Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi - Foto © Screenshot, CTV

Beata Alfonsa Maria (Elisabetta) Eppinger, una donna coraggiosa e forte

Omelia del Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi alla Santa Messa di Beatificazione di Alfonsa Maria (Elisabetta) Eppinger, nella Cattedrale di Nostra Signora di Strasburgo (Francia)

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Alle ore 14.30 di oggi, nella Cattedrale di Nostra Signora di Strasburgo (Francia), l’Em.mo Card. Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, celebra la Santa Messa di Beatificazione di Alfonsa Maria (Elisabetta) Eppinger (1814-1867), Fondatrice della Congregazione delle Suore del Santissimo Salvatore.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Card. Angelo Becciu pronuncia nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo:
Cari fratelli e care sorelle,
La Chiesa di Strasburgo oggi si rallegra di vedere iscritta nell’albo dei Beati una sua figlia, suor Alfonsa Maria Eppinger, e di proporla come modello di vita evangelica. Tutta la comunità diocesana – sappiamo – ha intrapreso un percorso di preparazione a questa giornata riflettendo sulla vocazione universale alla santità e interrogandosi sul come oggi si può divenire santi. L’evento solenne della Beatificazione è una provvida occasione per riscoprire, a 150 anni dalla sua morte, l’attualità del messaggio e della figura di questa singolare donna, che seppe offrire una viva testimonianza cristiana ed una profonda spiritualità.
Quando ancora era in vita, la Beata Alfonsa Maria suscitava l’apprezzamento di quanti la incontravano, i quali riconoscevano in lei i tratti della santità di vita e dell’eroismo delle virtù cristiane. Due punti ascetici focali hanno segnato la sua vita: conoscere i desideri di Dio e seguire tali desideri compiendo la sua volontà. Era ancora una bambina – si chiamava Elisabetta – quando un giorno, lungo la strada, vide una stazione della via crucis. «Perché hanno crocifisso Gesù?», domandò alla mamma. «Piccola mia, è stato ucciso a causa dei nostri peccati», rispose la mamma. «Ma che cos’è un peccato?», insistette Elisabetta. «È un’offesa a Dio…». «Allora non voglio più offenderlo!», esclamò Elisabetta. «A partire da quell’epoca – scrisse più tardi – crebbe in me ogni giorno il desiderio di comprendere che cosa occorra fare per amare Dio e non offenderlo… Questo pensiero mi sconvolgeva e mi spronava all’obbedienza».
Ma non dobbiamo pensare che Elisabetta fosse una ragazzina tutta pia e docile, aveva invece una forte personalità, spesso ribelle. Lei stessa racconta: «Nel corso dell’adolescenza, ho dovuto combattere una difficile battaglia contro il mio carattere irascibile… Se qualcuno mi contrariava, mi adiravo. E se i miei genitori mi ordinavano di svolgere un lavoro quando sarei dovuta uscire, spesso disobbedivo… Pregai allora così: “Gesù, tu conosci il mio desiderio. Voglio obbedire. Dammi ciò che il mio cuore desidera ardentemente: la grazia di conoscerti e amarti”». Inizia così un impegno serio e impegnativo: Elisabetta impara lentamente ad ascoltare la voce di Dio e cresce nell’intimità con Lui, fino a quando prende coscienza di due fatti sconvolgenti: di quanto Dio la ami e, nello stesso tempo, di come tante persone si mostrino indifferenti a tanto amore.
Toccata profondamente dall’amore di Dio, desidera ardentemente che anche gli altri, anzi tutti facciano esperienza dell’infinito amore di Dio. Nasce nel suo cuore chiara e pressante la spinta ad essere lei strumento dell’amore di Dio: che attraverso di lei tutti possano sperimentare quanto sono amati da Dio. L’amore di Dio vissuto con intensità di vita e traboccante gioia non può lasciare indifferenti le persone circostanti. Il motto da lei scelto «Attingete con gioia dalle fonti della salvezza” sigilla il suo desiderio di trasmettere una fede gioiosa. Attratte dal suo stile di vita e ispirate dalle sue parole, si forma attorno a lei una piccola comunità di amiche che con lei contempla nel Vangelo il cuore misericordioso di Gesù, il suo atteggiamento verso le persone che soffrono nel corpo e nel cuore e verso i peccatori. Vuole modellare il proprio cuore e quello delle sue amiche sul Cuore di Gesù per essere, come Lui, il buon samaritano. Sente rivolto a sé l’invito di Gesù: «Va’ e anche tu fa lo stesso» (Lc 10, 37). Nasce così la Famiglia religiosa delle Suore del Divino Redentore, per vivere il carisma di Elisabetta, che ora ha cambiato il nome in Alfonsa Maria.
È un carisma imperniato sulla misericordia di Dio: recarsi nella casa dei poveri per rispondere alle loro necessità di ordine spirituale e materiale mediante la pratica delle opere di misericordia. Sotto la guida di Madre Alfonsa Maria vediamo le sue giovani Suore porre gesti semplici e concreti per alleviare la sofferenza, senza fare alcuna distinzione di religione o di ceto sociale. Diventano missionarie della carità, affrontando con coraggio anche le epidemie: alcune muoiono contagiate dalle malattie, soprattutto durante il terribile colera del 1854. Vegliano giorno e notte al capezzale degli ammalati, danno prova di ingegno per salvare vite umane e arginare il contagio, assistono i morenti, consolano le famiglie, esortano a non perdere la speranza. La guerra di Crimea le porta a curare i feriti negli ospedali da campo, a seguire l’esercito nei suoi spostamenti. Il dottor Kuhn, il medico di Niederbronn, scrisse: «Queste giovani pie non solo vegliano semplicemente sugli ammalati, assicurando loro giorno e notte le cure più assidue, esponendosi a ogni rischio di contagio e superando il disgusto, ma entrano anche nelle misere case dei poveri, portando loro i conforti della religione. Si comportano con garbo di fronte a modi rudi, fanno regnare la pulizia dove questa qualità non era né conosciuta, né apprezzata, e impartiscono lezioni ai bambini anche delle frazioni isolate, in cui non ci sono il maestro e la scuola».
Da dove veniva questa passione apostolica che la Beata Alfonsa Maria Eppinger inculcava alle sue Suore? Aveva imparato il dono di sé contemplando il Salvatore morente sulla croce. Il suo ardente desiderio era quello di vivere e agire per Cristo, imitarlo nella sua dolcezza, nella sua umiltà, nel suo amore, cercare di piacere a Lui solo. Così amava ripetere: «Vedere Dio in Dio, vedere Dio nel prossimo, vedere Dio in tutto». Queste parole, sintesi mirabile della straordinaria testimonianza evangelica della nuova Beata, sono cariche di attualità, poiché ai nostri giorni c’è ancora tanto bisogno di testimoniare l’autentico amore cristiano: esso non è una idea astratta, ma si rende concreto nell’aiutare gli altri, prima di tutto i deboli e i poveri, che sono la carne di Cristo. Ce lo ricorda il Santo Padre Francesco. Egli ama ripetere che «un amore che non riconosce che Gesù è venuto nella Carne, non è l’amore che Dio ci comanda. Riconoscere che Dio ha inviato suo Figlio, si è incarnato e ha fatto una vita come noi, vuol dire amare come ha amato Gesù; amare come ci ha insegnato Gesù; amare camminando sulla strada di Gesù. E la strada di Gesù è dare la vita» (Omelia Domus Sanctae Marthae, 11 novembre 2016).
In tutta la sua vita, la Beata Alfonsa Maria Eppinger ha testimoniato, con la parola e con le opere, che Gesù non è venuto solo a parlarci dell’amore del Padre, ma ha incarnato personalmente la sua immensa misericordia, guarendo quanti incontrava nel suo cammino. Ha saputo riconoscere le piaghe di Gesù nell’umanità povera e bisognosa e per essa si è resa strumento dell’amore misericordioso di Dio. L’esperienza di questa nostra Beata, che la Chiesa riconosce come modello da imitare nella sequela di Gesù, è uno stimolo ad amare le persone che incontriamo ogni giorno, diventando per esse strumento dell’amore misericordioso di Dio. Stiamo celebrando questo Rito di beatificazione in una città che, in certo senso, è il cuore dell’Europa, poiché vi si trovano istituzioni fondamentali della vita dei suoi cittadini. Da qui si innalza un pressante appello all’intero Continente europeo, sempre più tentato dall’egoismo e dal ripiegamento su sé stesso. È l’appello della Beata Alfonsa Maria: questa donna coraggiosa e forte, con la sua straordinaria testimonianza cristiana, esorta tutti gli europei ad avere il cuore grande, a dimostrare un amore sollecito e accogliente, che sappia venire incontro a chi ha bisogno: i deboli, gli sconfitti, gli scartati, quanti fuggono da situazioni di guerra, di violenza, di persecuzione. Insieme alle Suore del Santissimo Salvatore, alle Suore del Redentore e alle Suore del Divino Redentore, vale a dire le tre famiglie religiose che ancora oggi si ispirano al carisma di Madre Alfonsa Maria, rendiamo lode a questa audace donna alsaziana innamorata di Dio e infaticabile dispensatrice di misericordia all’umanità sofferente. Onoriamo in lei una fedele discepola del Vangelo e un’intrepida messaggera dell’amore divino. Accogliamone il messaggio e seguiamone l’esempio, per essere testimoni di Cristo, nostra pace e nostra speranza. Diciamo insieme: Beata Alfonsa Maria, prega per noi!

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ZENIT Staff

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