Ieri sera nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre ha presieduto la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della 51.ma Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: “Potente è la tua mano, Signore” (cfr. Esodo 15, 1-21). Papa Francesco ha raccontato la storia del salvataggio del neonato Mosè dalle acque definendo l’evento la prefigurazione della salvezza dell’intero popolo ebraico che attraversa il Mar Rosso. “Tanti Padri antichi intesero questo passaggio liberatorio come un’immagine del Battesimo. Sono i nostri peccati a essere stati annegati da Dio nelle acque vive del Battesimo”; così il Santo Padre ha spiegato il significato del testo dal libro dell’Esodo.
Tornando ai nostri tempi il Pontefice ha illustrato sia i lati positivi della nostra esistenza, come la tenerezza di Dio, che quelli negativi, come il peccato, la paura e l’angoscia. Dagli ultimi l’uomo viene salvato da Dio. “Queste esperienze preziose vanno custodite nel cuore e nella memoria.”
In seguito, Papa Francesco ha parlato di San Paolo, di cui ieri è stata celebrata la conversione, sottolineando “la potente esperienza della grazia, che lo ha chiamato a diventare, da persecutore, apostolo di Cristo”.
Rivolgendosi ai rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma che hanno partecipato ai Vespri, il Santo Padre ha enfatizzato il carattere ecumenico del Battesimo riconosciuto da altre tradizioni cristiane. “Desideriamo allora pregare insieme, unendo ancora di più le nostre voci. E anche quando le divergenze ci separano, riconosciamo di appartenere al popolo dei redenti, alla stessa famiglia di fratelli e sorelle amati dall’unico Padre.”
Pericoli gravi, persecuzioni e deserti spirituali devono essere affrontati e superati dai Cristiani sul loro cammino. “Ma, come gli israeliti dell’Esodo, i cristiani sono chiamati a custodire insieme il ricordo di quanto Dio ha compiuto in loro. Ravvivando questa memoria, possiamo sostenerci gli uni gli altri e affrontare, armati solo di Gesù e della dolce forza del suo Vangelo, ogni sfida con coraggio e speranza.”
Infine, il Pontefice ha pronunciato alcune parole a braccio per salutare il Pastore luterano che lascerà il suo incarico a Roma: “Il nostro fratello, il Pastore luterano a Roma, si congeda dopo dieci anni per iniziare un altro lavoro ad Amburgo, e gli ho chiesto di venire e anche di dare a tutti noi la sua benedizione.”
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Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della celebrazione:
La lettura tratta dal libro dell’Esodo ci parla di Mosè e di Maria, fratello e sorella, che innalzano un inno di lode a Dio sulle rive del Mar Rosso, insieme alla comunità che Dio ha liberato dall’Egitto. Cantano la loro gioia perché in quelle acque Dio li ha salvati da un nemico che si proponeva di distruggerli. Mosè stesso, in precedenza, era stato salvato dalle acque e sua sorella aveva assistito all’evento. Il Faraone aveva infatti ordinato: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà» (Es 1,22). Avendo invece trovato il cesto con dentro il bambino tra i giunchi del Nilo, la figlia del Faraone lo aveva chiamato Mosè, perché diceva: «Io l’ho tratto dalle acque!» (Es 2,10). La storia del salvataggio di Mosè dalle acque prefigura così un salvataggio più grande, quello dell’intero popolo, che Dio avrebbe fatto passare attraverso le acque del Mar Rosso, riversandole poi sui nemici. Tanti Padri antichi intesero questo passaggio liberatorio come un’immagine del Battesimo. Sono i nostri peccati a essere stati annegati da Dio nelle acque vive del Battesimo. Molto più dell’Egitto, il peccato minacciava di renderci per sempre schiavi, ma la forza dell’amore divino lo ha travolto. Sant’Agostino (Sermone 223E) interpreta il Mar Rosso, dove Israele ha visto la salvezza di Dio, come segno anticipatore del sangue di Cristo crocifisso, sorgente di salvezza. Tutti noi cristiani siamo passati attraverso le acque del Battesimo, e la grazia del Sacramento ha distrutto i nostri nemici, il peccato e la morte. Usciti dalle acque abbiamo raggiunto la libertà dei figli; siamo emersi come popolo, come comunità di fratelli e sorelle salvati, come «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). Condividiamo l’esperienza fondamentale: la grazia di Dio, la sua misericordia potente nel salvarci. E proprio perché Dio ha operato questa vittoria in noi, insieme possiamo cantarne le lodi. Nella vita sperimentiamo poi la tenerezza di Dio, che nella nostra quotidianità ci salva amorevolmente dal peccato, dalla paura e dall’angoscia. Queste esperienze preziose vanno custodite nel cuore e nella memoria. Ma, come fu per Mosè, le esperienze individuali si legano a una storia ancora più grande, quella della salvezza del popolo di Dio. Lo vediamo nel canto intonato dagli Israeliti. Esso inizia con un racconto individuale: «Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza» (Es 15,2). Ma in seguito diventa narrativa di salvezza di tutto il popolo: «Guidasti con il tuo amore questo popolo che hai riscattato» (v. 13). Chi innalza questo canto si è reso conto di non essere solo sulle rive del Mar Rosso, ma di essere circondato da fratelli e sorelle che hanno ricevuto la stessa grazia e proclamano la stessa lode. Anche San Paolo, di cui oggi celebriamo la conversione, ha fatto la potente esperienza della grazia, che lo ha chiamato a diventare, da persecutore, apostolo di Cristo. La grazia di Dio ha spinto pure lui a cercare la comunione con altri cristiani, da subito, prima a Damasco e poi a Gerusalemme (cfr At 9,19.26-27). È questa la nostra esperienza di credenti. Man mano che cresciamo nella vita spirituale, comprendiamo sempre meglio che la grazia ci raggiunge insieme agli altri ed è da condividere con gli altri. Così, quando innalzo il mio rendimento di grazie a Dio per quanto ha compiuto in me, scopro di non cantare da solo, perché altri fratelli e sorelle hanno il mio stesso canto di lode. Le varie Confessioni cristiane hanno fatto questa esperienza. Nell’ultimo secolo abbiamo finalmente compreso di trovarci insieme sulle rive del Mar Rosso. Nel Battesimo siamo stati salvati e il canto grato della lode, che altri fratelli e sorelle intonano, ci appartiene, perché è anche il nostro. Quando diciamo di riconoscere il Battesimo dei cristiani di altre tradizioni, confessiamo che anch’essi hanno ricevuto il perdono del Signore e la sua grazia che opera in loro. E accogliamo il loro culto come espressione autentica di lode per quanto Dio compie. Desideriamo allora pregare insieme, unendo ancora di più le nostre voci. E anche quando le divergenze ci separano, riconosciamo di appartenere al popolo dei redenti, alla stessa famiglia di fratelli e sorelle amati dall’unico Padre. Dopo la liberazione, il popolo eletto ha intrapreso un lungo e difficile viaggio attraverso il deserto, spesso vacillando, ma attingendo forza dal ricordo dell’opera salvifica di Dio e dalla sua presenza sempre vicina. Anche i cristiani di oggi incontrano nel cammino molte difficoltà, circondati da tanti deserti spirituali, che fanno inaridire la speranza e la gioia. Sul cammino ci sono pure dei pericoli gravi, che mettono a repentaglio la vita: quanti fratelli oggi subiscono persecuzioni per il nome di Gesù! Quando il loro sangue viene versato, anche se appartengono a Confessioni diverse, diventano insieme testimoni della fede, martiri, uniti nel vincolo della grazia battesimale. Ancora, insieme agli amici di altre tradizioni religiose, i cristiani affrontano oggi sfide che sviliscono la dignità umana: fuggono da situazioni di conflitto e di miseria; sono vittime della tratta degli esseri umani e di altre schiavitù moderne; patiscono gli stenti e la fame, in un mondo sempre più ricco di mezzi e povero di amore, dove continuano ad aumentare le disuguaglianze. Ma, come gli israeliti dell’Esodo, i cristiani sono chiamati a custodire insieme il ricordo di quanto Dio ha compiuto in loro. Ravvivando questa memoria, possiamo sostenerci gli uni gli altri e affrontare, armati solo di Gesù e della dolce forza del suo Vangelo, ogni sfida con coraggio e speranza. Fratelli e sorelle, col cuore colmo di gioia per aver oggi qui cantato insieme un inno di lode al Padre, per mezzo di Cristo nostro Salvatore e nello Spirito che dà la vita, desidero rivolgere i miei affettuosi saluti a voi, a tutti voi: a Sua Eminenza il Metropolita Gennadios, Rappresentante del Patriarcato ecumenico, a Sua Grazia Bernard Ntahoturi, Rappresentante personale a Roma dell’Arcivescovo di Canterbury, e a tutti i rappresentanti e membri delle varie Confessioni cristiane qui convenuti. Mi è gradito salutare la Delegazione ecumenica di Finlandia, che ho avuto il piacere di incontrare stamani. Saluto anche gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la conoscenza della Chiesa Cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano grazie alla generosità del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, che opera presso il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Insieme abbiamo reso grazie a Dio per ciò che ha compiuto nelle nostre vite e nelle nostre comunità. Presentiamogli oggi le necessità nostre e del mondo, fiduciosi che Egli, nel suo amore fedele, continuerà a salvare e accompagnare il suo popolo in cammino.
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