Visita del Santo Padre al Centro di accoglienza per famiglie senzatetto - Foto © Vatican Media

"Sviluppo umano e integrale e universalità dei diritti in un contesto multilaterale"

Intervento del Segretario per i Rapporti con gli Stati al Consiglio d’Europa in occasione della celebrazione del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo

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Pubblichiamo di seguito l’intervento che S.E. Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, ha pronunciato ieri al Consiglio d’Europa a Strasburgo in occasione della celebrazione del 70° anniversario della proclamazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sul tema “Sviluppo umano e integrale e universalità dei diritti in un contesto multilaterale”:
Eccellenze, Distinti rappresentanti del segretariato del Consiglio d’Europa, Signori e Signore, desidero anzitutto ringraziarvi della presenza a questa Conferenza organizzata dalla Missione Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. Un grazie speciale rivolgo a Guido Raimondi, Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e a Emmanuel Decaux, Professore Emerito dell’Università Panthéon Assas, che hanno accettato di intervenire in questo dialogo sul tema dell’universalità dei diritti umani. Sono altresì lieto di vedere in questo incontro il coinvolgimento dei rappresentanti di ONG di ispirazione religiosa, che lavorano attivamente nel settore multilaterale.
La Conferenza di oggi si inserisce in una serie di eventi che la Santa Sede ha promosso per marcare i 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che avranno il loro culmine in una Conferenza Internazionale che si terrà in Vaticano nel prossimo mese di dicembre, organizzata dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Certamente il Consiglio d’Europa ha come suo riferimento più immediato e statutario la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Essa, tuttavia, è profondamente relazionata con la Dichiarazione Universale. Sia a motivo della genesi del testo, che si colloca in quegli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, così fecondi per la redazione dei documenti fondatori in materia di diritti umani. Sia perché proprio il carattere universale dei diritti umani richiede un dialogo costante tra sistemi regionali della loro protezione e l’intera comunità internazionale.
Per la Santa Sede, il 70° anniversario della Dichiarazione Universale è l’occasione per riaffermare il proprio impegno a servizio della causa dell’uomo, in un contesto, ne siamo consapevoli, nel quale il patrimonio prezioso dei diritti umani, che la comunità internazionale aveva solennemente proclamato come fondamento di un nuovo ordine all’indomani degli orrori della guerra, appare seriamente messo in discussione, tanto nella teoria come nella pratica.
Siamo fermamente convinti che il principio della dignità inerente ad ogni essere umano, con i diritti inalienabili che ne conseguono, che si rispecchia nel Preambolo della Dichiarazione universale[1], abbia una convergenza naturale e profonda con la comprensione biblica dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio e con il precetto dell’amore fraterno, che sono alla base della visione cristiana dell’uomo e del mondo[2]. Essi sono altresì chiara espressione della natura che oggettivamente accomuna il genere umano[3]. Si tratta di concetti che Papa Francesco ha avuto occasione di ribadire nel discorso di inizio d’anno al Corpo diplomatico, richiamando proprio il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Se abbiamo scelto come tema di questo colloquio “la sfida dell’universalità”, è perché riteniamo che l’universalità dei diritti rappresenti la questione cruciale del nostro tempo, un vero argomento stantis aut cadentis, sul quale si gioca la possibilità che i diritti umani continuino a segnare l’orizzonte comune per la costruzione delle nostre società, il punto di riferimento obbligante per l’esercizio del potere politico, l’indicatore della rotta per la comunità internazionale.
I due oratori che mi hanno preceduto hanno già messo in luce con la competenza che li distingue gli elementi che sono in gioco, soprattutto dal punto di vista giuridico. Da parte mia, vorrei soffermarmi su tre sfide maggiori che, nel presente contesto storico, si pongono al riconoscimento dell’universalità dei diritti umani, per poi cercare delle possibili piste di risposta.
Le tre sfide sono: un modello di sviluppo sociale non sufficientemente inclusivo; le derive legate al crescente pluralismo culturale; le persistenti e gravi violazioni dei diritti umani che si registrano in diverse parti del mondo.
La prima sfida all’universalità dei diritti è quella derivante dal modello di sviluppo sociale che stiamo perseguendo, tanto a livello delle economie avanzate, che sul piano mondiale. Negli ultimi anni stiamo assistendo nelle società occidentali ad un maggiore sfaldamento del tessuto sociale, dovuto a molteplici fattori: crescita delle disuguaglianze economiche, impoverimento di alcuni settori della popolazione, precarietà del lavoro, ridimensionamento talora drastico dei sistemi di protezione sociale. In generale, assistiamo ad una crisi dell’implementazione dei diritti sociali che tocca in particolare le persone in situazione di vulnerabilità e che rischia in molti casi di arrivare ad offuscare la dignità della persona umana.
Anche sul piano globale, a dispetto della crescita complessiva dell’economia mondiale, intere popolazioni rimangono nella miseria, aggravata dal fatto che la rivoluzione comunicativa li ha messi in condizione di poter guardare da vicino come altri popoli stiano comodamente seduti al banchetto dell’opulenza. La situazione sociale che stiamo vivendo, tanto nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, ha un peso non irrilevante nella contestazione al discorso sui diritti umani, che sta prendendo vigore in molti settori. Senza giustificare queste posizioni, si deve cercare di comprenderle e di porvi rimedio per rispondere ad un sempre più grave problema di coesione sociale di cui non possiamo restare semplici spettatori. Se assistiamo con un certo timore, su scala mondiale, all’emergere in alcuni Paesi di modelli di crescita economica senza democrazia e senza diritti, dobbiamo altrettanto temere di costruire delle società basate sull’affermazione delle libertà individuali, ma povere di giustizia sociale.
C’è quindi da chiedersi se i modelli di sviluppo che stiamo perseguendo, in ragione della loro mancanza di inclusività, siano compatibili, sul lungo termine, con l’affermazione dell’universalità dei diritti umani.
Una seconda sfida all’universalità dei diritti deriva dal crescente pluralismo culturale che sperimentiamo all’interno delle nostre società. Esso non è certo un fenomeno nuovo: già nel 1948, nel processo di negoziazione della Dichiarazione universale, ci si era confrontati con la necessità di integrare prospettive culturali e religiose differenti, e nel corso dei decenni è stata ricorrente, sebbene non giustificata, la critica di chi ha voluto vedere nella proclamazione dei diritti umani unicamente il retaggio della cultura occidentale. Ai nostri giorni, tuttavia, tale pluralismo sembra subire una mutazione. Da una parte stiamo assistendo alla crescente tendenza al nazionalismo politico e al fondamentalismo ideologico, che sembrano sempre meno compatibili con una società fondata sui principi della democrazia e dei diritti umani. Dall’altra, parte della cultura liberale dominante si è avviata verso l’interpretazione in senso radicalmente individualista di alcuni diritti, o verso l’affermazione di nuovi diritti. Tali interpretazioni dei diritti, obiettivamente distanti dai testi fondatori[4], contribuiscono a rendere assai più difficile un consenso universale. Rischia in tal modo di generarsi un “conflitto delle antropologie”, acutizzato dal processo di mondializzazione e dalla mobilità umana.
La terza sfida deriva dall’instabilità dell’ordine internazionale e dalle crescenti minacce alla pace. Si tratta qui non di una contestazione teorica dell’universalità dei diritti, quanto piuttosto del preoccupante diffondersi di sistematiche e gravissime loro violazioni, che interpellano la comunità internazionale, poiché mettono in questione la sua capacità di costruire un ordine basato sui principi che essa proclama e che ha volontariamente e maggioritariamente accettato attraverso la ratifica dei 9 principali trattati sui diritti umani elaborati in seguito alla Dichiarazione tra cui i 2 Patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali adottati nel 1966. Papa Francesco ha parlato più volte di una “terza guerra mondiale a pezzi”[5] e la natura propria alla guerra ci porta ad affermare che la pace non può né essere creata né sostenuta attraverso il rispetto dei diritti umani, a meno che non vi siano chiari elementi di giustizia.
Le ovvie difficoltà nel rispettare le leggi internazionali sui diritti umani, non sono una scusa per ignorarle. Al contrario, devono condurre a uno sforzo ancora maggiore per integrare queste considerazioni in una realtà operativa. Per ridurre il divario tra teoria e pratica – questo è ciò per cui dobbiamo costantemente mirare. Ho citato tre sfide all’universalità dei diritti, tra altre che si potrebbero menzionare. Vorrei ora offrire alcune piste di risposta, dal particolare punto di vista della Santa Sede, prendendo spunto sia dalla dottrina sociale della Chiesa, sia dalle prospettive che ancora oggi, a 70 di distanza, può aprire il testo della Dichiarazione universale, testo che Giovanni Paolo II definì come “una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano”[6] .
Per quanto riguarda la prima delle sfide segnalate, quella relativa al modello non sufficientemente inclusivo di sviluppo sociale oggi in atto, ritengo fondamentale il rimando ad un aspetto qualificante della Dichiarazione universale: la simultanea affermazione dei diritti “politici e civili” e di quelli “economici, sociali e culturali”. Mi pare un punto essenziale, e spesso dimenticato: è vero che la protezione e promozione dei primi ha dinamiche diverse da quella dei secondi, tuttavia nessuna delle due categorie può fiorire senza l’altra. Quando, ad esempio, i diritti economico-sociali si erodono, l’intero edificio dei diritti umani si indebolisce, e anche le libertà civili e politiche sono più esposte a cadere vittima della sopraffazione causata da egoismi individualisti o da populismi. La Dichiarazione universale riassume così, all’articolo 22 : “Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”.
Per quanto riguarda il Consiglio d’Europa, credo si potrebbe approfondire, con la ricerca di maggiori sinergie, l’interdipendenza tra i diritti protetti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e quelli protetti dalla Carta Sociale. Questa visione rispecchia appieno quello che, dal punto di vista della dottrina sociale, chiamiamo lo “sviluppo umano integrale” e che Paolo VI riassunse, più di cinquant’anni fa, nella formula: “sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo”[7] . Anzitutto di ogni uomo: per usare le parole dell’agenda 2030 dello sviluppo sostenibile, “nessuno deve essere lasciato indietro”. Dal nostro punto di vista, significa attenzione prioritaria a tutti gli esseri umani in situazione di debolezza, a rischio di essere semplicemente scartati, dai poveri ai disoccupati, dai migranti ai giovani privi di istruzione, dalle donne vittime di violenza, agli anziani che vivono in solitudine, ai bambini non ancora nati, ai disabili: un’attenzione che si concretizza nella vasta gamma di impegno caritativo e sociale che la Chiesa cattolica e le ONG di ispirazione cattolica continuano ad assumere nel mondo. Inoltre, sviluppo integrale significa “sviluppo di tutto l’uomo”, dell’uomo cioè in tutte le dimensioni che lo costituiscono: a partire dai bisogni elementari di sopravvivenza, al diritto all’educazione, alla possibilità di partecipare alla vita comunitaria, alla necessità di vivere liberamente la propria fede e il proprio credo. Forse ci dimentichiamo facilmente come la promozione di un umanesimo integrale sia un elemento essenziale alla crescita delle società democratiche.
L’obiettivo di promuovere le libertà fondamentali di ogni persona è inseparabile da quello di costruire una società giusta: è questo un riflesso dell’universalità dei diritti. Passando alla seconda sfida, quella relativa al crescente pluralismo culturale, ritengo che una risposta vada cercata nella robusta affermazione del diritto alla libertà religiosa, che è condizione per il rispetto reciproco e per una reale uguaglianza nel contesto di una società pluralista. La libertà religiosa assume un rilievo particolare nell’edificio dei diritti umani, poiché essa protegge la relazione con il fine ultimo dell’esistenza, che costituisce il nucleo della dignità trascendente della persona, nel quale si rispecchiano anche le diverse visioni dell’uomo[8]. È noto come la libertà religiosa non si limiti alla libertà di culto o di professare la propria fede; essa comprende, come afferma l’art. 18 della Dichiarazione, la libertà di “manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. La libertà religiosa attesta il carattere aperto di una società democratica: significa riconoscere i limiti della competenza dello Stato quando si tratta di affrontare interrogativi allo stesso tempo intimi e definitivi, nelle loro dimensioni individuale e comunitaria.
La crescente distanza tra culture religiose e non religiose, così come le grandi differenze esistenti tra diverse visioni religiose e talora all’interno delle medesime tradizioni, esige che lo Stato eviti di prendere posizione per l’una o per l’altra delle visioni del mondo. Quando lo Stato è indirettamente costretto a farlo, dovrebbe rispettare i cittadini, permettendo per quanto possibile a persone e comunità di vivere in conformità alle proprie profonde convinzioni. Per usare le parole di Papa Francesco: “La costruzione di società inclusive esige come sua condizione una comprensione integrale della persona umana, che può sentirsi davvero accolta quando è riconosciuta e accettata in tutte le dimensioni che costituiscono la sua identità, compresa quella religiosa”[9]. Solo a partire da questo atteggiamento di neutralità benevola sarà possibile favorire il senso di appartenenza e il necessario dialogo tra persone e gruppi appartenenti a tradizioni culturali diverse.
Mi pare che la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo offra, al riguardo, importanti spunti. Il compito potrà sembrare arduo, ma esso è imprescindibile, proprio al fine di promuovere l’affermazione dell’universalità dei diritti. In effetti, è stato attraverso tali tradizioni culturali e religiose che attraverso il corso della storia è stata forgiata la nostra comprensione della persona umana e della sua inalienabile dignità. Dobbiamo riconoscere che una corretta affermazione dell’universalità dei diritti umani non è possibile senza la considerazione di questi approcci storicamente e culturalmente determinati e, persino, che essa dipende dal loro apporto. Insieme al patrimonio che offre, ciascuna visione ha anche dei limiti, che possono essere compresi attraverso un dialogo aperto con altre visioni del mondo[10]. Chi volesse superare questa difficile opera di mediazione, mediante un’affermazione universale astratta e a-storica della dignità umana e dei suoi valori, commetterebbe un tragico errore, perché un tale approccio finirebbe per estinguere la linfa vitale che alimenta nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo il senso del rispetto per la dignità della persona umana[11] . Certo, il crescente pluralismo mette talora alla prova la possibilità di trovare un’intesa comune sul modo in cui alcuni dei valori fondamentali debbano trovare espressione nel contesto di una società pluralista. Proprio qui, tuttavia, il rispetto della libertà religiosa può venire in aiuto, attraverso la ricerca di accomodamenti ragionevoli o il riconoscimento di necessari spazi di obiezione di coscienza. Elementi questi che, lungi dal rompere la coesione sociale, possono promuoverla, esprimendo l’accettazione della difficoltà del vivere insieme, il rispetto dell’altro e della pluralità dei punti di vista, e il riconoscimento della necessità di camminare ulteriormente nella comune ricerca di ciò che protegge l’universale dignità della persona umana.
Infine, la terza sfida riguarda l’instabilità dell’ordine internazionale, con le diffuse e gravi violazioni che continuano a registrarsi in molti Paesi: si tratta di una sfida enorme, che porta non di rado a mettere in discussione l’efficacia dell’approccio basato sui diritti umani per il benessere dell’umanità e la costruzione della pace nel mondo. Non vi sono, naturalmente, risposte facili a tale sfida, tuttavia mi pare che un cammino si possa aprire a partire da quanto richiamato all’art. 1 della Dichiarazione: dopo aver affermato che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” esso infatti aggiunge: “Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Si tratta di un punto essenziale e forse troppo spesso dimenticato: l’intero edificio dei diritti umani presuppone come condizione sine qua non di riconoscere, in uno spirito di fraternità, che i miei diritti e i diritti dell’altro sono interconnessi e interdipendenti.
Quindi, se la dignità e i diritti degli altri sono ignorati o calpestati, allora anche la mia dignità e i miei diritti sono in pericolo. È quello a cui stiamo assistendo sempre più frequentemente: le gravi ingiustizie economiche e sociali che attraversano l’umanità hanno un impatto diretto anche in Europa; la crisi dei migranti e dei rifugiati ci ha insegnato, tra le altre cose, anche questo. Se ne può ricavare un importante insegnamento per un sistema di protezione regionale dei diritti quale quello del Consiglio d’Europa. Detto sistema, a volte, davanti alle crescenti difficoltà in tema di diritti umani potrebbe essere tentato di chiudersi in se stesso, soddisfatto dei propri successi, dimenticando che l’apporto che esso può offrire ai Paesi vicini è parte essenziale della tutela dei diritti umani in casa propria. “Sviluppo è il nuovo nome della pace”, affermava Paolo VI più di cinquant’anni fa[12] .
Un approccio integrale alla questione della pace, che comprende il sostegno allo sviluppo delle nazioni più povere, implica anche l’assunzione di responsabilità per la tutela dell’ambiente, che è una parte essenziale della promozione e della tutela dei diritti umani. È l’insegnamento che Papa Francesco ha voluto esprimere nell’enciclica Laudato Si’, dove ha più volte sottolineato che “tutto è in relazione”: il rispetto della nostra vita e della vita degli altri; un’economia giusta e il godimento dei diritti; lo stato di salute delle istituzioni democratiche e quello della tutela del creato; la cura per l’ambiente, la promozione della giustizia e la salvaguardia della pace. “Tutto è in relazione”, può essere un altro modo di esprimere l’universalità dei diritti.
Per rispondere ai molteplici aspetti della crisi mondiale che stiamo vivendo, Papa Francesco ha promosso, al riguardo, il concetto di “ecologia integrale”. “Non ci sono due crisi separate”, ha affermato, “una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura”[13] .
Sono consapevole che, con questa prospettiva, usciamo dal terreno dei diritti inteso in senso stretto; tuttavia, il significato di un’ecologia integrale sta proprio nel ricordare che il futuro dei diritti umani, la loro difesa e la loro protezione, il loro carattere universale, devono essere sostenuti come parte di un tutto. In conclusione, ritengo che il 70° della Dichiarazione universale costituisca un’occasione propizia per rilanciare quella “fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna”, di cui si ha una eloquente espressione nel Preambolo. In ultima analisi, l’universalità dei diritti riposa sul carattere universale della persona umana stessa[14], che le è intrinseco in ragione della sua naturale apertura ad una verità che la trascende. In questa apertura alla verità e al bene universale si trova il fondamento dell’unità del genere umano. È proprio su questa comune apertura che si fonda l’universalità della famiglia umana. Per questo motivo i diritti umani di ogni persona non sono mai separabili dai diritti umani di tutti all’interno della comunità, come giustamente affermato nelle prime righe del Preambolo della Dichiarazione Universale: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”. Grazie della vostra attenzione. _______________________________
[1] “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”: Preambolo. [2] “Per la Santa Sede, infatti, parlare di diritti umani significa anzitutto riproporre la centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza. Lo stesso Signore Gesù, guarendo il lebbroso, ridonando la vista al cieco, intrattenendosi con il pubblicano, risparmiando la vita dell’adultera e invitando a curare il viandante ferito, ha fatto comprendere come ciascun essere umano, indipendentemente dalla sua condizione fisica, spirituale o sociale, sia meritevole di rispetto e considerazione. Da una prospettiva cristiana vi è dunque una significativa relazione fra il messaggio evangelico e il riconoscimento dei diritti umani, nello spirito degli estensori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”: Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (8 gennaio 2018). [3] Cfr. Ibid. [4] “Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell’affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l’idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell’indifferenza che nasce dall’egoismo, frutto di una concezione dell’uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un’autentica dimensione sociale”: Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa (25 novembre 2014). [5] Cfr., tra gli altri, Conferenza stampa al ritorno dal Viaggio apostolico in Corea, 18 agosto 2014; Omelia della Messa al Sacrario militare di Redipuglia, 13 settembre 2014; Omelia della Messa a Sarajevo, 6 giugno 2015; [6] Giovanni Paolo II, Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU (2 ottobre 1979). [7] Paolo VI: Enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967), n. 14. [8] “Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona”: Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus Annus (1° maggio 1991), n. 47; “Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali radicati nella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto speciale. Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata, quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la propria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignità umana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fondano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero e Sommo Bene”: Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2011). [9] Francesco, Discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (8 gennaio 2018). [10] “Per affrontare la sfida della diversità religiosa in un mondo che non sarà più egemonizzato dalla cultura occidentale è necessario trovare una rotta che, nel definire i contenuti del diritto di libertà religiosa, eviti gli scogli sia di un universalismo sordo alle differenze culturali e religiose sia di un particolarismo che scade in una concezione relativistica dei diritti”: Silvio Ferrari, La libertà di religione nell’epoca della diversità”, Quaderni di diritto e politica ecclesiastica 26 (2018), 290. [11] Cfr. l’appello rivolto da Papa Francesco, nel suo discorso al Consiglio d’Europa del 25 novembre 2014, ad assumere le sfide della “multipolarità” e della “trasversalità” del dialogo. [12] Paolo VI, Enciclica Populorum progressio (26 marzo 1966), nn. 76-80. [13] Francesco, Enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015) n. 139. [14] “I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti”: Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU (18 aprile 2018).

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ZENIT Staff

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