrano di due volte, in cui il Padre riconosce Gesù come Suo Figlio: nel Battesimo e durante la Trasfigurazione. Alla testimonianza Paterna legata alla Battesimo di Gesù assistettero Giovanni il Battista e la folla, che vide Gesù discendere nell’acqua in mezzo a tutti i peccatori, come uno di loro. Questa folla vide aprirsi i cieli, ascoltò le parole pronunciate dal Padre per indicare il Figlio prediletto e fu educata a riconoscere la grandezza di Dio e la Sua suprema umiltà che si spoglia di tutto: Gesù è l’umiltà che vuol mettersi al di sotto di noi per poterci portare al Padre.
2) Tutta la vita di Cristo è una epifania di paradiso.
Nel Battesimo al Giordano troviamo in germe l’intera vita di Gesù, che porta il Cielo sulla Terra. Allo stesso modo nel nostro battesimo c’è il germe di tutta la nostra esistenza cristiana, che è una esistenza da Paradiso.
Mi spiego: Cristo, facendosi solidale con noi, ci ha resi uno con Lui: tutti gli essere umani vivono nel Figlio. A noi figli nel Figlio il Padre si comunica, a noi dona il suo Spirito. E se lo Spirito di Dio è in noi, il Paradiso è qui, è aperto per noi e per tutta l’umanità. Origene affermò ancora di più e scrisse: “Vedendo il Figlio, riposando in noi la compiacenza del Padre che ci ama nell’Amato, noi siamo il Paradiso di Dio”.
Quindi, il battesimo – quello di Gesù e il nostro – implica una missione di paradiso. Una missione da svolgere, come dice il profeta Isaia (cfr I lettura della Messa), nella fermezza: «Proclamerà il diritto con fermezza», e nella dolcezza: «Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta». Una missione che non percorre le vie della violenza superba, ma quelle della delicatezza umile: «Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce». Una missione che dà speranza e salvezza agli infelici: «Perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri». Una missione, infine, universale: i suoi confini sono la «terra», «le nazioni», «le isole lontane».
Il Figlio di Dio è entrato nel mondo non per starsene nascosto, ma anzi proprio per farsi conoscere e amare, per costruire il mondo nuovo e salvare l’uomo. Anche quando noi diventiamo cattivi, Cristo rimane buono e perdona le nostre cattiverie. Lui non vuole distruggere, lui ama ricostruire. Egli è venuto su questa terra per aprire in terra il Paradiso con la sua bontà onnipotente e inesauribile.
Salvare l’uomo per Cristo vuol dire liberarlo dal peccato e dalle violente miserie che ne derivano. Vuol dire saldarlo in una comunione con Lui e con gli altri uomini così che il prossimo diviene fratello e sorella: questa è una vita da paradiso. Vuol dire fare nostre e condividere con gli altri le parole del buon ladrone: “Signore ricordati di me nel tuo Regno” ed accogliere la risposta di Cristo che disse: “Oggi sarai con me in Paradiso” cioè “D’ora in poi sarai sempre con me”.
Non dobbiamo dimenticare che questa salvezza non riguarda solo la fine e l’al di là della storia: la lavora dall’interno, le dà un senso. La vita eterna è già cominciata e germoglia sulla terra.
Il Regno di Dio è in cantiere nel cuore degli uomini indaffarati a costruire la loro città. I cristiani non sono migliori degli altri, ma sono consapevoli di essere peccatori rendenti, che annunciano al mondo che Gesù è il Signore. I cristiani in forza del battesimo sono chiamati ad essere il sale che deve salare la terra, la luce che illumina il mondo, portando la gioia del Paradiso.
Il cristiano non fugge dal mondo, “lavora” per metterlo sempre più nelle mani di Dio, per partecipare, con il cuore e con l’azione, alla gestazione del mondo nuovo, dove tutti avremo stabile e felice dimora.
3) Un’epifania femminile
Tutti siamo chiamati a questo “lavoro” che realizza sempre di più l’epifania di Dio nel mondo. Credo, tuttavia, di non sbagliare se affermo che le vergini consacrate sono chiamate a vivere questa epifania secondo la loro femminilità.
Incontrandole il 2 giugno 1995, Santo Giovanni Paolo II disse loro: “Carissime Sorelle, Maria è vostra madre, sorella, maestra. Imparate da lei a compiere la volontà di Dio e ad accogliere il suo progetto salvifico; a custodirne la parola e a confrontare con essa gli accadimenti della vita; a cantare le sue lodi per le “grandi opere” in favore dell’umanità; a condividere il mistero del dolore; a portare Cristo agli uomini e a intercedere per chi è nel bisogno.
Siate con Maria là, nella sala delle nozze dove si fa festa e Cristo si manifesta ai suoi discepoli come Sposo messianico; siate con Maria presso la Croce, dove Cristo offre la vita per la Chiesa; restate con lei presso il Cenacolo, la casa dello Spirito, che si effonde come divino Amore nella Chiesa Sposa.” (Giovanni Paolo II, Discorso alle Partecipanti al Convegno internazionale dell’ ORDO VIRGINUM nel 25 anniversario della promulgazione del Rito, 2 giugno 1995, n. 8).
Dunque, sempre e particolarmente nel contesto attuale, credo sia molto importante la presenza della vergine consacrata proprio come donna. Ovunque si trovi a vivere, lavorare, studiare, parlare, servire, pregare, con il suo modo di essere testimonia la nuzialità della sua esistenza donata e capace di abbracciare Cristo nella sua totalità, cantando le lodi dello Sposo e allargando il cuore a ogni figlio fino a sentirsi «corpo» della Chiesa, diventando epifania dello Sposo mediante il dono sincero e totale di se stessa.
Lettura Patristica
San Gregorio Nazianzeno, vescovo
Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20
PG 36, 350-351. 354. 358-359
Il battesimo di Gesù
Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria.
Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell’acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne santifica nello Spirito e nell’acqua.
Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste.
«Sono io che devo ricevere da te il battesimo» (Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole, la voce alla Parola, l’amico allo Sposo, colui che è il più grande tra i nati di donna a colui che è il primogenito di ogni creatura, colui che nel ventre della madre sussultò di gioia a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, ricevette la sua adorazione, colui che precorreva e che avrebbe ancora precorso, a colui che era già apparso e sarebbe nuovamente apparso a suo tempo.
«Io devo ricevere il battesimo da te» e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.
Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante.
E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza.
Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio.
Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa.
Purificatevi totalmente e progredite in questa purezza. Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell’uomo. Per l’uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione.
Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.