Mons. Francesco Follo - Foto © Servizio Fotografico-L'Osservatore Romano

Mons. Follo: Ascoltare per rispondere

XXIII Domenica del Tempo ordinario – anno B – 9 settembre 2018

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Rito Romano
Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37
 
Rito Ambrosiano
Is 63,7-17; Sal 79; Eb 3,1-6; Gv 5,37-47
II Domenica dopo il Martirio di San Giovanni, il Precursore
 
1) Effatà = apriti.
Nel Vangelo di questa domenica, San Marco ci racconta di un miracolo fatto da Gesù mentre compie il suo lavoro di evangelizzazione nella regione pagana di Tiro. Il percorso descritto dall’Evangelista è molto significativo. Con una lunga deviazione Gesù cammina per una strada, che congiunge città e territori estranei alla tradizione religiosa di Israele. Il Messia percorre le frontiere della Galilea, alla ricerca di quella parte comune ad ogni uomo che viene prima di ogni frontiera, di ogni divisione politica, culturale, religiosa, razziale.
Operare in quella terra il miracolo significa l’apertura universale del Vangelo: ogni uomo e ogni donna, ovunque essi abitino e a qualunque cultura appartengano, possono essere raggiunti dalla Parola di Dio e toccati dalla Sua misericordia.
In verità con il miracolo di oggi con cui Cristo guarisce un sordomuto abbiamo già avuto a che fare già nel giorno del battesimo, quando il sacerdote ha fatto su di noi esattamente quello che Gesù compì sul sordomuto.
Al centro del brano del Vangelo di oggi c’è una piccola parola che riassume tutto il messaggio e tutta l’opera di Cristo. San Marco la riporta nella lingua stessa in cui Gesù la pronunciò: “Effatà”, che significa: “Apriti”. C’è una chiusura interiore, che riguarda il nucleo profondo della persona, quello che la Bibbia chiama il “cuore”. E’ questo che Gesù è venuto ad “aprire”, a liberare, per renderci capaci di vivere pienamente la relazione con Dio e con gli altri. Ecco perché questa piccola parola, “Effatà – Apriti”, riassume in sé tutta la missione di Cristo. Egli si è fatto uomo perché l’uomo, reso interiormente sordo e muto dal peccato, diventi capace di ascoltare la voce di Dio, la voce dell’Amore che parla al suo cuore, e così impari a parlare a sua volta il linguaggio dell’amore, a comunicare con Dio e con gli altri. Per questo motivo la parola e il gesto dell’”effatà” sono stati inseriti nel Rito del Battesimo, come uno dei segni che ne spiegano il significato.
Toccandoci la bocca e le orecchie durante il rito del battesimo, il sacerdote ci ha detto: “Il Signore ti conceda di ascoltare presto la sua Parola e di professare la tua fede”. In questo rito dell’ “Effatà”, il sacerdote prego su di noi bambini perché potessimo presto ascoltare la Parola di Dio e professare la fede.
Fin dall’inizio della nostra vita – quando non era ancora  possibile comprendere le parole -ci è stato detto che l’ascolto della Parola è la nostra salvezza. Non è importante che la capiamo tutta e subito. I neonati non capiranno il significato intellettuale delle parole, ma sentono l’amore, da cui esse vengono, tant’è vero che rispondono con un sorriso alla mamma ed al papa che si rivolgono a loro con affetto grande e stupito.
Diventando grandi, abbiamo capito anche con l’intelligenza quelle parole che il cuore aveva da sempre percepito ed accolto. La prima lezione da trarre da ciò è che la sordità peggiore è quella del cuore. Se siamo sordi, non riusciamo a parlare: se siamo sordi all’amore che il Figlio di Dio ci ha mostrato, non riusciamo a comunicare correttamente né con Dio né con i fratelli e sorelle in umanità che Lui ci ha donato. “Che vita è la vostra, se non avete vita in comune e non c’è vita in comune se non nella lode a Dio” (T.S. Eliot, I cori della Rocca).
Dunque con la preghiera costante e frequente chiediamo al  Signore che ridica anche oggi a ciascuno di noi: “Effatà- Apriti”, perché le nostre menti e i nostri cuori siano aperti alla sua Parola di Verità e Vita per ben camminare sulla Via.
 
2) Si diventa quello che si ama (cfr. Sant’Agostino).
Il significato spirituale del Vangelo di oggi è che Gesù guarisce il mutismo della bocca del cuore che è causato dalle orecchie sorde alla Verità, all’amore infinito di Dio.

  1. Agostino scriveva: “Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Che cosa devo dire? Che tu sarai Dio? Io non oso dirlo per conto mio. Ascoltiamo piuttosto le Scritture: Io ho detto: ‘voi siete dei, e figli tutti dell’Altissimo’. Se, dunque, volete essere degli dei e figli dell’Altissimo, non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo”. Dunque aprimo il cuore a Dio, il cui amore rompe il muro del nostro egocentrismo che ci impedisce di ascoltarLo. Chiediamo a Cristo, il cui dito che ha scritto sulla sabbia il cumulo di peccati della peccatrice perché il vento se li portasse via, di toccarci con la sua misericordia, che  cancella inganni e peccati dalle nostre orecchie e della nostra bocca.

L’amore del suo cuore trafitto trafigga la corazza d’orgoglio che ci fa sordi al suo amore. E la sua saliva, che reca impresse le parole della sua stessa bocca, sciolga la nostra lingua perché canti il suo amore “eccessivo” per noi.
Faticoso e lento il cammino verso Cristo. Come il sordomuto del vangelo di oggi  lasciamoci condurre da Lui. Immedesimiamoci in questo miracolato e chiediamo a Gesù di aprire le orecchie del cuore e della mente alle sue parole di verità e di amore.
Accogliendo la parola di Cristo: “Effatà – apriti” acquisteremo la capacità di ascoltare ed ascoltare la verità, la parola vera, quella che ci mette in cammino verso l’eternità, facendo risuonare nelle nostre parola la Parola.
Solamente ascoltando la Parola diventiamo capaci di parola, di risposta.
Questo implica andare oltre allo “Shemà” (ascolta) di Israele ed essere il nuovo Israele che ha inizio dall’ascolto della Vergine Maria, che risponde sì (=fiat) al suo Creatore. Grazie a questo “sì” il Verbo, la Parola si è fatta carna e ci ha messo sulla bocca la preghiera cristiana per eccellenza: il Padre nostro.
Al n° 85 dell’enciclica Laudato si’ Papa Francesco, riportando le parole di Giovanni Paolo II, scrive: “la ‘contemplazione’ del creato è paragonata all’ascoltare… una voce paradossale e silenziosa, che si aggiunge alla Rivelazione delle Sacre Scritture, per cui prestando attenzione l’essere umano impara a riconoscere se stesso in relazione alle altre creature. E mi domando (è sempre Papa Francesco che scrive): Se Gesù ‘Ha fatto bene ogni cosa’ (Mc 7,37), e Gesù è il Signore, il Dio che ha creato e fatto buona e bella ogni cosa, quando l’uomo ascolta il suo Signore e gli risponde può far tornare bella la creazione come Dio l’aveva pensata sin dal principio?”.
Ho fatto questa citazione per sottolineare che la preghiera di risposta a Dio che ci parla, implica non solamente quello che Dio dice attraverso la parole della bibbia. Lui “ha scritto” anche il libro della natura ed anche questo libro va letto e rispettato.
 
3) Le vergini consacrate: donne dell’ascolto e madri della Parola.
Nella vita quotidiana c’è spesso l’abitudine di dire tante parole, e di sostituire la Parola con le chiacchere. L’atteggiamento e la “virtù” dell’ascolto sono poco praticati. Imitando in modo speciale la Madonna, Vergine dell’ascolto e Madre della Parola, le vergini consacrate conducono una vita che le rende donne dell’ascolto e madri della Parola. Sulla tipicità della loro preghiera, l’istruzione Ecclesia Sponsae Imago ai nn. 29 e 30 insegna: “La preghiera è per le consacrate una esigenza di amore per «rimirare la bellezza di Colui che le ama», e di comunione con l’Amato e con il mondo in cui sono radicate.
Per questo amano il silenzio contemplativo, che crea le condizioni favorevoli per ascoltare la Parola di Dio e conversare con lo Sposo cuore a cuore. Desiderose di approfondire la conoscenza di Lui e il dialogo della preghiera, acquisiscono familiarità con la rivelazione biblica, soprattutto attraverso la lectio divina e lo studio approfondito delle Scritture.
Riconoscono nella liturgia il luogo sorgivo della vita teologale, della comunione e della missione ecclesiale, e lasciano che la loro spiritualità prenda forma a partire dalla celebrazione dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore in obbedienza al ritmo proprio dell’anno liturgico, in modo che trovino unità e orientamento anche le altre pratiche di preghiera, il cammino di ascesi e l’intera loro esistenza”.
 
Lettura patristica
San Beda, il Venerabile (673 circa – 735)
In Evang. Marc., 2, 7, 32-37
 
E gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la mano (Mc 7,32).
Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. È necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l’umana debolezza; così egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette.
Ed egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue dita nelle orecchie di lui” (Mc 7,33).
Il primo passo verso la salvezza è che l’infermo, guidato dal Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo avviene quando, illuminando l’anima di lui prostrata dai peccati con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: “Se io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li scacciano?” (Lc 11,19-20). Spiegando queste parole un altro evangelista dice: “Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio” (Mt 12,28). Gli stessi maghi d’Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di questo dito, dato che riconobbero: “Qui è il dito di Dio” (Ex 8,18-19); infine la legge fu scritta su tavole di pietra (); in quanto, per mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle orecchie dell’infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via della verità all’apprendimento della scienza della salvezza…
E levati gli occhi al cielo, emise un gemito e pronunciò: «Effata», cioè «apriti»” (Mc 7,34).
Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da lì la medicina che dà la voce ai muti, l’udito ai sordi e cura tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l’aiuto della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del nostro prossimo.
E subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente” (Mc 7,35).
In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature dell’unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava correttamente» colui al quale il Signore aprì le orecchie e sciolse il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato così risanato può giustamente dire col salmista: “Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode” (Ps 50,17), e con Isaia: “Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l’orecchio, perché ascolti, come fanno i discepoli” (Is 50,4).
E ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto più così loro ordinava, tanto più essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore, dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i muti»” (Mc 7,36-37).
“Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto più annunziato i suoi miracoli quanto più egli ordinava loro di non divulgarli, perché mai dava quest’ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere coloro cui egli ordinava di non parlare?” (Agostino).
 
Lecture patristique
Saint Laurent de Brindes (+ 1619)
Homélie, 1.9.11-12
Opera omnia, 8, 124.134.136-138
La Loi divine raconte les oeuvres que Dieu a accomplies à la création du monde, et elle ajoute: Dieu vit tout ce qu’il avait fait: c’était très bon (Gn 1,31). <> L’Évangile rapporte l’oeuvre de la Rédemption et de la nouvelle création, et il dit de la même manière: Il a bien fait toutes choses (Mc 7,37). Car l’arbre bon donne de bons fruits, et un arbre bon ne peut pas porter de mauvais fruits (Mt 7,17-18). Assurément, par sa nature, le feu ne peut répandre que de la chaleur, et il ne peut produire du froid; le soleil ne diffuse que de la lumière, et il ne peut être cause de ténèbres. De même, Dieu ne peut faire que des choses bonnes, car il est la bonté infinie, la lumière même. Il est le soleil qui répand une lumière infinie, le feu qui donne une chaleur infinie: Il a bien fait toutes choses. <>
Il nous faut donc aujourd’hui dire sans hésiter avec cette sainte foule: Il a bien fait toutes choses: il fait entendre les sourds et parler les muets (Mc 7,37). <> Vraiment, cette foule a parlé sous l’inspiration de l’Esprit Saint, comme l’ânesse de Balaam. C’est l’Esprit Saint qui dit par la bouche de la foule: Il a bien fait toutes choses. Cela signifie qu’il est le vrai Dieu qui accomplit parfaitement toutes choses, car faire entendre les sourds et faire parler les muets sont des oeuvres réservées à la seule puissance divine. Et d’un cas particulier on passe à tous: <> il a réalisé un miracle que Dieu seul peut faire, donc il est Dieu, qui a bien accompli toutes choses. <>
Il a bien fait toutes choses. La Loi dit que tout ce que Dieu a fait était bon, et l’Évangile qu’il a bien fait toutes choses. Or, faire de bonnes choses n’est pas purement et simplement les faire bien. Beaucoup, à la vérité, font de bonnes choses sans les faire bien, comme les hypocrites qui font certes de bonnes choses, mais dans un mauvais esprit, avec une intention perverse et fausse. Dieu, lui, fait toutes choses bonnes et il les fait bien. Le Seigneur est juste en toutes ses voies, fidèle en tout ce qu’il fait (Ps 144,17). Tout cela, ta sagesse l’a fait (Ps 103,24), c’est-à-dire: Tu l’as fait avec la plus grande sagesse et très bien. C’est pourquoi la foule dit: Il a bien fait toutes choses.
Et si Dieu, sachant que nous trouvons notre joie dans ce qui est bon, a fait pour nous toutes ses oeuvres bonnes et les a bien faites, pourquoi, de grâce, ne nous dépensons-nous pas pour ne faire que des oeuvres bonnes et les bien faire, dès lors que nous savons que Dieu y trouve sa joie?
Vous demanderez: “Que devons-nous faire pour mériter de jouir éternellement des bénédictions divines?” Je répondrai en une phrase: “Puisque l’Église est appelée l’Épouse du Christ et de Dieu, nous devons faire ce qu’une femme mariée, une bonne épouse, fait pour son époux, et alors Dieu nous traitera comme un bon époux traite son épouse bien-aimée. Voici ce que le Seigneur dit par la bouche d’Osée: Tu seras ma fiancée, et je t’apporterai la justice et le droit, l’amour et la tendresse; tu seras ma fiancée, et je t’apporterai la fidélité, et tu connaîtras le Seigneur” (Os 2,21-22).
Ainsi, mes frères, nous serons heureux dès cette vie même, ce monde sera pour nous un paradis terrestre. Avec les Hébreux nous nous nourrirons, dans le désert de cette vie, de la manne céleste, si, en suivant l’exemple du Christ, nous nous appliquons, autant que nous le pouvons, à bien faire toutes nos actions, de sorte que l’on puisse dire à propos de chacune de nos oeuvres: Il a bien fait toutes choses.
 
Patristic reading
Golden Chain
On Mk 7: 31-37
 
Theophylact: The Lord did not wish to stay in the parts of the Gentiles, lest He should give the Jews occasion to say, that they esteemed Him a transgressor of the law, because He held communion with the Gentiles, and therefore He immediately returns.
Wherefore it is said, “And again departing from the coasts of Tyre, He came through Sidon, to the sea of Galilee, through the midst of the borders of Decapolis.”
Bede, in Marc., 2, 31: Decapolis is a region of ten cities, across the Jordan, to the east, over against Galilee (ed. note: It appears, however, from Reland, Pales. v.1, p198, that a portion of Decapolis, including its metropolis, Scythopolis, was on this side Jordan, and therefore this text of St. Mark may be taken literally.) When therefore it is said that the Lord came to the sea of Galilee, through the midst of the borders of Decapolis, it does not mean that He entered the confines of Decapolis themselves; for He is not said to have crossed the sea, but rather to have come to the borders of the sea, and to have reached quite up to the place, which was opposite to the midst of the coasts of Decapolis, which were situated at a distance across the sea.
It goes on, “And they bring Him one that was deaf and dumb, and they besought Him to lay hands upon him.”
Theophylact: Which is rightly placed after the deliverance of one possessed with a (p. 143) devil, for such an instance of suffering came from the devil.
There follows, “And He took him aside from the multitude, and put His fingers into his ears.”
Pseudo-Chrys., Vict. Ant. e Cat. in Marc.: He takes the deaf and dumb man who was brought to Him apart from the crowd, that He might not do His divine miracles openly; teaching us to cast away vain glory and swelling of heart, for no one can work miracles as he can, who loves humility and is lowly in his conduct. But He puts His fingers into his ears, when He might have cured him with a word, to shew that His body, being united to Deity, was consecrated by Divine virtue, with all that He did. For since on account of the transgression of Adam, human nature had incurred much suffering and hurt in its members and senses, Christ coming into the world shewed the perfection of human nature in Himself, and on this account opened ears, with His fingers, and gave the power of speech by His spittle.
Wherefore it goes on, “And spit, and touched his tongue.”
Theophylact: That He might shew that all the members of His sacred body are divine and holy, even the spittle which loosed the string of the tongue. For the spittle is only the superflous moisture of the body, but in the Lord, all things are divine.
It goes on, “And looking up to heaven, He groaned, and saith unto him, Ephphatha, that is, Be opened.”
Bede: He looked up to heaven, that He might teach us that thence is to be procured speech for the dumb, hearing for the deaf, health for all who are sick. And He sighed, not that it was necessary for Him to be any thing from His Father with groaning, for He, together with the Father, gives all things to them who ask, but that He might give us an example of sighing, when for our own errors and those of our neighbours, we invoke the guardianship of the Divine mercy.
Pseudo-Chrys., Vict. Ant. e Cat. in Marc.: He at the same time also groaned, as taking our cause upon Himself and pitying human nature, seeing the misery into which it had fallen.
Bede: But that which He says, “Ephphatha, that is, Be opened,” belong properly to the ears, for the ears are to be opened for hearing, but the tongue to be loosed from the bonds of its impediment, that is may be able to speak.
Wherefore it goes on, “And straightway his ears were opened, and the string of his tongue was loosed, and he spake plain.”
Where each nature of one and the same Christ (p. 144) is manifestly distinct, looking up indeed into Heaven as man, praying unto God, He groaned, but presently with one word, as being strong in the Divine Majesty, He healed.
It goes on, “And He charged them that they should tell no man.”
Pseudo-Chrys., Vict. Ant. e Cat. in Marc.: By which He has taught us not to boast in our powers, but in the cross and humiliation. He also bade them conceal the miracle, lest He should excite the Jews by envy to kill Him before the time.
Pseudo-Jerome: A city, however, placed on a hill cannot be hid, and lowliness always comes before glory.
Wherefore it goes on, “but the more He charged them, so much the more a great deal they published it.”
Theophylact: By this we are taught, when we confer benefits on any, by no means to seek for applause and praise; but when we have received benefits, to proclaim and praise our benefactors, even though they be unwilling.
Augustine: If however He, as one Who knew the present and the future wills of men, knew that they would proclaim Him the more in proportion as He forbade them, why did He give them this command? If it were not that He wished to prove to men who are idle, how much more joyfully, with how much greater obedience, they whom He commands to proclaim Him should preach, when they who were forbidden could not hold their peace.
Gloss.: From the preaching however of those who were healed by Christ, the wonder of the multitude, and their praise of the benefits of Christ, increased.
Wherefore it goes on, “And they were beyond measure astonished, saying, He hath done all things well; he maketh the deaf to hear, and the dumb to speak.”
Pseudo-Jerome: Mystically, Tyre is interpreted, narrowness, and signifies Judaea, to which the Lord said, “For the bed is grown too narrow,” (Is 28,20) and from which He turns Himself to the Gentiles. Sidon means, hunting, for our race is like an untamed beast, and “sea”, which means a wavering inconstancy. Again, the Saviour comes to save the Gentiles in the midst of the coasts of Decapolis, which may be interpreted, as the commands of the Decalogue.
Further, the human race throughout its many members is reckoned as one man, eaten up by varying pestilence, in the first created man; it is blinded, that is, its eye is evil; it becomes deaf, when it listens to, and dumb when it speaks, evil. And they prayed Him to lay His hand upon him, because many just men, and (p. 145) patriarchs, wished and longed for the time when the Lord should come in the flesh.
Bede: Or he is deaf and dumb, who neither has ears to hear the words of God, nor opens his mouth to speak them, and such must be presented to the Lord for healing, by men who have already learned to hear and speak the divine oracles.
Pseudo-Jerome: Further, he who obtains healing is always drawn aside from turbulent thoughts, disorderly actions, and incoherent speeches. And the fingers which are put into the ears are the words and the gifts of the Holy Ghost, of whom it is said, “This is the finger of God.” (Ex 8,19 Lc 11,20)
The spittle is heavenly wisdom, which loosens the sealed lips of the human race, so that it can say, I believe in God, the Father Almighty, and the rest of the Creed. “And looking up to heaven, he groaned,” that is, He taught us to groan, and to raise up the treasures of our hearts to the heavens; because by the groaning of hearty compunction, the silly joy of the flesh is purged away. But the ears are opened to hymns, and songs, and psalms; and He looses the tongue, that it may pour forth the good word, which neither threats nor stripes can restrain.
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Mons. Francesco Follo è Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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