Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Meditazione di Mons. Follo

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – Solennità di Cristo Re dell’Universo

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Rito Romano
XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B – Solennità di Cristo Re dell’Universo
1Dn 7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8; Gv 18,33-37
 
Rito Ambrosiano
II Domenica di Avvento
Is 19,18-24; Sal 86; Ef 3,8-13; Mc 1,1-8
Popoli tutti, lodate il Signore!
 
1) Re non dell’altro mondo, ma del mondo vero.
Gesù non è solo Re di un regno diverso, è un Re diverso, che ha come scopo di servire la verità della carità, che rende liberi. Infatti l’esercizio della sua regalità non ci schiavizza, non ci rende suoi sudditi al modo umano, ma piuttosto ci innalza a Sé, ci fa partecipi della sua medesima vita. “La Regalità di Cristo è il contrario dell’esercizio del potere, E’ servizio, è dono di sé fino alla morte” (Maurice Zundel) per donarci la vita.
Nel vangelo di oggi Cristo a Ponzio Pilato che gli chiede se Lui è re, risponde: «Io sono re: per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità». Dunque, la regalità di Cristo è completamente sottomessa alle esigenze della verità, parola che nel linguaggio dell’evangelista Giovanni indica la verità di Dio, il suo amore per l’uomo, la sua tenerezza per ogni uomo.
Nel suo breve e serrato dibattito con Pilato, Gesù afferma un’altra cosa importante: «Chiunque è dalla parte della verità, ascolta la mia voce». Per comprendere la regalità di Gesù e per partecipare al suo Regno (e potremmo aggiungere per correttamente annunciare e festeggiare questa regalità) occorre aver scelto la verità.
Ma che cos’è la Verità? E’ Cristo!
Gesù Cristo è l’unico uomo che nella storia umana abbia detto: « Io sono la verità » (Gv 14,6). E a tutti noi affamati della verità su Dio, sull’uomo e su mondo, Cristo si offre come Parola di verità, pronunciata da Dio stesso, come risposta a tutti gli interrogativi del cuore umano.
Come Parola che non solo ha creato il mondo ma che lo regge: ne è il Re, un Re da conoscere non solo con la ragione ma con il cuore. Ben a ragione Sant’Agostino scriveva: “Non si entra nella verità se non attraverso la carità”.
Cristo è testimone regale della verità, perché regge l’uomo e il mondo in modo autentico. Non lo domina, non lo governa con lo scettro e il trono, o meglio il suo trono è la Croce, vero segno di amore infinito, e il suo scettro non è un bastone di comando ma sempre la Croce che diventa un “pastorale”, mediante il quale guida le sue “pecorelle” e le corregge (reggere con) non perché le punisce, ma perché le mette sulle sue spalle (=le regge con e sulle sue spalle).
Questo è il suo modo di regnare, che è spiegato anche da questo esempio: Nell’atrio di una clinica di Maternità a Monaco di Baviera sul muro c’è scritto a caratteri cubitali: “La mano che muove una culla muovo il mondo intero”. Ognuno di noi è una “simbolica culla” e Cristo si è assunto il “materno” compito di muoverla con le sue mani “regali”, perché con il ritmo lento del tempo, noi diventiamo adulti in Lui.
Per imparare da lui a reggere e servire il mondo in questo modo, preghiamo spesso il Salmo 84 (85), che vv 11 e 12 dice: “Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La Verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” ed avremo così un mondo vero. Un mondo nuovo, in cui l’amore di Dio e la sua fedeltà si manifestano, dove la verità germoglia in una rinnovata primavera e la giustizia si affaccia dal cielo per iniziare il suo cammino in mezzo all’umanità.
La regalità di Cristo è sorgente di misericordia, fa sbocciare la verità fa fiorire la giustizia e risplendere la pace. Sant’Agostino scrive: “ ‘La verità è sorta dalla terra’: Cristo, il quale ha detto: ‘Io sono la verità’ (Gv 14,6), è nato da una vergine. ‘E la giustizia si è affacciata dal cielo’: chi crede in colui che è nato non si giustifica da se stesso , ma viene giustificato da Dio. ‘La verità è sorta dalla terra’ poiché il ‘Verbo si è fatto carne’ (Gv 1, 14). “E la giustizia si è affacciata dal Cielo’: perché ‘ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto discendono dall’alto’ (Gc 1,17). ‘La verità è sorta dalla terra’, cioè ha preso un corpo da Maria” (S. Agostino, Discorsi, 185,2).
 
2) Testimone della verità.
Salendo in Croce e morendovi, Cristo non è stato sconfitto dal mondo. L’ha conquistato con il suo amore. Egli ha introdotto nel mondo un Regno vero: la Signoria caritatevole di Dio. Nei cuori degli uomini. L’amore divino, grazie a Cristo, è diventato di casa sulla terra. Nei cuori dei poveri, dei bambini, dei misericordiosi, nei cuori puri: nei santi, quelli che sono stati canonizzati e quelli che solo il cuore di Dio conosce. Tutti questi, e noi con loro, formiamo un Regno di cui si vedono almeno dei pezzetti. E tutti capiscono che questi “santi” non vogliono conquistare il mondo per usarlo avidamente, e non si organizzano per costruire una potenza mondiale. Essi voglio fare regnare l’amore di Dio vero nel e sul mondo.
Si potrebbe obiettare che questo messaggio di Dio sia astratto che l’uomo non può capirlo, che la Presenza regale di Cristo sia poco concreta. Ma nel Vangelo di oggi Gesù ridice: “Io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità, e chiunque che è dalla verità ascolta la mia voce”. Chiunque cioè tutti e non solo chi ha studiato il catechismo o ha ascoltato prediche e conferenze o fatto teologia. Cristo Re si fa ascoltare e capire da tutti, parlando dalla Croce parole di perdono.
Ognuno può ascoltare questa voce di verità, che afferma che solo l’amore può dare senso alla vita. E noi cristiani non abbiamo il monopolio di questa verità abbiamo il compito di continuare a portare nel mondo, esplicitamente e consapevolmente, la testimonianza di questa verità che si fa perdono.
Per essere come Cristo testimoni della verità, recitiamo spesso il “Padre nostro”, chiedendo intensamente che “venga il Regno” di Dio: se la sua Signoria si afferma non solo in cielo ma anche sulla terra il cuore di Dio pulserà in mezzo a questo mondo senza cuore.
Segno di riconoscimento della Regalità di Cristo e di dedizione al Cuore di Dio è il velo che le Vergini consacrate ricevono nel giorno della loro consacrazione. Il velo è simbolo di intimità, velo è simbolo di verginità, è simbolo di consacrazione. E quando le Vergini lo ricevono il Vescovo dice: “Care figlie, ricevete questo velo, segno della vostra consacrazione; non dimenticate mai che siete votate al servizio del Cristo e del suo corpo, che è la chiesa” (RCV, 25). Questo servizio è testimonianza di verità, che si propone al mondo come dono di sé. Nel mito pagano di Atlante, questo gigante sostiene il mondo sulle sue spalle, ma lo fa controvoglia, perché è una punizione della sua ribellione contro Giove. Al contrario Cristo vuole andare in Croce, in obbedienza amorosa al Padre e con la Croce sostiene il mondo, amandolo, manifestando l’amore infinito e tenero di Dio per l’umanità intera.
La Croce di Cristo è il punto fermo, in mezzo ai mutamenti e agli sconvolgimenti del mondo. La vita del cristiano partecipa della stabilità della Croce, che è quella di Dio, del suo amore fedele. Rimanendo saldamente uniti a Cristo, come tralci alla Vite, anche noi, siamo associati al suo mistero di salvezza, come la Vergine Maria, che presso la Croce stava unita al Figlio nella stessa oblazione d’amore, che oggi regna.
 
3) Convertirsi a questo amore.
La seconda domenica di Avvento ambrosiano ci invita ad essere figli del Regno, convertendoci a questo amore vero. Il peccato dell’uomo è che pensa di essere vero senza Dio e si vive soffocando il cuore. La conversione per vivere l’avvento è ritornare all’amore del Padre, domandando perdono e lasciandoci amare dall’amore esigente di Dio.
Convertiamoci perché così potremo essere fra quelli a cui Cristo Gesù dirà: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (MT 25,34).
 
 
 
 
Nota sul velo
 
La simbologia del velo ha origini antiche e viene adoperata nell’arte cristiana anche per mettere in risalto gli insegnamenti dogmatici. Il velo è simbolo del cielo – rammentiamo la tenda del tempio tessuta, secondo gli apocrifi, da Maria, che si strappa nel momento della morte di Gesù (Mt 27, 51 ; Mc 15, 38, Lc 23, 45) e questo “aprirsi” del velo significa che la morte di Cristo apre la via verso il Santo dei Santi, verso la Gerusalemme celeste per tutti gli uomini.
Il simbolismo del velo è strettamente legato al culto mariano: il fedele entra nel Regno di Dio, «attraverso il velo, cioè la carne di Cristo», come scrive San Paolo (Eb 10, 20), e fu Maria, sua Madre, in cui il Verbo si fece carne.
 
Etimologia di Re:
 
dal verbo latino régere: reggere, governare, dominare, dunque la persona che regge, governa, domina.
 
 
 
 
Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona (350 – 430)
Comment. in Ioan., 115, 1-3
Gesù Re e Pilato
In questo discorso dobbiamo esaminare e spiegare che cosa disse Pilato a Cristo, e cosa egli rispose a Pilato.
Dopo aver detto ai giudei: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge», e dopo che essi gli ebbero risposto: «Non è permesso a noi dare la morte ad alcuno», “Pilato rientrò nel pretorio, e chiamò Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei giudei?». Rispose Gesù: «Da te lo dici, ovvero altri te l’hanno detto di me?»” (Jn 18,33-34). Il Signore sapeva bene quel che chiedeva a Pilato, come pure sapeva cosa egli gli avrebbe risposto; tuttavia, volle che fosse detto ciò, non per sapere quanto già sapeva, ma perché fosse scritto quanto voleva che giungesse a nostra conoscenza. “Rispose Pilato: «Sono io forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me: che hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi avrebbero certamente combattuto perché io non fossi dato nelle mani dei giudei; invece il mio regno non è di quaggiù»” (Jn 18,35-36).
Questo è quanto il buon maestro ci volle insegnare: ma prima era necessario dimostrarci quanto vana fosse l’opinione che del suo regno avevano sia i gentili sia i giudei, dai quali Pilato l’aveva appresa. Essi pretendevano che egli dovesse esser messo a morte perché aveva cercato di impadronirsi ingiustamente del regno; oppure perché sia i romani che i giudei dovevano temere, come avverso al loro potere, il suo regno, in quanto appunto i detentori del potere sono soliti temere ed esser gelosi di chi potrebbe prendere il loro posto. Il Signore avrebbe potuto rispondere subito alla prima domanda di Pilato: «sei tu il re dei giudei?», dicendo: «il mio regno non è di questo mondo». Ma egli, chiedendo a sua volta se quanto Pilato domandava, lo diceva da sé, cioè fosse la sua opinione personale, oppure l’avesse inteso da altri, volle che fosse palese, attraverso la risposta di Pilato, che erano i giudei a formulare tale accusa contro di lui. Egli ci mostra così la vanità dei pensieri degli uomini (Ps 93,11), che ben conosceva, e rispondendo loro, giudei e gentili insieme, con parole più opportune ed efficaci, dopo quanto ha detto Pilato, dice: «Il mio regno non è di questo mondo».
Se avesse fatto questa dichiarazione subito dopo la prima domanda di Pilato, si sarebbe potuto pensare che egli rispondesse, non anche ai giudei ma ai soli gentili, come se fossero stati solo questi ad avere di lui una tale opinione. Poiché invece Pilato risponde: «Sono io forse giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me», allontana da sé ogni sospetto che si possa ritenere che egli abbia spontaneamente detto, e non piuttosto sentito dai giudei, che Gesù aveva affermato di essere re dei giudei. E Pilato, inoltre, col chiedergli: «che hai tu fatto?», lascia intendere che egli era stato condotto a motivo di un delitto. È come se Pilato dicesse: Se non sei re, che hai fatto di male da essere consegnato a me? Quasi non fosse già straordinario il fatto che si consegnasse al giudice per essere punito chi diceva di essere re, ecco che se non avesse detto ciò, il giudice deve chiedere cos’altro abbia fatto di male per essere condotto da lui ad essere giudicato.
Ascoltate dunque, giudei e gentili, ascoltate circoncisi e incirconcisi; tutti i regni della terra prestino orecchio: Io non danneggio il vostro potere in questo mondo, dice in sostanza il Signore, perché «il mio regno non è di questo mondo». Non fatevi prendere dall’assurdo timore che colse Erode, quando apprese la nascita di Cristo, e si spaventò tanto che fece uccidere tutti i neonati, sperando di uccidere anche Gesù tra quelli, mostrandosi così sanguinario e crudele più per la paura che non per la collera (Mt 2,3-16). «Il mio regno» – dice il Signore – «non è di questo mondo». Che volete di più? Venite dunque nel regno che non è di questo mondo; venite credendo, e guardatevi dalla crudeltà ispirata dalla paura. È vero che in una profezia, il Figlio, parlando di Dio Padre, ha detto: “Sono stato consacrato re da lui su Sion, il sacro suo monte” (Ps 2,6), ma questo monte e quella Sion non sono dl questo mondo. Di chi è composto il suo regno, se non di coloro che credono in lui, ai quali egli ha detto: «Non siete del mondo, così come io non sono del mondo»? Senza dubbio egli voleva che essi dimorassero nel mondo, e per questo chiese al Padre: «Non domando che tu li tolga via dal mondo, ma che li custodisca dal male». Notate che anche ora non dice: Il mio regno non è in questo mondo; ma dice: «il mio regno non è di questo mondo». E dopo aver provato la sua asserzione, soggiungendo: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi avrebbero certamente combattuto perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei», non dice: invece il mio regno non è qui, ma dice: «il mio regno non è di quaggiù». In realtà, il suo regno è qui, sulla terra, fino alla fine dei secoli, dove la zizzania è mischiata al buon grano sino alla mietitura che sarà alla fine dei tempi quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, e toglieranno dal suo regno tutti gli scandalosi (Mt 13,38-41). E questo non potrebbe accadere, se il suo regno non fosse sulla terra. Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è esiliato nel mondo. È al suo regno, cioè a questi pellegrini nel mondo, che egli dice: «Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo». Essi erano del mondo, quando ancora non facevano parte del suo regno ma appartenevano al principe di questo mondo. Tutto quanto negli uomini è stato creato da Dio, ma che ha avuto origine dalla stirpe colpevole e dannata di Adamo, appartiene al mondo; e tutto quanto è stato rigenerato in Cristo fa parte del regno e non appartiene più al mondo. È in questo modo che Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre (Col 1,13) e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. Ed è appunto di questo regno che egli dice: «Il mio regno non è di questo mondo», oppure: «Il mio regno non è di quaggiù».
Gli disse allora Pilato: «Dunque tu sei re?». E Gesù rispose: «Tu dici che io sono re»” (Jn 18,37).
Il Signore non teme di riconoscersi re, ma la sua espressione: «tu lo dici», è così calibrata che non nega di essere re (re, si intende, il cui regno non è di questo mondo), ma neppure afferma di esserlo, in quanto ciò potrebbe far pensare che il suo regno è di questo mondo. In questo senso infatti pensava Pilato, col dire: «dunque tu sei re?». Gesù risponde: «tu lo dici», cioè tu sei della terra, e secondo la carne così ti esprimi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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