Santa Messa nel Parque O’Higgins, Cile @Vatican Media

Santiago del Cile: Santa Messa nel Parque O’Higgins

Testo integrale – Viaggio Apostolico del Santo Padre Francesco in Cile e Perù (15–22 gennaio 2018)

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Lasciato il Palacio de La Moneda, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto al Parque O’Higgins. Al Suo arrivo, dopo un giro in papamobile tra i fedeli, alle ore 10.15 locali (14.15 ora di Roma), il Papa ha celebrato la Santa Messa. Nel corso del Rito ha avuto luogo l’Incoronazione dell’Immagine della Beata Vergine Maria del Carmelo. A conclusione della Celebrazione Eucaristica, l’Arcivescovo di Santiago, S.E. Mons. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., ha rivolto il suo saluto al Papa. Dopo la benedizione finale, il Santo Padre Francesco è rientrato in auto alla Nunziatura Apostolica.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre ha pronunciato dopo la proclamazione del Vangelo:
«Vedendo le folle» (Mt 5,1). In queste prime parole del Vangelo che abbiamo appena ascoltato troviamo l’atteggiamento con cui Gesù vuole venirci incontro, il medesimo atteggiamento con cui Dio ha sempre sorpreso il suo popolo (cfr Es 3,7). Il primo atteggiamento di Gesù è vedere, guardare il volto dei suoi. Quei volti mettono in movimento l’amore viscerale di Dio. Non sono state idee o concetti a muovere Gesù… sono stati i volti, le persone; è la vita che grida alla Vita che il Padre ci vuole trasmettere. Vedendo le folle, Gesù incontra il volto della gente che lo seguiva e la cosa più bella è vedere che la gente, a sua volta, incontra nello sguardo di Gesù l’eco delle sue ricerche e aspirazioni. Da tale incontro nasce questo elenco di beatitudini che sono l’orizzonte verso il quale siamo invitati e sfidati a camminare. Le beatitudini non nascono da un atteggiamento passivo di fronte alla realtà, né tantomeno possono nascere da uno spettatore che diventa un triste autore di statistiche su quanto accade. Non nascono dai profeti di sventura che si accontentano di seminare delusioni. Nemmeno da miraggi che ci promettono la felicità con un “clic”, in un batter d’occhi. Al contrario, le beatitudini nascono dal cuore compassionevole di Gesù che si incontra con il cuore compassionevole e bisognoso di compassione di uomini e donne che desiderano e anelano a una vita beata; di uomini e donne che conoscono la sofferenza, che conoscono lo smarrimento e il dolore che si genera quando “trema la terra sotto i piedi” o “i sogni vengono sommersi” e il lavoro di tutta una vita viene spazzato via; ma che ancora di più conoscono la tenacia e la lotta per andare avanti; ancora di più conoscono il ricostruire e il ricominciare. Com’è esperto il cuore cileno di ricostruzioni e di nuovi inizi! Come siete esperti voi del rialzarsi dopo tanti crolli! A questo cuore fa appello Gesù; perché questo cuore riceva le beatitudini! Le beatitudini non nascono da atteggiamenti di facile critica né dagli “sproloqui a buon mercato” di coloro che credono di sapere tutto ma non vogliono impegnarsi con niente e con nessuno, e finiscono così per bloccare ogni possibilità di generare processi di trasformazione e di ricostruzione nelle nostre comunità, nella nostra vita. Le beatitudini nascono dal cuore misericordioso che non si stanca di sperare. E sperimenta che la speranza «è il nuovo giorno, lo sradicamento dell’immobilità, lo scuotersi da una prostrazione negativa” (Pablo Neruda, El habitante y su esperanza, 5). Gesù, dicendo beato il povero, colui che ha pianto, l’afflitto, il sofferente, colui che ha perdonato…, viene a sradicare l’immobilità paralizzante di chi crede che le cose non possono cambiare, di chi ha smesso di credere nel potere trasformante di Dio Padre e nei suoi fratelli, specialmente nei suoi fratelli più fragili, nei suoi fratelli scartati. Gesù, proclamando le beatitudini viene a scuotere quella prostrazione negativa chiamata rassegnazione che ci fa credere che si può vivere meglio se evitiamo i problemi, se fuggiamo dagli altri, se ci nascondiamo o rinchiudiamo nelle nostre comodità, se ci addormentiamo in un consumismo tranquillizzante (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 2). Quella rassegnazione che ci porta a isolarci da tutti, a dividerci, a separarci, a farci ciechi di fronte alla vita e alla sofferenza degli altri. Le beatitudini sono quel nuovo giorno per tutti quelli che continuano a scommettere sul futuro, che continuano a sognare, che continuano a lasciarsi toccare e sospingere dallo Spirito di Dio. Quanto ci fa bene pensare che Gesù dal Cerro Renca o da Puntilla viene a dirci: “Beati…”. Sì, beato tu e tu, ognuno di noi. Beati voi che vi lasciate contagiare dallo Spirito di Dio e lottate e lavorate per questo nuovo giorno, per questo nuovo Cile, perché vostro sarà il regno dei cieli. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). E di fronte alla rassegnazione che come un ruvido brusio mina i nostri legami vitali e ci divide, Gesù ci dice: beati quelli che si impegnano per la riconciliazione. Felici quelli che sono capaci di sporcarsi le mani e lavorare perché altri vivano in pace. Felici quelli che si sforzano di non seminare divisione. In questo modo, la beatitudine ci rende artefici di pace; ci invita ad impegnarci perché lo spirito della riconciliazione guadagni spazio fra noi. Vuoi gioia? Vuoi felicità? Felici quelli che lavorano perché altri possano avere una vita gioiosa. Desideri pace? Lavora per la pace. Non posso fare a meno di evocare quel grande Pastore che ebbe Santiago, il quale in un Te Deum disse: « “Se vuoi la pace, lavora per la giustizia” […] E se qualcuno ci domanda: “Cos’è la giustizia?”, o se per caso pensa che consista solo nel “non rubare”, gli diremo che esiste un’altra giustizia: quella che esige che ogni uomo sia trattato come uomo» (Card. Raúl Silva Henríquez, Omelia nel Te Deum Ecumenico, 18 settembre 1977). Seminare la pace a forza di prossimità, a forza di vicinanza! A forza di uscire di casa e osservare i volti, di andare incontro a chi si trova in difficoltà, a chi non è stato trattato come persona, come un degno figlio di questa terra. Questo è l’unico modo che abbiamo per tessere un futuro di pace, per tessere di nuovo una realtà che si può sfilacciare. L’operatore di pace sa che molte volte bisogna vincere grandi o sottili meschinità e ambizioni, che nascono dalla pretesa di crescere e “farsi un nome”, di acquistare prestigio a spese degli altri. L’operatore di pace sa che non basta dire: non faccio del male a nessuno, perché, come diceva Sant’Alberto Hurtado: «Va molto bene non fare il male, ma è molto male non fare il bene” (Meditación radial, aprile 1944). Costruire la pace è un processo che ci riunisce e stimola la nostra creatività per dar vita a relazioni capaci di vedere nel mio vicino non un estraneo, uno sconosciuto, ma un figlio di questa terra. Affidiamoci alla Vergine Immacolata che dal Cerro San Cristóbal custodisce e accompagna questa città. Che lei ci aiuti a vivere e a desiderare lo spirito delle beatitudini; affinché in tutti gli angoli di questa città si oda come un sussurro: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

© Copyright – Libreria Editrice Vaticana

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ZENIT Staff

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