Mons. Bruno Forte during the presentation of instrumentum laboris in the vatican press room - 23 June 2015

Mons. Bruno Forte - Foto ©ZENIT

Mons. Bruno Forte: "Lo slancio vitale del Maggio ‘68"

Fra storia e futuro (Il Sole 24 Ore, Domenica 24 Giugno 2018, 1 e 6)

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Sono passati cinquant’anni dal “maggio francese”, quel fatidico mese del 1968 attraversato in Francia da un vasto insieme di movimenti di rivolta sociale, politica e ideologica, indirizzati contro la società tradizionale, il capitalismo, l’imperialismo e, in prima battuta, il potere “gollista” allora dominante. Dalla gioventù studentesca di Parigi la rivolta si estese al mondo operaio e a molte altre categorie, al punto da poter ritenere gli eventi del ’68 come il più importante movimento sociale della Francia del XX secolo. Motivo ispiratore fu la contestazione di ogni tipo di autorità, in nome di una totale liberalizzazione dei costumi e contro le logiche dominanti della tradizione. Che cosa resta di tutto questo cinquant’anni anni dopo? C’è chi risponde tracciando un bilancio solo negativo, perché vede in quella stagione l’inizio del processo che avrebbe fatto degenerare il valore della libertà in anarchia. Per altri il movimento nato per combattere il conformismo ha finito per crearne un altro ancor più soffocante. Per molti è e resta innegabile l’importanza delle istanze emerse in quegli anni, tanto nell’ambito dell’educazione quanto in quelli del lavoro, della famiglia, della relazione tra le generazioni, sullo sfondo di una vasta voglia di rivalsa e di protagonismo delle classi sociali più deboli. Quale che sia la valutazione che se ne offre, il ’68 ha rappresentato una tappa fondamentale per il cambiamento non solo della Francia, dando impulso alla vasta stagione della rivendicazione dei diritti.
Tutti i processi accennati sono avvenuti grazie ad un’intensa partecipazione collettiva, caratterizzata da slogans di grande forza evocativa: fra questi uno – “l’imagination au pouvoir” – ha inciso particolarmente sul lascito culturale del ’68. Vi si esprimeva la tensione a mettere in crisi una società bloccata, ingiusta, autoritaria e disuguale, manifestando, al tempo stesso, l’urgenza di avviare un nuovo inizio, operando anche un raccordo tra la vita personale e quella politica, perché il cambio delle strutture fosse propedeutico a un diverso modo di vivere. Emergevano la domanda di felicità, la centralità dei desideri, l’affermazione dell’autodeterminazione. In tutto dominava una carica utopica legata al primato dell’ideologia, alle “passioni forti”, alla voglia di prendere posizione, in confronto alla quale l’attuale stagione post-ideologica appare caratterizzata da malessere, passioni tristi, eterno scontento, rivendicazione impotente, assenza di vasti orizzonti. Il lascito culturale più profondo che deriva alla nostra società dal ’68 è, tuttavia, la messa in discussione non soltanto di questa o quella autorità, ma del principio stesso di autorità, come pure il processo di presa di distanza e di disaffezione dalle istituzioni e dalla tradizione, uniti all’importanza attribuita alla dimensione individuale della vita. Contro il conformismo, si esalta l’esperienza personale: si parla di “epoca dell’autenticità”, tesa a modificare ampiamente modi di vivere, credenze e rapporti sociali.
Il processo allora avviato ha avuto rilevanti ripercussioni anche in campo religioso, sia in rapporto alle istituzioni del sacro, in particolare alla Chiesa, sia nel modo in cui sono interpretate l’istanza religiosa e la dimensione spirituale della vita. Emerge il no a una fede imposta o ereditata passivamente. Il disaccordo con l’etica sessuale predicata dalle Chiese, ampiamente diffuso, si unisce al rigetto della funzione disciplinante della religione. Crescono il fenomeno dell’ateismo e dell’indifferenza religiosa e, al tempo stesso, si va delineando una ricerca spirituale alternativa, che coinvolge anche le comunità religiose più consolidate. Va crescendo il senso di solitudine e di non appartenenza dell’individuo, la percezione di uno smarrimento generale, il bisogno di un’àncora cui aggrapparsi. È qui che il fascino del cristianesimo, come religione della libertà e inseparabilmente dell’appartenenza al popolo di Dio, continua ad esercitarsi, tanto più che in molti il rifiuto della tradizione si è unito alla nostalgia delle certezze passate, l’abbandono alla ricerca inquieta, l’abbattimento degli idoli al bisogno di figure carismatiche con cui identificarsi. Resta viva la sfida di una stagione che è stata ed è opportunità singolare per una possibile rinascita del nostro Occidente, unita a uno slancio di nuova evangelizzazione da parte dei credenti, a cinquant’anni da una contestazione ancora feconda di orizzonti inediti, nonostante tutto. Una prova di questa vitalità può essere colta nelle parole e nei gesti di Papa Francesco, il cui impegno per l’autenticità e lo stile di una “Chiesa in uscita” recepisce tante delle istanze del ’68. Lo testimonia, ad esempio, quanto ha detto a Ginevra il 21 Giugno scorso al Consiglio Mondiale delle Chiese, invitando tutti i cristiani al cammino coraggioso del rinnovamento: “Il cammino è metafora che rivela il senso della vita umana, di una vita che non basta a sé stessa, ma è sempre in cerca di qualcosa di ulteriore… Occorre rinunciare a tante strade per scegliere quella che conduce alla meta e ravvivare la memoria per non smarrirla… Camminare richiede l’umiltà di tornare sui propri passi, quando è necessario, e la cura per i compagni di viaggio, perché solo insieme si cammina bene. Camminare, insomma, esige una conversione continua di sé”. Si potrebbe forse parlare di un nuovo ’68, all’insegna del Vangelo e del primato della carità.
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Mons. Bruno Forte è Arcivescovo di Chieti-Vasto.

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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